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La nota stonata

alt L’avvocatura e tutte le libere professioni sono in fermento per i provvedimenti del Governo in materia di liberalizzazioni e scioperano in difesa del sistema tariffario in vigore sino al decreto legge emanato mentre redigo queste righe.
Chi mi conosce sa che non ho il timore di scrivere ciò che penso, anche in contrasto con la maggioranza, e che spesso ho definito <<nanismo intellettuale>> l’attaccamento a sistemi professionali validi nel XX secolo, ma ora obsoleti.
Per quanto riguarda gli avvocati, basta sfogliare TopLegal, una rivista dedicata ai grandi studi associati, per rendersi conto che, quando si parla di liberi professionisti, ci si riferisce a due realtà del tutto disomogenee tra di loro, quella delle centinaia di migliaia di legali che curano principalmente il contenzioso dei privati cittadini (o li difendono nei confronti di poteri forti) e quella delle poche centinaia di studi che operano in maniera imprenditoriale per accaparrarsi la fascia economica di mercato più ricca, quella dell’assistenza alla grande e media impresa, della consulenza alla P.A. per questioni di alto livello, dei rapporti con la clientela estera che vuole operare in Italia, oltre che delle questioni internazionali di imprenditori e cittadini italiani.
E’ bella e romantica l’immagine del cavaliere errante, paladino dei poveri e degli oppressi, che va lì ove c’è da battersi per una giusta causa, ma se il cavaliere errante è affamato o lotta contro un esercito moderno con la sola spada, fosse anche Durlindana, egli potrà al massimo aprire la breccia pirenaica, ma è destinato a soccombere.
E, poi, quando una professione da elitaria diviene di massa, il maggior numero dei suoi protagonisti non è più costituito da ricchi paladini sognatori di gloria, ma da manodopera intellettuale disillusa che tenta la strada libero professionale per fuggire dall’impossibilità di accedere ad un impiego stabile e dignitoso.
Allora, rispetto alla voglia di battersi per una giusta causa, prevale lo spettro della disoccupazione e la necessità di tutelare non già le ragioni del consumatore contro i potenti, ma la propria esistenza lavorativa, cioè la <<pagnotta>>.
Così anche una multa stradale diviene un business, con cavilli sui moduli lì dove il paladino della giustizia dovrebbe, ad esempio, pianificare un’azione contro la scelta sistematica degli enti locali di imporre divieti assurdi per avere la certezza di infrazioni in un determinato luogo e, così, fare cassa, reintroducendo la gabella dei due fiorini tanto ben rappresentata da Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere.
In questo contesto continuare a udire termini quali <<dignità della toga>>, tutela dei diritti del cittadino o altri simili paroloni fa un po’ sorridere, specie quando a pronunciarle sono esponenti del CNF o degli Ordini professionali che per anni hanno assistito inerti al disfacimento del ruolo del difensore, accettando supinamente che lo stesso si trasformasse in un segretario di udienza, che scrivesse i verbali sulle spalle del collega o su tavoli improvvisati, che fosse chiamato a discutere una causa ad una certa ora e poi la sentisse trattare con due / tre ore di ritardo.
Molti di coloro che, in tutta Italia, stanno oggi chiamando l’avvocatura alla mobilitazione sono quelli che, al praticante, hanno insegnato come vigilare sull’integrità del <<mucchio>> dei fascicoli d’udienza piuttosto che le azioni giudiziarie necessarie per battersi contro questo scandaloso italico sistema di regolamentare la mattinata del difensore dei diritti.
Molti avvocati, ad una settimana dalle elezioni forensi, si stanno battendo in difesa di un sistema che è economicamente morto, perché la proletarizzazione della professione (cui anch’essi hanno contribuito quali remissivi commissari di esami di abilitazione di fronte a candidati impreparati) ha fatto sì che non vi sono più risorse (cioè contenziosi, nel caso degli avvocati del settore litigioso) sufficienti per far mangiare tutti  e, altresì, il sistema non è più in grado di dare risposte in tempi adeguati.
Senso di responsabilità dovrebbe loro imporre di portare l’attenzione del Governo non già sul problema delle tariffe e dei (presunti) privilegi che da esse derivano, ma sul fatto che si è dichiarata guerra ad un ammortizzatore sociale: la disoccupazione intellettuale, con l’entrata a regime dei provvedimenti liberalizzatori, da occulta diviene realtà ufficiale e, quindi, piaga sociale che colpisce non già ricchi proprietari, ma giovani lavoratori laureati disoccupati e senza cassa integrazione.
Chi scrive ha uno studio organizzato e sta da tempo lavorando per adeguare le proprie strutture alle nuove realtà, cosciente che il sistema tariffario era solo un paracadute per sperare di salvarsi dal cliente insolvente per sua scelta o per impossibilità di pagare i servizi, specie quando essi consistono in predisporre atti, ma non ottenere alcun risultato a causa delle lungaggini processuali.
Parlo di paracadute perché oltre la metà degli avvocati che operano nel piccolo e medio contenzioso giudiziario si fanno in realtà pagare in misura pari alle liquidazioni giudiziali, spesso infime, dopo l’uscita della sentenza ed il recupero del credito ed iniziano il loro lavoro con un piccolo fondo spese, ove non le anticipano essi stessi per ottenere il mandato. Il che significa che, nella maggioranza dei casi, le tariffe minime non vengono applicate e si lavora con una remunerazione inferiore a quella sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, come previsto per ogni lavoratore dall’art. 36 Cost..
Il grande capitale è già entrato nelle società professionali in maniera più o meno occulta: chi si riempie la bocca dei paroloni sul diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. che verrebbe limitato dagli interessi dei capitalisti trovi il nominativo di un avvocato italiano che ha rinunciato alla difesa di un cliente portatore di un grandissimo fatturato solo perché gli chiedeva non di compiere illeciti, ma di sostenere tesi giuridicamente infondate o eticamente censurabili…
Ai leader dell’avvocatura chiedo di avere il coraggio di abbandonare la retorica e di dichiarare al Governo che la professione è arrivata alla frutta e, quindi, se si tolgono i paracadute, almeno si offrano nuove vie di fuga, quali la liberalizzazione e privatizzazione dei servizi collaterali (ad esempio le notifiche), onde occupare nuovi spazi per offrire effettivamente servizi migliori.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 1_2012