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Ordinati o privilegiati?

alt Di fronte all’aberrazione di un governo di centro destra che, per ottenere da Bersani la rapida approvazione della manovra finanziaria, sembrava disponibile a far saltare il sistema degli ordini professionali in nome delle liberalizzazioni, i parlamentari avvocati hanno finalmente avuto un momento comune di reazione e, minacciando il voto contrario anche di quelli del PDL, hanno per il momento respinto questo gravissimo assalto alle professioni intellettuali.
I giornalisti non hanno esitato a parlare di lobby o di corporazione in senso dispregiativo, ma nessuno sembra essersi reso conto che si è sventato un colpo di mano che avrebbe colpito non già le tasche dei professionisti, ma le garanzie che milioni di cittadini hanno nel sistema dell’inquadramento delle principali professioni intellettuali in ordini.
Vanno subito chiariti due concetti. Il primo è che l’inquadramento in ordini professionali ha senso per quelle attività nelle quali è necessario offrire al consumatore delle garanzie di professionalità del soggetto che è chiamato ad incidere in maniera significativa sulla sua esistenza.
Un errore di un medico può rovinare la vita o uccidere un paziente, un errore di un ingegnere può provocare il crollo di un edificio, un errore di un avvocato può privare il proprio cliente della libertà o della gran parte dei suoi beni, un errore del commercialista può costringere un uomo a vivere da perseguitato dal fisco.
In altre professioni, incluse alcune tradizionali, il cittadino potrebbe essere tutelato diversamente, tramite l’assistenza di specialisti.
Ritengo sia difficile negare che in Italia è stata ampliata a dismisura l’attività demandata in via esclusiva ai notai, senza che vi siano reali motivazioni derivanti dal possesso di competenze specifiche e con un ingiusto privilegio in favore di una professione tra le più lucrose, essendo a numero chiuso.
Anzi, negli atti notarili pubblici, basterebbe prevedere l’obbligo di redigerli alla presenza di testimoni professionalmente qualificati, cioè avvocato o commercialista  di fiducia e, quindi, a tutela del consumatore, non vi è in astratto la necessità di una organizzazione professionale che costituisca un momento di prevenzione contro l’errore del notaio.
Con ciò non intendo negare che, attualmente,  il Consiglio notarile costituisca anche un valido strumento di tutela del consumatore, dato che sottopone i propri iscritti a controlli e potere disciplinare.
Tuttavia un espace intellettuale impone di riconoscere che esistono professioni ove tale sistema potrebbe  essere oggetto di alternative altrettanto valide sotto il profilo degli interessi anche economici dell’utente ed altre dove una abrogazione del sistema degli ordini professionali provocherebbe una deriva pregiudizievole per gli interessi della collettività.
E proprio con riferimento agli interessi della collettività occorre puntualizzare il secondo concetto. Forse, storicamente, gli ordini professionali sono nati a tutela degli interessi della corporazione e, da alcuni, sono ancora percepiti come una sorta di sindacati pubblici, secondo il modello ordinamentale fascista.
In realtà, i consigli degli ordini di rilevanti  dimensioni, quali quello romano, che ha oltre ventimila iscritti, non hanno alcuna reale possibilità di tutelare gli interessi individuali dei singoli professionisti e si limitano sindacalmente a fare da megafono ai mal di pancia della massa dei propri aderenti ed ad esercitare l’obbligo della tenuta degli elenchi ed il potere disciplinare.
La tutela degli interessi di una elite può aversi quando ad esercitarla vi sono i rappresentanti di una elite: è quindi palese che chi rappresenta una massa è portatore di punti di vista differenti, forse collettivamente più forti, ma individualmente meno qualificati.
Il sistema ordinistico delle libere professioni con più lavoratori autonomi non è, nell’Italia del XXI secolo, uno strumento per assicurare dei privilegi ai propri aderenti, ma per ordinarli e assicurare, attraverso il potere disciplinare, al consumatore un minimo di tutela. Il rilievo dato ai codici deontologici approvati dai singoli ordini con riferimento alla normativa sulla privacy conferma che gli ordini hanno una funzione di tutela dei cittadini piuttosto che dei propri iscritti.
In senso meccanico gli ordini potrebbero essere definiti dei cuscinetti tra i professionisti ed i loro clienti.
Non a caso sono i grandi studi professionali, ed i vertici attuali del CNF che ne rappresentano il pensiero, a rendersi conto che il sistema ordinistico attuale ha cessato di essere uno strumento di una categoria che, se vuole tornare ad essere lobby, deve eliminare dal mercato potenziale economicamente rilevante la gran massa dei propri aderenti.
Poiché l’eliminazione fisica di centinaia di migliaia di lavoratori non è materialmente ipotizzabile, per arrivare al risultato è necessario percorrere strade alternative meno cruente. Così si è inventata la mediazione obbligatoria, al fine di occupare e sostenere economicamente la fascia medio / bassa dei professionisti e si vogliono abolire gli ordini, per sostituirli con prestigiose associazioni di professionisti ove si entrerà per tradizioni familiari, censo o italiche raccomandazioni, invece che pubblici concorsi.
Per leggere gli eventi, occorre conoscere l’A, B, C (Alfano, Bersani, Casini): allora si capirà che, in politica, liberalizzazioni e modernità possono anche essere degli strumenti per ritornare al medioevo.

 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 4_2011

L’ora del quarto polo

alt Bersani ha definito il risultato delle elezioni amministrative  lo tsunami politico del 2011, propedeutico alla caduta di Berlusconi insieme al raggiunto quorum referendario. La sua gioia è stata così grande che il PD è riuscito a beccarsi la censura sull’uso improprio del corpo femminile e di maschilismo retrò per aver detto che l’aria era cambiata usando le gambe di Marylin Monroe con la famosa gonna al vento.
Viceversa il PDL, pur ammettendo la sconfitta, ha cercato di minimizzarne la portata, malgrado fosse stato proprio Berlusconi ad aver dato alla consultazione una valenza politica. Come se la definizione degli eventi “un segnale degli elettori” non implichi logicamente un rilievo politico nazionale.
Bersani ride sguaiatamente per mascherare  il fatto che a festeggiare sul serio dovrebbero essere solo Di Pietro e Vendola, oltre a Beppe Grillo che si è trasformato da comico in soggetto politico, dando così ragione a chi ride del balletto dei politicanti.
In realtà nemmeno Di Pietro e Vendola hanno tanto da ridere, dato che i loro innegabili successi avranno quale conseguenza che i riflettori saranno puntati su De Magistris e Pisapia: si sa, la luce degli amici è quella che fa più ombra agli uomini politici, rendendoli nervosi…
La Magistratura continua a fare il proprio lavoro, con inchieste che toccano ogni giorno più da vicino i vertici politici, anche in maniera bipartisan, come nel caso Bisignani, ma che lasciano sempre più perplessi chi ha notizia degli atti tramite le pagine dei giornali, dato  che sembra di leggere articoli su gossip di potere piuttosto che di reati. A non meno che essere potente non sia di per sé un reato, ma ciò dovrebbe indurre tutti partiti a fare una pausa di riflessione, dato  che il rischio è quello di andare verso una deriva giustizialista, dove la caccia all’untore perché ammanicato potrebbe trasformarsi in una lesione del sistema democratico.
Non è un caso che, nei sistemi dittatoriali, quando alcuni uomini raggiungono un potere rilevante e non sono in linea con il tiranno di turno, spesso vengono arrestati con l’accusa di attentato all’ordine costituito o di condotta antinazionale.
Con ciò non intendo affermare che le accuse contro il sig. Bisignani e gli altri indagati siano necessariamente prive di fondamento, ma solo osservare che, dagli atti pubblicati sui giornali, emerge che si tratta di una inchiesta che si muove su una linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito nella quale lo spazio lasciato dal legislatore all’interprete del diritto appare invero eccessivo e pericoloso.
Da Tangentopoli in poi, malgrado il tema della giustizia sia al centro del dibattito politico e la Magistratura sia stata al centro di molte polemiche, soprattutto da parte del centro destra, Berlusconi non è mai riuscito a far approvare una riforma che ridisegnasse chiaramente le sfere di potere, con separazione delle carriere e, magari, incentivazione delle giurie popolari, come nel sistema statunitense: considerato che ha governato con maggioranze sufficienti per deliberare, di tale situazione l’attuale governo è di gran lunga più responsabile della sinistra.
Infatti il PD (ed i partiti da cui esso è derivato) ha sempre affermato di ritenere valido il sistema giudiziario vigente e, quindi, non può essere accusato di non aver collaborato a modificarlo: è diritto, se non dovere, di una opposizione contrastare le tesi che avversa e, quindi, di tale situazione la responsabilità non può che ricadere su chi aveva il potere ed il dovere politico di modificarla.
Viceversa il PDL pare preoccuparsi della giustizia solo quando viene colpito qualche suo uomo, Berlusconi in primis, fatto che non solo non rende credibili le sue iniziative, ma dimostra che l’intenzione del partito non è quella di riequilibrare i poteri in analogia ai più evoluti sistemi democratici occidentali, ma di prendere tali sistemi ad esempio solo per motivare scelte a difesa degli interessi di questo o quell’imputato.
Tale modus agendi rende impopolari quelle iniziative legislative che fioriscono nel nome  della civiltà giuridica solo allorché si creano emergenze in seguito ad inchieste nelle quali i P.M. sembrano più dei giustizieri che dei giudici. E’ ovvio che le iniziative a difesa della civiltà giuridica si ritorcano contro chi le propone, quando ciò avviene solo in seguito al clamore mediatico per malefatte vere o presunte di politicanti o dei loro amici.
Gli indignatos spagnoli ed i risultati referendari dimostrano che, in tutta Europa, la gente si stia distaccando dalle parole dei politici e non accetti di essere scavalcata su temi essenziali, quali l’acqua, i pericoli derivanti dal nucleare, la possibilità di lavoro. E che il fenomeno non sia solo europeo è dimostrato anche da ciò che sta avvenendo nei paesi arabi, anche grazie alle immense possibilità di comunicare e di conoscere altri mondi offerte da internet.
La civiltà giuridica, i diritti degli individui, la inviolabilità delle comunicazioni, sancita dalla Costituzione con riferimento alla corrispondenza, sono diritti primari ai quali rischiamo di rinunciare a causa di una politica governativa incerta, che si ricorda di alcuni valori solo quando pensa che essi possano essere utili per preservarne le consorterie, e di una opposizione che teme che la loro tutela ne ritardi il ritorno al potere.
In una democrazia l’indignazione dovrebbe avere quale conseguenza trovare nelle urne degli uomini nuovi e non la rinuncia ai valori primari: se gli onesti e gli intellettuali capissero questo messaggio e creassero il quarto polo (il terzo è già troppo occupato), forse il Paese ne guadagnerebbe.
 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 3_2011

W la Cassazione

alt Nel 2009 il presidente dell’Associazione Italiana arbitri di calcio (Aia), Marcello Nicchi, ha vietato con una circolare ai fischietti di fare dichiarazioni sulle partite che non siano state preventivamente autorizzate, anche attraverso internet o su social networks, quali Facebook o Twitter,  o sui blog.
L’arbitro giudica (e, talvolta, sbaglia) in uno stadio avanti a decine di migliaia di spettatori che, spesso, lo coprono di insulti e minacciano di aspettarlo al termine della partita (cosa che, nelle sfide di provincia, talvolta accade sul serio), mentre al replay o alla moviola tutti vedono anche quello che egli non può umanamente vedere e, immediatamente dopo, mentre la partita prosegue, su radio private, internet ecc. egli diventa un cretino, un venduto e la moralità sessuale di sua moglie è spesso messa in dubbio..
Anche le televisioni di stato o i grandi networks spesso si dilettano, magari con più classe, a questo gioco al massacro per le sfide della massima serie o quelle internazionali.
Né il fatto che, per il tifoso, l’arbitro che da un rigore contro la squadra del cuore sia comunque <<cornuto>> cancella la circostanza che, nella classe arbitrale, oltre ad esseri umani che a volte sbagliano in buona fede, ve ne siano altri il cui comportamento è quantomeno sospetto: alzi la mano chi ritiene che fosse  una persona onesta l’arbitro ecuadoriano Byron Moreno, che fu decisivo per l’eliminazione dell’Italia durante i Mondiali in Corea nel 2002 con le sue decisioni scandalose, e che è stato fermato il 20 Set. 2010 all’aeroporto di New York con 6 chili di eroina.
L’arbitro è sotto processo ogni giorno, è coperto di insulti ad ogni sua decisione, ma non può difendersi, non può emettere comunicati: scendere in polemica lederebbe il suo prestigio, la sua partecipazione al conflitto mediatico lo farebbe apparire imparziale non nei limiti temporali dei commenti di giornalisti e tifosi ad una competizione, ma come istituzione.
Nella semantica le istituzioni sono le fondamenta di una struttura: come tali non possono essere ondivaghe o coinvolte negli eventi che riguardano i palazzi che esse devono sostenere.
Una istituzione non può scendere in campo, perderebbe il proprio ruolo.
Il business del calcio prospera in quanto gli spettatori ritengono che, malgrado il grande giro di denaro, le partite siano vere e non truccate: tale sentimento è tanto forte che il legislatore ha introdotto il reato di frode sportiva.
A Milano nei mesi scorsi sono apparsi una serie di manifesti in parte azzurri e in parte rossi in difesa di Berlusconi e dei progetti di riforma della giustizia a firma di una sino a quel momento poco nota “Associazione dalla parte della democrazia”. Manifesti con parole semplici, quasi slogan, del tipo <<riformare la giustizia è bene per tutti>> oppure <<volete cacciare BERLUSCONI? Prima vincete le ELEZIONI!>>.
Questi manifesti trovarono un certo interesse da parte di telecamere e carta stampata, malgrado non dicessero nulla di nuovo nella polemica politica. I fenomeni mediatici sono però incontrollabili e, quindi, è difficile capire se l’interesse sia stato per il rosso o per il fatto che l’autore manifestava chiaramente il proprio dissenso perché il Presidente del Consiglio fosse sottoposto dalla Magistratura ordinaria a dei processi penali per fatti estranei alla carica nel periodo del proprio mandato (per quelli commessi nell’esercizio del mandato è competente il Tribunale per i Ministri).
Forse la realtà è che basta difendere Berlusconi per fare notizia, visto che quando si eccede, scrivendo <<via le BR dalle procure>>, persino l’Istituzione con la <<I>> maiuscola, il Capo dello Stato, ha sentito il dovere di pronunciare il proprio sdegno.
Prima del Presidente della Repubblica si era espresso il procuratore capo della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che aveva ritenuto che il manifesto fosse degno di una nota ufficiale nella quale ne stigmatizzava il contenuto, ricordando che <<in Procura le BR ci sono state davvero: per assassinare i magistrati>>.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29433 della quinta sez. penale, ha assolto un uomo politico accusato di aver diffamato un avversario definendolo <<fascista>>, sancendo che <<la critica politica consente l’utilizzo di espressioni forti ed anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l’attenzione di chi ascolta. Il limite all’esercizio di tale diritto è costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali>>.
Considerato che vi è un interesse pubblico a come viene amministrata la giustizia e che il manifesto non si riferiva ad un singolo giudice, prevedo che sarà proprio la Magistratura a chiarire che l’avv. Roberto Lassini, che si è dichiarato autore di quei manifesti, non ha commesso alcun reato. E lo farà nella sede propria, attraverso le sentenze, non i comunicati stampa.
Ciò non toglie che, politicamente, si possa ritenere il manifesto inopportuno, sgradevole, maleducato: ho fatto un breve sondaggio sul mio sito di Facebook e mi hanno colpito le parole di una collaboratrice di questa testata, Claudia Cotti Zelati, artista teatrale: <<E’ uno slogan provocatorio da parte di chi lo ha concepito e proposto, che non dice nulla, ricade su se stesso; avrebbe avuto senso se l’ideatore fosse andato davanti alla Procura a manifestare, magari dipinto di rosso, con borracce rosso lacca per scrivere sui muri la stessa scritta; avrebbe fatto un gesto futurista, surreale e tragico, penoso, ma umano, profondamente comprensibile, forse>>.
Criticare una iniziativa rendendosi conto di ciò che essa realmente è o mettersi al pari dell’iniziativa, entrando in polemica con la stessa?
Sia consentito a chi ama la Giustizia con la <<G>> maiuscola non condividere la discesa in campo delle istituzioni contro la maleducazione, in particolare quando ciò avviene con strumenti mediatici propri della lotta politica, quali comunicati stampa o interviste: se vogliamo che le istituzioni rimangano le fondamenta della civile convivenza, devono esprimersi attraverso atti propri, come fa la Corte di Cassazione.
 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 2_2011

La gamba tesa dell’arbitro

alt 14 Dicembre 2010, mentre al Circolo Canottieri Roma si celebrava il 35ale di questa testata con la presentazione del libro <<da P.le Appio a P.le Clodio>>, nelle strade di Roma si scatenava la rabbia dei gruppi estremisti di sinistra.
Il Parlamento aveva confermato la fiducia a Berlusconi, l’asse Bersani / Fini / Casini aveva fallito il proprio obiettivo.
Appena una settimana dopo Silvio Berlusconi riceveva il regalo di Natale dell’iscrizione nel registro degli indagati per il caso <<Rubygate>> ed il 13 Gennaio 2011 la Corte Costituzionale faceva saltare parzialmente l’impianto del legittimo impedimento, permettendo così di fatto al Tribunale di Milano di processare il Presidente del Consiglio.
Una consecutio temporum così evidente dimostra come le azioni della Magistratura e quelle delle opposizioni storiche e recenti si siano concentrate per far crollare il potere politico di Silvio Berlusconi.
La circostanza non è di per sé illegittima e non sarebbe innaturale se si articolasse nel senso che, in seguito ad azioni giudiziarie, le opposizioni abbiano trovato argomenti per sostenere le loro antitesi al Governo in carica. Si tratterebbe, anzi, di un comportamento fisiologicamente corretto della politica.
Sarebbe anche fisiologicamente corretto che le opposizioni stimolassero in casi clamorosi l’opera della Magistratura con denunce e prove degli eventuali reati, salvo assumersi la responsabilità politica di fronte al Paese di averne leso l’immagine internazionale ove, invece che produrre prove, gettassero del fango, secondo quello che sosteneva Voltaire (e, prima di lui, Bacone nel <<De dignitate et augmento scientiarum>>): <<calunniate, calunniate, qualcosa resterà>>.
Il fenomeno tutto italiano è che l’azione politica e quella della Magistratura sembrano invece sincronizzate, sicché i Pubblici Ministeri di Milano iscrivono Berlusconi nel registro degli indagati a Dicembre (al fine di processarlo con il rito immediato) per un evento di cui tutto il Paese aveva avuto notizia da molti mesi e solo dopo che il Parlamento ha rigettato la mozione di sua sfiducia.
I proverbi insegnano che <<tutti i nodi vengono al pettine>> insieme e, quindi, potrebbe essere fisiologico e non maliziosamente interpretabile che determinati eventi si svolgano in un arco temporale vicino, ma la sensazione che si ha, osservando la scena con il distacco del commentatore indipendente, è che Berlusconi sia sotto assedio e contro di lui si sia schierato non solo l’ex alleato Fini, ma anche l’arbitro.
Sono sensazioni umanamente inevitabili e che, nel calcio, portano i tifosi a rumoreggiare quando la propria squadra perde tre partite di seguito sempre a causa di un rigore contro concesso all’ultimo minuto. Né i tifosi mai crederanno che i rigori siano stati accordati perché, a causa di una cattiva preparazione atletica, i difensori erano stati costretti ad agire fallosamente solo negli ultimi minuti della partita.
Il fatto è che, in una nazione democratica, è molto grave che circa la metà degli elettori ritenga che si stia ricercando una soluzione giudiziaria in contrasto con la volontà popolare e l’altra metà <<tifi>> per la Magistratura (cioè per l’arbitro) dato che l’opposizione non è capace di unirsi su un progetto politico capace di andare oltre Berlusconi.
Né con vittimismo tutto italiano si dica che è la presenza stessa di Berlusconi ad impedire al sistema democratico di funzionare: il Presidente del Consiglio fa esattamente quello che avviene quotidianamente negli Stati Uniti: utilizza denaro, mass media e potere personale per fare politica.
Non è colpa di Berlusconi se Bersani non ha nemmeno il carisma necessario a tenere unito il Partito Democratico, se Fini, smentendo il proprio passato ed imparentandosi con persone estranee a quello che appariva essere il suo modo di concepire la politica, abbia gettato nel fango un patrimonio di consensi che si era faticosamente costruito sull’eredità di Giorgio Almirante, se Di Pietro non venga percepito come il nobil signore per bene che vuole moralizzare la vita pubblica.
E’ dalla caduta del Fascismo che gli Italiani sono più bravi ad essere <<contro>> che capaci di crearsi spazi per costruire un paese moderno ed europeo.
Nel mentre in Italia si alternano sempre le medesime facce, in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna sono emersi volti nuovi: lì, ad ogni sconfitta, il partito che perde si rinnova e la vecchia classe dirigente lascia spazio ai giovani.
Non solo, ma la radicalizzazione della lotta contro Berlusconi da parte degli sconfitti dal voto popolare ha l’effetto di delegittimare quelle iniziative giudiziarie che si rivelino corrette nella forma e nella sostanza, perché con l’assedio non si circonda solo Berlusconi, ma anche chi lo ha votato o lo sostiene semplicemente perché ritiene che le alternative siano peggiori di Presidente del Consiglio.
Appartiene alla storia d’Italia l’invito del liberale Indro Montanelli a votare Democrazia Cristiana turandosi il naso: quindi la sinistra e Fini non dovrebbero ignorare come la guerra santa da essi scatenata si possa trasformare in un boomerang.
Paradossalmente, se invece di eleggere Napolitano quale Presidente della Repubblica, l’allora maggioranza di centro sinistra avesse fatto convergere i propri voti su Berlusconi, avrebbe sconfitto il berlusconismo e liberato tante energie bloccate dalla necessità di fare quadrato in una continua battaglia all’ultimo sangue.
Il problema è che i politici attuali non conoscono non solo la storia d’Italia, ma nemmeno la lingua latina. Promuoveatur ut amoveatur, insegnavano i Padri romani.
Ove Berlusconi fosse divenuto Capo dello Stato, avrebbe perduto l’interesse a mantenere un partito, avrebbe ottenuto di fatto quell’immunità di cui ha bisogno, avrebbe avuto solo un grande prestigio, ma poco potere. Sarebbe, insomma, passato alla storia e, al massimo, oggi si parlerebbe di un Quirinale meno austero a causa di un via vai di giovani donne…
Ma sarebbe il male minore, per un’Italia costretta a scegliere tra un puttaniere e chi sputtana la Nazione con una guerra di bande nel quale la fiducia per la Giustizia, quella con la <<G>> maiuscola si è ridotta a zero per degli interventi a gamba tesa dell’arbitro.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 1_2011

 

La nota stonata

alt L’avvocatura e tutte le libere professioni sono in fermento per i provvedimenti del Governo in materia di liberalizzazioni e scioperano in difesa del sistema tariffario in vigore sino al decreto legge emanato mentre redigo queste righe.
Chi mi conosce sa che non ho il timore di scrivere ciò che penso, anche in contrasto con la maggioranza, e che spesso ho definito <<nanismo intellettuale>> l’attaccamento a sistemi professionali validi nel XX secolo, ma ora obsoleti.
Per quanto riguarda gli avvocati, basta sfogliare TopLegal, una rivista dedicata ai grandi studi associati, per rendersi conto che, quando si parla di liberi professionisti, ci si riferisce a due realtà del tutto disomogenee tra di loro, quella delle centinaia di migliaia di legali che curano principalmente il contenzioso dei privati cittadini (o li difendono nei confronti di poteri forti) e quella delle poche centinaia di studi che operano in maniera imprenditoriale per accaparrarsi la fascia economica di mercato più ricca, quella dell’assistenza alla grande e media impresa, della consulenza alla P.A. per questioni di alto livello, dei rapporti con la clientela estera che vuole operare in Italia, oltre che delle questioni internazionali di imprenditori e cittadini italiani.
E’ bella e romantica l’immagine del cavaliere errante, paladino dei poveri e degli oppressi, che va lì ove c’è da battersi per una giusta causa, ma se il cavaliere errante è affamato o lotta contro un esercito moderno con la sola spada, fosse anche Durlindana, egli potrà al massimo aprire la breccia pirenaica, ma è destinato a soccombere.
E, poi, quando una professione da elitaria diviene di massa, il maggior numero dei suoi protagonisti non è più costituito da ricchi paladini sognatori di gloria, ma da manodopera intellettuale disillusa che tenta la strada libero professionale per fuggire dall’impossibilità di accedere ad un impiego stabile e dignitoso.
Allora, rispetto alla voglia di battersi per una giusta causa, prevale lo spettro della disoccupazione e la necessità di tutelare non già le ragioni del consumatore contro i potenti, ma la propria esistenza lavorativa, cioè la <<pagnotta>>.
Così anche una multa stradale diviene un business, con cavilli sui moduli lì dove il paladino della giustizia dovrebbe, ad esempio, pianificare un’azione contro la scelta sistematica degli enti locali di imporre divieti assurdi per avere la certezza di infrazioni in un determinato luogo e, così, fare cassa, reintroducendo la gabella dei due fiorini tanto ben rappresentata da Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere.
In questo contesto continuare a udire termini quali <<dignità della toga>>, tutela dei diritti del cittadino o altri simili paroloni fa un po’ sorridere, specie quando a pronunciarle sono esponenti del CNF o degli Ordini professionali che per anni hanno assistito inerti al disfacimento del ruolo del difensore, accettando supinamente che lo stesso si trasformasse in un segretario di udienza, che scrivesse i verbali sulle spalle del collega o su tavoli improvvisati, che fosse chiamato a discutere una causa ad una certa ora e poi la sentisse trattare con due / tre ore di ritardo.
Molti di coloro che, in tutta Italia, stanno oggi chiamando l’avvocatura alla mobilitazione sono quelli che, al praticante, hanno insegnato come vigilare sull’integrità del <<mucchio>> dei fascicoli d’udienza piuttosto che le azioni giudiziarie necessarie per battersi contro questo scandaloso italico sistema di regolamentare la mattinata del difensore dei diritti.
Molti avvocati, ad una settimana dalle elezioni forensi, si stanno battendo in difesa di un sistema che è economicamente morto, perché la proletarizzazione della professione (cui anch’essi hanno contribuito quali remissivi commissari di esami di abilitazione di fronte a candidati impreparati) ha fatto sì che non vi sono più risorse (cioè contenziosi, nel caso degli avvocati del settore litigioso) sufficienti per far mangiare tutti  e, altresì, il sistema non è più in grado di dare risposte in tempi adeguati.
Senso di responsabilità dovrebbe loro imporre di portare l’attenzione del Governo non già sul problema delle tariffe e dei (presunti) privilegi che da esse derivano, ma sul fatto che si è dichiarata guerra ad un ammortizzatore sociale: la disoccupazione intellettuale, con l’entrata a regime dei provvedimenti liberalizzatori, da occulta diviene realtà ufficiale e, quindi, piaga sociale che colpisce non già ricchi proprietari, ma giovani lavoratori laureati disoccupati e senza cassa integrazione.
Chi scrive ha uno studio organizzato e sta da tempo lavorando per adeguare le proprie strutture alle nuove realtà, cosciente che il sistema tariffario era solo un paracadute per sperare di salvarsi dal cliente insolvente per sua scelta o per impossibilità di pagare i servizi, specie quando essi consistono in predisporre atti, ma non ottenere alcun risultato a causa delle lungaggini processuali.
Parlo di paracadute perché oltre la metà degli avvocati che operano nel piccolo e medio contenzioso giudiziario si fanno in realtà pagare in misura pari alle liquidazioni giudiziali, spesso infime, dopo l’uscita della sentenza ed il recupero del credito ed iniziano il loro lavoro con un piccolo fondo spese, ove non le anticipano essi stessi per ottenere il mandato. Il che significa che, nella maggioranza dei casi, le tariffe minime non vengono applicate e si lavora con una remunerazione inferiore a quella sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, come previsto per ogni lavoratore dall’art. 36 Cost..
Il grande capitale è già entrato nelle società professionali in maniera più o meno occulta: chi si riempie la bocca dei paroloni sul diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. che verrebbe limitato dagli interessi dei capitalisti trovi il nominativo di un avvocato italiano che ha rinunciato alla difesa di un cliente portatore di un grandissimo fatturato solo perché gli chiedeva non di compiere illeciti, ma di sostenere tesi giuridicamente infondate o eticamente censurabili…
Ai leader dell’avvocatura chiedo di avere il coraggio di abbandonare la retorica e di dichiarare al Governo che la professione è arrivata alla frutta e, quindi, se si tolgono i paracadute, almeno si offrano nuove vie di fuga, quali la liberalizzazione e privatizzazione dei servizi collaterali (ad esempio le notifiche), onde occupare nuovi spazi per offrire effettivamente servizi migliori.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 1_2012

Il pericolo dell’illusionismo

alt L’iniziativa del Governo Monti di mettere on-line i redditi dei Ministri è sicuramente lodevole, ma…
C’è sempre un “ma” quando si ha a che fare con la politica, in particolar modo allorché ci si trovi di fronte a persone di cultura, abituate a rivestire ruoli superiori e chiamate a prendere le distanze con un sistema composto in maggioranza da personaggi tanto arroganti quanto di basso cabotaggio.
Il mio architetto insegna sempre che, in una ristrutturazione, quando vi sono oggetti brutti che non possono essere nascosti (ad esempio una struttura portante), l’unico modo per realizzare un buon prodotto è metterli bene in vista, magari illuminandoli per farli vedere meglio.
Così il brutto diventa “tecno” o il vecchio diventa “antico”.
Ho una grande stima del mio architetto, dopo trentasei anni di articoli di fondo mi permetto una licenza, ne cito il nome: Paolo Maggiorani.
Ho anche una grande stima delle altrui intelligenze, non a caso mi piace il gioco degli scacchi, ma la luce che esse emanano non mi abbaglia, impedendomi di vedere.
Mettendo i propri redditi alla luce del sole, i componenti del Governo hanno dato una immagine di loro stessi come di persone trasparenti ed oneste, rispondendo così alle aspettative della popolazione stanca dell’immagine di politicanti corrotti (presenti tanto nel PD quanto nel PDL).
Tutti sanno che Berlusconi è ricchissimo, però i P.M. lo hanno accusato in decine di processi di essere un corruttore affarista e almeno metà della popolazione crede che questa tesi sia fondata, ancorché non sia stata giudizialmente accertata.
Domandarsi cosa si nasconde dietro la luce dei riflettori non significa accusare il Governo di averli accesi al fine di nascondere qualcosa, ma solo mettersi gli occhiali da sole e cercare di andare oltre il bagliore.
Ad esempio, se si guardano le cose sotto un’altra angolazione ci si accorge che non è vero che il sen. Monti non è un politico, in quanto un uomo che è stato nominato due volte Commissario Europeo appartiene al mondo politico: politica significa vita della polis: all’interno di essa vi sono gli strumenti per realizzare la demos cratia, che nei paesi occidentali si identifica nei partiti politici, con le loro sezioni e i loro  compromessi quotidiani imposti dalla necessità di dare soddisfazione ai clientes. Né si dica che il fenomeno del clientelismo esiste solo in Italia perché trova radici nella società romana: basta guardare agli Stati Uniti ed alle migliaia di persone che perdono il posto di lavoro allorché il loro leader è sconfitto per rendersi conto che in altri paesi esistono i medesimi fenomeni con altro nome.
Il problema è che, in Italia, spesso non si ha il coraggio di affrontare la realtà e, quindi, ci si nasconde dietro luoghi comuni.
La democrazia di stampo parlamentare è l’unico sistema che i paesi occidentali hanno ideato per assicurare a tutti la possibilità di partecipare alle decisioni della loro nazione, ma ha sicuramente molte imperfezioni strutturali, tra le quali quella che non tutti hanno la capacità di assumere decisioni nell’interesse di una comunità.
Basta riflettere su delle ovvietà per rendersi conto del problema. Studiare e lavorare richiede tempo, così come lo richiede la ricerca del consenso, il che significa che il consenso lo può ricercare stabilmente solo chi non lavora o chi ha tanto denaro per pagarsi dei professionisti della ricerca del consenso.
Non è quindi casuale se, tra le malattie delle democrazie parlamentari, si registrino l’abbassamento del livello culturale degli eletti e l’ascesa di ricchi personaggi dal dubbio passato, ma non può negarsi che il primo fenomeno sia fisiologico, mentre il secondo sia una patologia difficilmente curabile.
L’assunzione di decisioni impopolari è estremamente difficile in un sistema democratico, proprio perché esse  sono semanticamente antitetiche allo stesso concetto di democrazia. Il problema è che i contesti internazionali spesso impongono tali decisioni, che alcune volte sono obiettivamente giuste, mentre altre trovano origine negli interessi di coloro che hanno un potere economico, politico e/o militare superiore a quello dei singoli stati.
I personaggi di scarsa cultura, quando comprendono di andare contro gli interessi (o le sensazioni epidermiche) dei loro elettori, sono sempre restii ad agire, ma non hanno gli strumenti, anche etici, per opporsi ai grandi timonieri. Così prevale l’inerzia, mentre all’esterno tutto si modifica, sintanto che la pressione non sarà più dei poteri forti, ma di un mondo con il quale ci si rapporta quotidianamente che è cambiato e mal sopporta chi è rimasto indietro non già a difendere valori, ma solo piccoli privilegi di bottega.
In tali contesti ha buon gioco la politica, la grande politica, quella dei poteri forti che, in quanto tali, istituzionalmente investono sul futuro: prima la nomina a senatore a vita, cioè la garanzia di una eterna immunità parlamentare per il proprio operato, poi un calcio ai partiti, poi la luce di redditi on line superiori alle possibilità di un qualsiasi cittadino, anche benestante: il tutto per rendere ineluttabili nuove tasse che renderanno più difficile la vita quotidiana di chi stringe la cinta tutti i giorni, ma non certo di chi è appena andato al governo con alle spalle alcuni milioni di reddito annui.
Quando un paese ha alla guida persone di cultura che hanno quale missione realizzare un progetto, sicuramente vedrà alcuni risultati: ma, attenzione agli illusionisti e a chi, in Europa, parla dello spettro della Grecia per imporre scelte che tendono a far acquisire agli investitori esteri i risparmi delle famiglie italiane in difesa di una moneta unica europea, che è un centro di interessi, non un dio laico intoccabile.
La sterlina inglese, all’interno dell’Unione Europea, ed il marco svizzero dimostrano che si può essere sovrani monetariamente ed indipendenti nel vecchio continente senza essere poveri o schiavi: quindi, per cortesia, signori del Governo, oltre ai vostri redditi, mettete on line anche gli importi da Voi investiti in BOT e CCT, così forse crederanno in Voi anche coloro non si lasciano impressionare da una buona trovata mediatica.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 2_2012

Il re è nudo

alt Nell’articolo di fondo del precedente numero di questa rivista parlavo del <<pericolo dell’illusionismo>> ed osservavo che la luce delle intellegenze emanata dal Presidente Monti e dagli uomini del suo governo non mi abbagliava, impedendomi di vedere, tra l’altro, che la moneta unica europea è un centro di interessi e non un dio laico intoccabile.
I prestigiatori insegnano che l’illusionismo, occultando un trucco, fa apparire una realtà che non esiste, quale quella dell’essere umano che entra in una botte e viene infilzato dalle spade o tagliato a pezzi. In realtà esso è qualcosa in più, è la creazione di un fenomeno psicologico che consente di introdursi in falle della mente umana per creare una immagine inesistente.
La scienza ha dimostrato che una delle principali falle della mente è quella del cosiddetto completamento logico, in relazione alla quale, in presenza di due azioni non consequenziali, il cervello preuppone l’esistenza di almeno una terza azione che porti dalla prima alla seconda.
Come terza azione la logica celebrale individua la più semplice disponibile.
Così, ad esempio, se vi è una pallina all’interno della mano destra che si avvicina alla sinistra e successivamente è la mano sinistra ad avere una pallina in mano, per la logica celebrale la visione di queste due immagini consecutive è che la pallina è stata passata dalla mano destra alla mano sinistra con modalità che la mente non è riuscita a percepire.
Il prestigiatore è cosciente di questa falla del cervello umano, avendo studiato psicologia, e la utilizza, ad esempio, per trattenere una pallina nella mano destra (nascondendola), mentre nella sinistra mostra un’identica palla che già aveva in mano o che, con mossa rapida, ha prelevato dalla propria tasca.
I fenomeni mediatici si basano su presupposti molto simili e possono essere indotti o trovare origine in eventi imprevisti che si insinuano nelle falle logiche della mente, permettendo di vedere ciò che tutti hanno davanti agli occhi e non percepiscono.
Nella famosa fiaba di Hans Christian Andersen, “i vestiti nuovi dell’imperatore”, solo un bambino riesce ad accorgersi che “il re è nudo”, perché la sua mente non è ancora stata colpita dalla cecità che colpisce i cortigiani ed i vigliacchi.
Ogni tanto scoppia qualche scandalo riferibile ai partiti politici ed i giornali parlano di sistema malato, di nuova tangentopoli e della necessità di una riforma elettorale, come se ciò che quel giorno si legge negli atti di un’inchiesta non sia quotidianamente sotto gli occhi di tutti.
Nel 1993, in occasione del referendum promosso dal Partito Radicale, il 90,3% dei votanti si pronunciò a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti: la risposta di questi ultimi è stata la legge n. 515 del 10 dicembre 1993 che ha trasformato il finanziamento in rimborso elettorale. Il bambino della favola di Andersen avrebbe gridato che era stata uccisa la democrazia e si era instaurata una dittatura dei partiti: gli Italiani hanno incassato in silenzio, prendendo atto che l’unico modo di sopravvivere è farsi gli affari propri, cioè in un mondo di ladri, difendersi da questi ultimi rubando un po’ tutti, magari attraverso l’evasione fiscale.
Da tutto il mondo si può accedere al sito internet della Banca d’Italia e leggere (testualmente) che <<La partecipazione al capitale della Banca d’Italia è disciplinata dagli artt. 3 e 49 dello Statuto. Il capitale, di ammontare pari a 156.000 euro, è rappresentato da 300.000 quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna>>.
L’art. 3 dello statuto è stato modificato dal Governo Prodi con D.P.R. del 12 dicembre 2006, pubblicato sulla G.U. n. 291 del successivo 15 dicembre, con il quale si è eliminato l’obbligo di assicurare la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici, cioè dello Stato Italiano.
L’elenco dei proprietari della Banca d’Italia è anch’esso pubblicato sul suo sito internet e dallo stesso emerge che il capitale dell’ex istituto di emissione italiano è in mano anche a banche passate in proprietà ad istituti di credito esteri.
In sintesi è pubblicato ufficialmente che la Banca d’Italia non solo ha un capitale inferiore a quello di una piccola società per azioni, ma è almeno in parte in mano straniera, per decisione di un ben identificato governo nazionale.
Visto il potere della Banca d’Italia sull’economia italiana, si può quindi affermare che è di dominio pubblico e certificato che le scelte che gravano sulle nostre tasche vengono assunte in centri di potere esteri e subite dagli impotenti governi italiani.
Poiché la crescita o la diminuzione dello spread (cioè le speculazioni sui titoli di stato per le quali ogni cittadino è costretto a pagare più tasse) è determinata anche dalle decisioni della Banca d’Italia, un governo che avesse effettivamente a cuore gli interessi nazionali cercherebbe di restituire la sovranità allo stesso, onde poter in ogni momento tornare alla sovranità monetaria.
Nessuno vede nulla ed i principali partiti tacciono, schernendo come estremisti coloro che tentano di dire che il re è nudo, e, come già avvenne per il porcellum, un anno prima delle elezioni si accordano per cambiare le regole del gioco, modificando la legge elettorale in maniera da mettere a tacere chi protesta, magari dandogli il contentino del cosidetto “diritto di tribuna”, utile solo a loro per continuare a dare al popolo l’illusione della democrazia.
Il porcellum nacque dalla mente del leghista Calderoli. La Lega al governo ha consentito l’assalto alla sovranità nazionale e non si è attivata per rimuovere le lesioni alla stessa provocate dal governo Prodi. Cade Berlusconi e la Lega diviene partito di opposizione: la magistratura indaga e scopre che è vero quello che i giornali hanno pubblicato qualche anno fa, cioè che nel << cerchio magico>> si fanno affari non leciti.
Il tutto mentre alla Camera viene approvato l’emendamento Pini sulla responsabilità dei Giudici di cui si parla in altra parte di questo giornale.
Non sono leghista né andreottiano, ma come non condividere le parole del leader DC, che a pensar male si fa peccato, ma qualche volta si coglie nel segno?

 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 3_2012

 

Il Silvio Grillo

alt Dal mese di Maggio in libreria è possibile trovare una bella pubblicazione scritta dall’amico Fausto Pellegrini, oggi giornalista RAI, già vicedirettore di questa testata: "La bisaccia del giornalista". Una ricerca intellettuale su chi siamo, dove andiamo e come, utilizzando quale lente di ingrandimento il percorso dell’informazione ed il mondo dei media.
Quando l’autore illustra il passaggio dell’informazione dalle radio libere alle televisioni commerciali, non si limita a parlarci del mondo dei media, scrive un pezzo di storia di Italia, perché il successo politico nasce non solo dal controllo degli strumenti di comunicazione di massa, ma anche dalla capacità di utilizzarli.
Berlusconi ha avuto l’uno e l’altra e, quindi, i suoi avversari politici gli hanno addebitato di aver violato le regole del gioco, tanto più che, andando al potere, ha avuto la possibilità di incidere anche sul servizio pubblico.
Ho sempre ritenuto tale accusa fondata solo in parte, in quanto a Berlusconi si sono contrapposti dei validissimi networks economico editoriali, capeggiati dal gruppo La Repubblica / Espresso, che hanno privilegiato altri strumenti di comunicazione di massa, più tradizionali, ma tuttora altamente validi, anche perché indirizzati a fasce culturalmente più elevate e, quindi, con capacità di avvalorare il messaggio ricevuto e ritrasmetterlo sotto forma di docenza.
La mia analisi del berlusconismo si scontra spesso con quella degli amici di sinistra, in quanto essi ritengono che il leader del PDL sia la causa dell’attuale degrado culturale e morale della società.
E’ pacifico che tale degrado esista e che un certo modo di fare comunicazione si innesti in tale fenomeno, accentuandolo, ma non è metodologicamente corretto confondere i sintomi della malattia con le cause.
Le televisioni commerciali hanno preso il posto delle radio libere non perché Berlusconi ha fondato la Fininvest, ma perché l’evoluzione della tecnica rendeva economicamente inattuale sia il monopolio della RAI che il sistema para volontaristico sul quale nacquero le prime emittenti sull’onda dell’entusiasmo per le nuove possibilità di comunicare.
E’ stata la legge economica ad imporre la creazione dei network televisivi, pena la morte di ogni sistema alternativo alla comunicazione di stato.
Berlusconi ha intuito prima degli altri non solo dove andava il mondo della comunicazione, ma che la gente voleva un certo tipo di comunicazione e gliel’ha data, esattamente come è sempre avvenuto nel mondo.
I sovrani, ora con le feste popolari ora  con le esecuzioni in piazza, soddisfavano le esigenze popolari. Gli stati repubblicani, anche ad alto tasso di democrazia, come gli Stati Uniti, non si discostano di molto, con le immagini della sedia elettrica, dell’impiccagione di Saddam Hussein, della guerra in diretta e, anche, con il seppellimento in mare di Bin Laden.
E la democrazia italiana, con piazzale Loreto, non ha scelto di nascere dando in pasto ai sentimenti viscerali di un popolo, che non ne poteva più di morti e distruzioni, il cadavere del responsabile dell’evento e delle persone che gli sono rimaste vicine sino all’ultimo?
Basta andare in giro per il mondo e, nella propria stanza d’albergo, accendere la televisione ad audio spento per capire dalle immagini che Berlusconi è il frutto italiano della società non solo occidentale degli ultimi quaranta anni: un uomo che ne ha capito il funzionamento, le potenzialità degli strumenti tecnici ed ha avuto la capacità di cavalcare la tigre, assecondando le pulsioni popolari in luogo di tentare di guidarle.
La conseguenza o, a tutto voler concedere, il male della democrazia, ma non la causa della malattia.
Mentre i pseudo intellettuali si concentravano sul diavolo Silvio, impedendogli di invecchiare serenamente allietato dalle spudorate cortigiane del terzo millennio, qualcun altro studiava i mezzi di comunicazione di massa, faceva cioè lo stesso lavoro che fece Berlusconi negli anni ’70.
Sia l’ottusità che la prosopopea del potere rendono ciechi, così nessuno si è accorto che Beppe Grillo ha iniziato molti anni fa il percorso che oggi ha portato il movimento Cinque Stelle ad apparire come una nuova Lega Nord in versione nazionale.
Eppure l’artista cinque anni fa, nel 2007, tenne una conferenza al Parlamento Europeo in materia di nuove tecnologie, in altra occasione si presentò quale azionista all’assemblea dei soci della Telecom Italia per fare un intervento show e, ancora, scorrendo il suo curriculum, si troveranno centinaia di iniziative che forse alcuni hanno ritenuto comiche, ma in realtà rivelano una sottile pianificazione unita all’intuito dell’uomo di spettacolo che sa quale possa essere la reazione del suo pubblico.
Gli elettori come spettatori, ai quali strappare il voto anziché l’applauso, o magari entrambi.
Lasciarsi andare a facili battute, giocando sulla parola <<comico>>, per far credere che chi fa ridere gli altri sia in realtà un minus habens, significa non aver letto l’Amleto di William Shakespeare, fingersi pazzo per poter essere libero e dire la verità.
A’ livella, la poesia di Totò, non è stata da lui scritta per far ridere gli altri, ma è la denuncia sociale di un uomo nato Principe, che scelse di lasciare spazio alla propria umanità facendo ridere la gente, conscio che i principi si dimenticano, chi ha permesso ad un essere umano di abbandonarsi in una risata rimarrà sempre nel suo cuore.
Un comico può permettersi di tutto, anche di dare della salma al Presidente Napolitano senza essere denunciato per vilipendio al Capo dello Stato, cosa viceversa avvenuta in 24 ore ad un senatore della Repubblica per una critica politica.
Più i politici lo attaccano e più gli danno linfa vitale: lo ha capito Berlusconi, che va alle udienze del Tribunale di Milano perché, dopo le dimissioni, senza i processi, sarebbe caduto nell’anonimato; lo disse Mussolini, di cui si discute come se fosse vivo a 65 anni dalla morte: parlate male di me, purché parlate…

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 4_2012

Modalità di rimborso del contributo unificato per iscrizioni a ruolo

 alt
 
Le modalità di rimborso del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo pagato tramite modelli F23 nei due anni dal pagamento.
 
 
(Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 26  ottobre 2007)

 

PREMESSA
Con l’articolo 9 della legge 21 dicembre 1999, n. 488, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale delle Stato (Legge Finanziaria 2000), è stato istituito il contributo unificato per le spese degli atti giudiziari successivamente ridenominato contributo unificato di iscrizione a ruolo (di seguito: contributo unificato).
Per quanto attiene ai procedimenti giurisdizionali, civili, penali e amministrativi, la citata disposizione ha sostituito una serie di tributi e diritti con l’obbligo del versamento, da effettuare anticipatamente, di un importo forfetario determinato tendenzialmente in base al valore e alla natura del procedimento giurisdizionale di riferimento, indipendentemente dagli atti e dalle attività posti in essere. Così, per un’evidente finalità di semplificazione, sono stati eliminati tutti gli incombenti inerenti al procedimento relativi all’imposta di bollo, alla tassa di iscrizione a ruolo, ai diritti di cancelleria, nonché ai diritti di chiamata in causa dell’ufficiale giudiziario.
La disciplina del contributo unificato, entrata in vigore il 1° marzo 2002, è stata oggetto di varie modifiche ed integrazioni, trovando una più armonica e stabile collocazione normativa nel D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (a sua volta successivamente modificato, in alcuni aspetti rilevanti per il tema in esame, dall’articolo 21 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e dall’articolo 1, comma 1307, della legge 27 dicembre 2006, n. 296). Deve poi essere segnalato, per la sua rilevanza, il D.P.R. 1° marzo 2001, n. 126, recante Disciplina delle modalità di versamento del contributo unificato per le spese degli atti giudiziari.
Il quadro normativo va infine integrato con le istruzioni impartite al riguardo dal Ministero della Giustizia e diramate, in particolare, con le circolari 13 maggio 2002, n. 3, e 31 luglio 2002, n. 5.
Va, però, sottolineato che la normativa dettata in materia non ha espressamente considerato l’eventualità di un rimborso del contributo unificato, salvo un marginale accenno contenuto in una disposizione transitoria (articolo 4 del decreto-legge 11 marzo 2002, n. 28, convertito dalla legge 11 maggio 2002, n. 91), peraltro, diretto ad escludere la sussistenza del diritto alla ripetizione per gli eventuali versamenti in eccesso eseguiti prima del 12 maggio 2002.
Tuttavia, l’applicazione pratica e l’esperienza maturata hanno fatto emergere alcune situazioni-tipo legittimanti il diritto al rimborso delle somme versate a detto titolo.
La rilevata circostanza ha provocato riflessioni più puntuali intorno alla natura del contributo unificato e alla consequenziale definizione di un procedimento amministrativo di rimborso.
Quanto alla natura giuridica del contributo unificato, la Corte Costituzionale, facendo leva anche sulla funzione sostitutiva operata rispetto ad alcuni tributi erariali, ne ha messo in luce la connotazione di prestazione fiscale riconoscendo allo stesso “le caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario” (sentenza n. 73 del 7 febbraio 2005).
Tale connotazione riconosciuta al contributo unificato, unitamente all’ampio campo di applicazione, coinvolge le attribuzioni di varie Amministrazioni dello Stato, specie in presenza di una richiesta di rimborso, implicando potenziali conflitti di competenza e difficoltà procedimentali.
Ciò considerato, la presente circolare ha lo scopo di fornire sulla problematica in argomento utili istruzioni operative, sulle quali, in un’ottica di semplificazione e collaborazione amministrativa, si è acquisita la condivisione del Consiglio di Stato, del Ministero della Giustizia, del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento per le Politiche Fiscali e dell’Agenzia delle Entrate.
Prima di entrare nello specifico, corre l’obbligo di porre in risalto come le istruzioni che seguono non possono trovare applicazione, per ovvi motivi di economia procedimentale, nei riguardi delle pregresse istanze di rimborso ormai giunte alla fase di liquidazione presso le Direzioni provinciali dei servizi vari del Ministero dell’Economia e delle Finanze. In tali casi, infatti, è da ritenersi in via di definitivo perfezionamento il pagamento delle somme richieste, essendo stato seguito, in difetto di specifiche prescrizioni, il procedimento di rimborso di somme indebitamente versate all’erario previsto dall’articolo 393 delle Istruzioni generali dei servizi del tesoro, Secondo libro, approvate con decreto 10 luglio 1969 del Ministro del Tesoro.
Per completezza di informazione, si fa presente che con decreto 29 maggio 2007 del Ministro dell’Economia e delle Finanze – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2007, n. 163 – sono state approvate le Istruzioni sul servizio di tesoreria dello Stato e contestualmente abrogate le citate Istruzioni generali dei servizi del tesoro (sul tema si rinvia alla circolare n. 27 del 25 luglio 2007).

DIRITTO AL RIMBORSO
Il diritto al rimborso del contributo unificato insorge a favore dei soggetti che abbiano effettuato il versamento del tributo indebitamente ovvero in misura superiore a quella dovuta. Tali situazioni, senza pretesa di esaustività, possono ricorrere, ad esempio, nelle ipotesi di:
 * versamento di somme eccedenti lo scaglione di riferimento;
 * duplicazione dei versamenti;
 * versamento effettuato a fronte di procedimento giurisdizionale esente;
 * versamento al quale non ha fatto seguito il deposito e l’iscrizione a ruolo dell’atto introduttivo del giudizio.
Il diritto al rimborso deve essere esercitato, a mezzo apposita istanza, entro il termine di decadenza di due anni, decorrente dal giorno in cui è stato eseguito il versamento, giusta previsione dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
Le eventuali richieste prodotte oltre il suddetto termine biennale di decadenza non potranno trovare accoglimento. Ad ogni buon conto e in via generale, si rappresenta che, qualunque sia la situazione addotta, condizioni imprescindibili per l’utile proposizione dell’istanza di rimborso sono l’univoca identificabilità dell’ufficio giudiziario competente, del contribuente che ha effettuato il versamento e, infine, del giudizio di riferimento (chiaramente, nei soli casi in cui questo sia stato effettivamente incardinato).
In proposito, si significa che, per i soli versamenti eseguiti a mezzo F23, l’erronea indicazione del codice ufficio, come anche quella del codice tributo, di per sé non costituisce una ragione sufficiente a generare il diritto al rimborso di quanto versato. Invero, in simili evenienze, gli errori occorsi possono essere rettificati, inviando una apposita comunicazione in tal senso sia all’ufficio giudiziario interessato (o agli uffici giudiziari interessati), sia all’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al versamento eseguito, giusta le indicazioni fornite nelle risoluzioni 26 maggio 2000, n. 73, e 9 agosto 2000, n. 131, entrambe del Ministero delle Finanze, alle quali, ad ogni buon fine, si rinvia. Va da sé che la correzione operata consente di sfruttare utilmente il versamento rettificato per la successiva iscrizione a ruolo della controversia.
Nell’ipotesi di mancato deposito dell’atto introduttivo del giudizio a fronte di versamento eseguito presso le ricevitorie di generi di monopolio e di valori bollati (cosiddetto “versamento semplificato”), stante anche l’impossibilità di individuare l’effettivo contribuente, unico soggetto legittimato a chiedere un eventuale rimborso, deve ritenersi preclusa la possibilità di ottenere la restituzione delle somme versate.
Per evidenti ragioni di economicità amministrativa, nelle more dell’adozione del decreto o dei decreti previsti dall’articolo 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 – concernenti, tra l’altro, la semplificazione della disciplina sul pagamento delle somme di modesto ammontare – non va dato corso alle richieste di rimborso di importo complessivo inferiore a dodici euro, in coerenza con l’indicazione contenuta nello stesso articolo 25.

ISTANZA
L’istanza di rimborso, redatta in carta semplice (articolo 5 della Tabella allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642), è prodotta all’ufficio giudiziario competente, appartenente alla giurisdizione ordinaria ovvero a quella amministrativa, individuato sulla base del relativo procedimento giurisdizionale ovvero, nel caso questo non sia stato più promosso, dell’indicazione contenuta sul bollettino di conto corrente postale o sul modello di versamento F23 (nome o codice ufficio).
L’istanza può essere presentata direttamente all’ufficio giudiziario oppure spedita allo stesso con plico senza busta a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso di avvenuta presentazione dell’istanza ad ufficio incompetente, lo stesso provvede al successivo inoltro alla cancelleria dell’ufficio giudiziario competente, dandone notizia al contribuente. Qualora non risultasse possibile, sulla base degli atti e delle notizie in possesso, individuare l’ufficio giudiziario competente, l’ufficio che ha ricevuto l’istanza comunica al contribuente, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, che, salvo diversa utile indicazione da fornire entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione stessa, l’istanza di rimborso sarà inoltrata per l’istruttoria alla cancelleria del Tribunale Ordinario del proprio circondario.
Nell’istanza, oltre alle generalità, il richiedente o i richiedenti, sotto la propria responsabilità per la veridicità di quanto indicato, devono precisare:
 1. la data e il luogo di nascita;
 2. il codice fiscale;
 3. la residenza e il relativo codice di avviamento postale;
4. il domicilio, se diverso dalla residenza, e il recapito a cui indirizzare le comunicazioni con l’eventuale indicazione del numero di telefono e dell’indirizzo di posta elettronica;
5. gli elementi idonei alla agevole identificazione del giudizio per il quale è stato versato il contributo unificato (parti, numero di ruolo, ecc.);
 6. gli estremi del versamento o dei versamenti effettuati, con il relativo importo;
 7. l’importo richiesto a rimborso;
 8. la modalità di pagamento prescelta per il rimborso degli importi reclamati.
Inoltre, la medesima istanza deve contenere la dichiarazione, resa sempre sotto la responsabilità del contribuente, dell’inesistenza di altre analoghe richieste di rimborso fondate sui medesimi presupposti.
E’ appena il caso di soggiungere che la possibilità di proporre un’unica istanza riguardante più versamenti presuppone che essi siano ascrivibili al medesimo contribuente legittimato e all’identico ufficio giudiziario competente.
Per l’identificazione certa del richiedente, l’istanza di rimborso, al momento della presentazione, deve essere sottoscritta alla presenza del funzionario addetto al ricevimento degli atti.
In caso di presentazione effettuata a cura di soggetto diverso, oppure di invio eseguito a mezzo del servizio postale, l’istanza, già sottoscritta, deve essere corredata dalla copia fotostatica di un valido documento personale di riconoscimento del richiedente.
Per ogni istanza presentata direttamente all’ufficio giudiziario, dopo un generale e semplice riscontro formale, è rilasciata apposita ricevuta.
Per le richieste inoltrate mediante il servizio postale, ai fini della verifica della decadenza del diritto al rimborso, fa fede la data del timbro dell’ufficio postale accettante, mentre verrà preso in considerazione il momento di ricezione quanto al rispetto dell’ordine cronologico per la trattazione di tutte le istanze pervenute.
Nessuna responsabilità può derivare all’Amministrazione destinataria, salvo il caso di colpa imputabile alla stessa, dall’eventuale verificarsi di disguidi postali o di mancato recapito.
Le istanze devono essere corredate della documentazione comprovante il diritto al rimborso. In particolare, in caso di rimborso richiesto a fronte della mancata iscrizione a ruolo del procedimento giurisdizionale presso l’ufficio giudiziario, devono essere allegati, a pena di improcedibilità, tutti i documenti originali comprovanti l’avvenuto versamento del contributo unificato. Esemplificando, quanto al modello F23, devono essere prodotti in originale sia la “copia per il soggetto che effettua il pagamento” che la “copia per eventuale presentazione all’Ufficio” ed entrambi gli esemplari devono recare la quietanza resa dal soggetto che ha proceduto alla riscossione del contributo unificato (concessionario, banca o Poste Italiane S.p.A.). Parimenti, nel caso di versamento eseguito a mezzo conto corrente postale devono essere allegati in originale tanto il tagliando denominato “attestazione di versamento”, quanto quello denominato “ricevuta di versamento”.
All’istanza di rimborso deve essere altresì allegato, nell’ipotesi di mancata iscrizione a ruolo del procedimento giurisdizionale, l’originale dell’atto giudiziario, completo di notifica, in virtù del quale è stato effettuato il versamento.

CONTROLLO E LIQUIDAZIONE
L’ufficio giudiziario competente, una volta acquisita l’istanza di rimborso, provvede, preliminarmente, ad accertare la legittimazione del contribuente istante, il quale deve naturalmente coincidere con il soggetto che ha provveduto al versamento del contributo unificato.
In seguito, il medesimo ufficio procede al riscontro delle dichiarazioni rese e delle richieste avanzate, appurando, in particolare, l’effettività dell’importo del versamento (o dei versamenti) e la sussistenza, sulla base della documentazione prodotta e di quella già in possesso, dei presupposti indicati a fondamento del diritto vantato.
Per le richieste di rimborso a fronte delle quali l’originale del versamento è stato acquisito al fascicolo del procedimento, il funzionario responsabile della competente cancelleria individua, tra gli altri elementi, le circostanze che legittimano la richiesta di rimborso. In buona sostanza, il funzionario deve accertare la misura del contributo unificato dovuta per il procedimento di riferimento ovvero la sussistenza di ipotesi di esenzione, nonché l’importo del versamento effettuato e l’effettiva esistenza di differenze a favore del contribuente. Conclusosi il riscontro con il riconoscimento del diritto al rimborso e con la quantificazione del relativo ammontare, il predetto funzionario responsabile compendia gli esiti dell’istruttoria compiuta in un’apposita attestazione, affinché il servizio competente possa procedere alla susseguente fase di liquidazione.
Nel provvedimento di liquidazione sono indicati i dati necessari per individuare la decorrenza degli interessi, da calcolarsi per semestre intero, escluso il primo, dalla data di versamento sino alla data dell’ordine di pagamento, secondo le modalità e il saggio previsti dall’articolo 44 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. Il calcolo degli interessi maturati è effettuato dall’Agenzia delle Entrate.
Il competente funzionario dell’ufficio giudiziario adotta il provvedimento di liquidazione in un unico esemplare originale. Una copia del provvedimento, da mantenere agli atti d’ufficio, deve essere corredata della documentazione comprovante l’avvenuto versamento del contributo unificato. Necessariamente devono essere allegate le quietanze originali (modello F23, bollettino di conto corrente postale) per i rimborsi eseguiti in assenza di procedimento giurisdizionale instaurato, ovvero, negli altri casi, l’attestazione con cui è stato accertato il diritto al rimborso, nonché una copia dichiarata conforme della ricevuta di versamento inserita nel fascicolo processuale di riferimento.
Al chiaro scopo di evitare il rischio di duplicazione di pagamenti, sull’originale della ricevuta di versamento e sull’originale dell’atto cui la stessa è stata acclusa o applicata deve essere riportato in debita evidenza l’avvenuto riconoscimento del rimborso, indicando l’importo e gli estremi del relativo provvedimento di liquidazione.
Terminata l’istruttoria con il riconoscimento e la quantificazione del rimborso, totale o parziale, del contributo unificato versato, l’ufficio giudiziario provvede a trasmettere il provvedimento di liquidazione all’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate competente per territorio, individuato sulla base della sede dell’ufficio giudiziario emittente, trattenendo la copia della documentazione a supporto del rimborso per gli eventuali successivi controlli.
Dell’avvenuta trasmissione è data contestuale notizia al contribuente beneficiario sempre a cura dell’ufficio giudiziario.
Il provvedimento di liquidazione deve contenere: i dati anagrafici ed il codice fiscale del contribuente titolare del rimborso, la somma da rimborsare, la data di decorrenza degli interessi (ovvero la data di versamento del contributo unificato), nonché, qualora sia stato richiesto il pagamento a mezzo accredito, le coordinate del relativo conto corrente bancario o postale secondo lo standard internazionale IBAN (costituite dai codici: Paese, Check digit, CIN, ABI, CAB, numero di conto) intestato o cointestato al contribuente beneficiario.

PAGAMENTO
L’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, una volta ricevuto il provvedimento di liquidazione, provvede ad acquisire i dati ivi inseriti e ad esperire i dovuti riscontri di natura formale. Successivamente, nel rispetto dell’ordine cronologico dei provvedimenti di liquidazione pervenuti ed in base agli stanziamenti in bilancio, l’Agenzia delle Entrate esegue il pagamento delle somme a rimborso, emettendo apposito ordinativo, comprensivo del capitale e degli interessi maturati, a favore del beneficiario.
L’emergenza di carenze o irregolarità nel provvedimento di liquidazione deve essere tempestivamente segnalata dall’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate all’ufficio giudiziario emittente per consentire l’adozione degli opportuni interventi correttivi.
L’ordinativo è emesso con procedura automatizzata secondo le modalità previste nel decreto 29 dicembre 2000 adottato dal Direttore generale del Dipartimento delle Entrate – Ministero delle Finanze.
Per il pagamento delle somme da rimborsare vanno utilizzati i seguenti stanziamenti iscritti nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze, unità previsionale di base Politiche fiscali:
* 6.1.2.2 Restituzione e rimborsi di imposte – capitolo 3812 Restituzioni e rimborsi di altre imposte, tributi, contributi e addizionali – per il capitale;
* 6.1.7.1 Interessi di mora – capitolo 4016 Interessi di mora da corrispondere ai contribuenti sulle somme indebitamente riscosse dall’erario per tasse e imposte indirette sugli affari. Interessi da corrispondere ai contribuenti sulle somme da rimborsare a titolo di imposta sul valore aggiunto – per gli eventuali interessi.
L’estinzione del titolo di spesa avviene mediante accreditamento su conto corrente bancario o postale intestato al beneficiario oppure, in mancanza dei dati necessari per l’accredito, a mezzo vaglia cambiario non trasferibile emesso dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 5 del citato decreto del 29 dicembre 2000.
Estinto il titolo di spesa, le risultanze dei pagamenti giunti a buon fine sono comunicate a cura dell’Agenzia delle Entrate al competente ufficio giudiziario.
 

RECUPERO DELLE SOMME ERRONEAMENTE RIMBORSATE
Nel caso di somme indebitamente rimborsate per errori occorsi nel procedimento di liquidazione oppure per altri disguidi, il competente ufficio giudiziario, informato al riguardo dall’Agenzia delle Entrate, provvede – in analogia con quanto previsto dall’articolo 16 del D.P.R. n. 115/2002 in caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato – al recupero delle relative somme mediante iscrizione a ruolo ai sensi dell’articolo 43 del D.P.R. n. 602/1973, e successive modificazioni.
Sono pure applicabili, in quanto compatibili, le altre disposizioni in materia di riscossione del contributo unificato (Parte VII, Titolo VII, del D.P.R. n. 115/2002).

CONTENZIOSO
Le eventuali controversie sull’entità dell’importo rimborsato ovvero sulla fondatezza del diritto al rimborso, rientrando nella sfera di cognizione del giudice tributario, sono disciplinate dalle disposizioni previste per il processo tributario contenute nel D.Lgs. n. 546/1992.
Nello specifico, il ricorso può essere proposto avverso il rifiuto espresso o tacito del rimborso, secondo le modalità previste dagli articoli 18 e 20 del suddetto decreto legislativo, avanti alla competente Commissione Tributaria Provinciale o, per le province di Bolzano e Trento, avanti alla competente Commissione Tributaria di 1° grado. Il ricorso deve essere notificato al solo ufficio giudiziario che non ha accolto, in tutto o in parte, il richiesto rimborso.
Per quanto attiene all’ipotesi di rifiuto tacito, si evidenzia che il ricorso può essere proposto entro il termine ordinario di prescrizione decennale, ma solo una volta trascorsi novanta giorni dalla presentazione dell’istanza di rimborso (articolo 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992). Si rammenta che tale istanza di rimborso deve essere prodotta, a pena di decadenza, entro due anni dal versamento del contributo unificato.
Nella diversa ipotesi di rifiuto espresso alla restituzione delle somme versate, il provvedimento di rigetto, da notificare al contribuente istante, deve contenere l’indicazione del termine di decadenza entro il quale l’eventuale ricorso deve essere proposto, delle forme da osservare per la sua proposizione, nonché della Commissione tributaria competente.

MODULISTICA
Con l’intento di rendere più agevole il lavoro degli uffici, semplificando il procedimento amministrativo relativo alla trattazione delle istanze di rimborso, si forniscono, in allegato, alcuni modelli inerenti al procedimento in argomento e rispondenti alle indicazioni delineate nella presente circolare.
I modelli predisposti si sostanziano in uno schema di istanza di rimborso (Allegato 1), in uno schema di provvedimento di liquidazione (Allegato 2) e in uno schema di provvedimento di rigetto della richiesta di rimborso (Allegato 3). È appena il caso di soggiungere che i fac-simile allegati costituiscono soltanto degli schema-tipo, suscettibili di eventuali opportuni adattamenti in presenza di situazioni specifiche o particolari (ad esempio: richieste di rimborso concernenti una pluralità di versamenti; richiesta degli aventi causa del titolare, nel frattempo deceduto, del diritto al rimborso; accoglimento parziale dell’istanza; ecc.).

Allegato: modulo di istanza di rimborso (G.U., Serie generale, n° 261 del 9.11.2007, pagg. 60/61)