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Giustizia e nanismo

altNon è mio stile utilizzare le pagine di questo giornale per parlare di vicende che mi coinvolgono personalmente. E’ una scelta di etica giornalistica, ritengo che non sia corretto utilizzare le pagine di una testata che si dirige per indirizzare l’opinione pubblica in una questione giudiziaria in cui si è obtorto collo protagonisti.

Altri la vedono diversamente, in questi giorni si parla del caso Sallusti ed egli utilizza le pagine de Il Giornale per far conoscere la propria opinione su quella che è palesemente un’ingiustizia che rischia di mettere in pericolo il principio di libertà di espressione solennemente sancito dall’art. 21 della Costituzione: è legittimo, quel caso giudiziario attiene alla professione di giornalista e il diffamato era un Magistrato, mentre nel mio caso è stata la libertà della professione forense ad essere l’oggetto indiretto dell’azione giudiziaria e, quindi, spettava ad altri e non all’imputato assumere il ruolo di difensore.

Ora che la vicenda si è conclusa e la Magistratura ha affermato definitivamente che un avvocato era stato indagato e condannato in primo grado per un “fatto che non sussiste”, è però doveroso chiedersi come tutto ciò sia potuto accadere.

Il caso è stato trattato per sette anni dalla stampa ed è presente su internet, quindi dedicherò cercherò di riepilogarlo in poche righe.

Marzo 2005: ricevo da un cliente l’incarico di assisterlo perché vuole denunciare alla Magistratura una grave violazione delle regole democratiche, la partecipazione alle elezioni regionali del Lazio della lista Azione Sociale, messa su dall’on. Alessandra Mussolini in competizione e disturbo del presidente uscente, Francesco Storace.

Si deduce che la violazione consisterebbe nell’aver presentato la lista, utilizzando migliaia di firme false. Mi vengono consegnate le prove della falsità, costituite dalle copie delle certificazioni anagrafiche ove è annotato il rilascio di una carta d’identità diversa da quella che si afferma sarebbe stata utilizzata per la identificazione dei firmatari.

Deposito denuncia e documenti consegnatimi (dei quali rilascio per trasparenza regolare ricevuta) alla Procura della Repubblica e, poi, copia del tutto alla Commissione elettorale presso la Corte di Appello di Roma che, in adesione all’istanza ritualmente presentata, in autotutela revoca l’ammissione della lista alla competizione elettorale.

Tutte le pronunce successive della Magistratura confermeranno che quella esclusione era legittima e doverosa, ma l’allora Sindaco di Roma, Walter Veltroni, si butta a capofitto della vicenda, denunciando che l’acquisizione dei certificati elettorali via internet era una incursione informatica dell’avversario politico Francesco Storace.

La strana alleanza Veltroni / Mussolini si rivela vincente sia per quest’ultima, dato che il Consiglio di Stato la fa partecipare provvisoriamente alle elezioni regionali, sia per la Sinistra tutta, la cui stampa trasforma una richiesta di tutela giudiziaria nel Laziogate, con una campagna scandalistica che farà perdere le elezioni a Storace e, poi, lo indurrà a dimettersi da Ministro della Salute, non perché qualcuno glielo abbia imposto, ma perché la sua etica da combattente vigoroso, ma intimamente gentiluomo gli impone di farlo.

Nel frattempo la Magistratura indaga e non risparmia nessuno: così la richiesta di documenti necessari per provare il reato fatta dall’avvocato si trasforma in un’ipotesi di “istigazione” al reato di “accesso abusivo ad un sistema informatico” di cui il pentito di turno si confessa autore, patteggiando una pena illusoria per trasformarsi nell’accusatore principale (e, invero, unico) dell’uomo politico vittima del reato elettorale, Francesco Storace, facendolo diventare il colpevole per l’opinione pubblica.

Fermo restando che ora si può affermare pubblicamente l’ “accesso abusivo ad un sistema informatico” non è mai esistito, è indubbio che tale reato sia da classificarsi giuridicamente tra le ipotesi criminose di minore entità: tuttavia un Giudice monocratico trasforma il relativo procedimento in una sorta di maxiprocesso, imponendo ritmi tanto serrati da smentire i dati sulla lentezza dei processi.

La percezione psicologica di tutti gli imputati in quei giorni è che il processo fosse lo strumento per arrivare alla condanna piuttosto che per ricercare la verità, ma nessuno perde fiducia nella Magistratura, anche quando si arrivò ad una condanna clamorosa: il nostro sistema giudiziario prevede tre gradi di giudizio.

Certo è duro, per un giurista, leggere che la prospettazione al cliente di un possibile accoglimento dell’azione giudiziaria può trasformarsi, per l’avvocato, in un’ipotesi di concorso morale nell’altrui reato, ma, si sa, una delle caratteristiche del diritto è quella di evolversi e, quindi, l’unico rimedio tecnico è il gravame.

La Corte di Appello di Roma, il 29 Ottobre 2012, ha dichiarato su conforme richiesta del P.G. che “il fatto non sussiste”.

Qualche fatto però rimane e non solo per il danno provocato ai protagonisti dal processo e dal suo clamore mediatico: affrontando e parlando con altri avvocati della mia vicenda, si scopre che il mio caso di coinvolgimento in fatti che riguardano il cliente in dipendenza dell’attività forense non è isolato.

E’ possibile che un avvocato sia coinvolto in illeciti del cliente, ma se si identifica tale coinvolgimento nell’attività di consulenza che viene identificata come concorso morale, significa che la Magistratura ha dichiarato che la professione forense è una professione ad alto rischio, come quella della Croce Rossa in una zona di guerra.

Di fronte a tutto ciò, cosa ha fatto l’Avvocatura nel mio caso, così come in quelli dei tanti onesti colleghi coinvolti in vicende similari? E’ rimasta silente, limitandosi a consentire al collega di continuare a lavorare, in una sorta di nanismo castrante che contribuisce al degrado della giustizia.

Io non intendo unirmi al coro del silenzio e, uscito dal vincolo che mi ero imposto quale imputato, denuncio pubblicamente che il coinvolgere gli avvocati come concorrenti di altrui reati costituisce un grave attentato al diritto di difesa, contro cui le associazioni forensi, se vogliono avere una ragione di esistere, debbono battersi.

Il diritto di difesa è la differenza tra una dittatura e uno stato democratico, anche la Magistratura dovrebbe ricordarlo allorché formula simili affrettate accuse.

Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

 

Il golpe democratico

alt E’ arduo tentare di dimostrare a qualcuno che lo stanno prendendo in giro, specie quando intorno a lui vi sono tante persone che creano confusione, dando le informazioni più disparate e contraddittorie. Ciò che rende ancor più difficile tale ingrato compito è che, in un simile contesto, per illustrare la realtà è necessario essere più noiosi di quello che lo era il Grillo Parlante con Pinocchio. E’ quindi con scarsa gioia che scrivo queste righe, pensando che è altissimo il rischio che qualche lettore, tediato da un incrocio assurdo di norme, potrebbe non riuscire ad arrivare sino alla fine della dissertazione. Tuttavia, dato che, per dimostrare una realtà scomoda, occorrono fatti e non proclami, non mi esimerò dall’ingrato compito. Si afferma che l’economia italiana rischia di andare in crisi perché si avvicina un momento di altissima instabilità a causa della contemporanea scadenza delle Camere (il 30 Aprile 2013) e della fine del mandato del Presidente, Giorgio Napolitano (il 15 Maggio 2013). Alla fine del suo mandato Giorgio Napolitano avrà 88 anni e, quindi, non appare anagraficamente nemmeno ipotizzabile una sua nuova candidatura per un altro settennato. Si sostiene anche che l’unica garanzia per l’Italia in Europa sarebbe Mario Monti. Nel frattempo i partiti politici disquisiscono di come cambiare la legge elettorale, cioè le regole del gioco democratico, malgrado la competizione sia legalmente quasi già aperta, come vedremo nelle righe che seguono. Sulla base di questi elementi si vorrebbe che gli Italiani accettassero qualsiasi scelta e in silenzio. E ciò che si profila è un nuovo golpe democratico, ove una abile regia di poteri forti porterà il Paese ad illudersi di aver scelto ciò che, viceversa, è stato deciso a tavolino. Il piatto che verrà servito sarà che, per la salvezza dell’Italia, è necessario votare Mario Monti, il quale solo all’ultimo minuto accetterà l’ingrato compito…Stimo molto l’attuale Presidente del Consiglio, pur non condividendo le sue scelte di attuare il risanamento economico attraverso la macelleria sociale, anche perché ho sempre apprezzato le persone dotate di cultura, educazione e preparazione, ritenendo tali qualità il presupposto per assumere cariche pubbliche di rilievo. Purtroppo la scelta dei politici di privilegiare nelle loro liste comici, ballerine, portaborse e gli altri simili personaggi che infestano il Parlamento illumina di una luce eccessiva chi sia da essi diverso. La prova del fatto che vi è un’intesa tra i partiti che rappresentano l’attuale maggioranza ed il Governo per arrivare ad una “soluzione elettorale guidata” che escluda dal Parlamento le voci del dissenso si rinviene utilizzando la logica ed analizzando la normativa elettorale. Iniziamo dalla logica: Mario Monti è persona di prestigio, gradito rappresentante dell’Italia sia da parte dell’Europa che dei poteri bancari dai quali proviene. Egli è sicuramente persona degna di rappresentare l’Italia al più alto livello. In questo momento ha una maggioranza parlamentare che nessuno potrebbe ipotizzare dopo le elezioni 2013 ed è stimato dal Presidente Napolitano, che lo ha fortemente voluto alla guida del Paese. Per evitare l’instabilità del doppio vuoto istituzionale della Primavera 2013 sarebbe sufficiente che, dopo aver ricevuto dai partiti una formale dichiarazione di convergenza sul nominativo di Mario Monti a Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano si dimettesse, rinunciando a sei mesi di presidenza. Una simile scelta da parte di un uomo di 87 anni del suo prestigio non dovrebbe essere particolarmente pesante, anche perché ne consacrerebbe l’operato nei libri di storia e consentirebbe al Paese di scegliere il nuovo Parlamento con serenità e senza coercizioni morali. Sulla grande stampa non si legge di alcuna proposta in tal senso: poiché la logica è la regina delle prove, si ritiene dimostrato che la partita che si gioca è un’altra, ove la libertà di scelta dell’elettore non è certamente privilegiata. Passiamo dalla logica all’analisi della normativa elettorale: il Parlamento dovrebbe essere rinnovato a fine Aprile 2013 e, comunque, non oltre l’8 Luglio 2013, atteso che l’art. 61 stabilisce che “le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti” e che i poteri delle Camere sono prorogati sino alla prima riunione delle nuove (avvenute il 30 Aprile 2008). Il che, incidentalmente, significa che l’attuale Parlamento potrebbe anche rimanere in carica il tempo necessario per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, senza necessità di dimissioni anticipate di Napolitano, ove il Consiglio dei Ministri ciò stabilisse ai sensi dell’art. 11 L. 361/1957 che recita che i “comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri”. Il problema è che, ai sensi dell’art. 57 Cost., e che l’art. 14, 3° co., della L. 53/1990 stabilisce che le firme per le liste elettorali possono e devono essere raccolte nei sei mesi precedenti “il termine finale fissato per la presentazione delle candidature”. L’obbligo della raccolta delle firme vale solo per i partiti che non siano già rappresentati in Parlamento. Ne deriva che i nuovi partiti devono formare le liste ed iniziare a raccogliere le firme dal 30 Ottobre 2012, ma non possono farlo perché non si è provveduto a ripartire i seggi tra le circoscrizioni in seguito al censimento ISTAT 2011 e, se cambierà la legge elettorale mentre la raccolta delle firme è già iniziata, gli stessi dovranno ricominciare da capo e con meno tempo a disposizione. La maggioranza, cioè il consorzio di tutti i maggiori partiti, vivrà di rendita, alla faccia della democrazia auspicata dai Padri costituenti e il golpe democratico si potrà realizzare senza tanti clamori.

 

di Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

Fondo 6_2012

 

 

 

Il golpe dell’appello

alt Vi sono tanti modi per affrontare un problema: alcuni scelgono di confrontarsi con le altre parti interessate, altri preferiscono percorrere altre strade. C’è a chi la concertazione non piace, come all’attuale Presidente del Consiglio, che lo considera un male italiano: onore a questa dichiarazione, che consente di avere ben chiara quale sia la concezione della democrazia del sen. Monti e di chi lo sostiene, sicché ognuno potrà decidere in piena consapevolezza se condividerla o meno allorché, nel 2013, sarà finalmente possibile esprimersi con il voto. Sicuramente la giustizia italiana ha un problema: troppe cause anche in conseguenza di un numero eccessivo di avvocati provocato dallo sciagurato Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 215 del 7 settembre 1944, che, all’art. 1, sospese “temporaneamente … l’applicazione delle norme concernenti la limitazione del numero dei posti da conferire annualmente per l’iscrizione o per trasferimento negli albi degli avvocati”, cioè il numero chiuso degli esercenti la professione forense, che, sino alla caduta del Fascismo, funzionava come quella dei notai. Il sistema giudiziario italiano era concepito sulla base dei principi derivati dal diritto romano, con i Tribunali che decidevano sempre in composizione collegiale e con le Preture che si occupavano delle questioni di minor rilevanza economica, ancorché a volte socialmente deflagranti, e delle questioni d’urgenza. I Pretori erano magistrati togati di grande valore, capaci di dare veramente giustizia, per lo più giovani, che trasferivano nei collegi le esperienze accumulate nel territorio. I Tribunali erano viceversa concepiti per controllare l’operato dei Pretori e per occuparsi delle questioni di maggior rilievo. Poi le riforme, assolutamente inorganiche, che hanno abolito le Preture, istituito i Giudici monocratici di Tribunale e le sezioni staccate degli stessi, nei locali delle ex Preture, sicché si è passati da un sistema centrale che esercita la giurisdizione in sede locale ad una giustizia localizzata nella quale i politici di turno sperano di cimentarsi nel business della edilizia giudiziaria. Il Governo Monti, in contrasto formale con il CNF, ma sostanzialmente in linea con il pensiero ed i modi di operare dei suoi vertici, ha deciso di attuare una controriforma il cui effetto sarà che la libera professione non costituirà più quell’ammortizzatore sociale che è stato negli ultimi cinquanta anni. Infatti i piccoli studi saranno costretti a chiudere per effetto della perdita delle tutele residue, dei costi del contenzioso e della necessità di organizzarsi in strutture ben organizzate per far fronte alle miriadi di incombenti imposte dalle varie normative (fiscali, sulla privacy, sulla salute dei lavoratori, sulla privacy, sul riciclaggio, ecc.). Per farlo Monti ha scelto non già la strada diretta di una riforma organica, ma quella di tagliare con norme sparse qua e la i tanti vasi capillari che davano linfa ad un sistema di libero individualismo sicuramente malato, ma che, morendo, trascinerà con sé non solo le proprie scorie, ma anche quel bene prezioso che esso aveva incarnato, la libertà di difesa che avrebbe dovuto essere esaltata. Perché se è teoricamente accettabile (o, comunque, discutibile costruttivamente) un drastico sistema di riduzione del numero degli esercenti una professione ed una rivisitazione della geografia giudiziaria, è sicuramente inaccettabile il taglio delle motivazioni dei provvedimenti giurisdizionali e delle possibilità di impugnarli. Significa trasformare i giudici monocratici, in quanto tali più facilmente esposti ad errori e condizionamenti, da esponenti di grande rilievo di un sistema comunque improntato alle garanzie dei tre gradi di giudizio a “quasi dittattori” di un sistema che si manifesta in partenza refrattario alla critica intellettuale costituita dall’appello. Non sfuggirà ai lettori conoscitori delle elementari cognizioni del diritto pubblico come l’ultimo decreto legge emanato dal Governo per la “crescita dell’Italia“, cioè il D.L. 83/2012, contenga agli artt. 54, 55 e 56 una profonda aberrazione giuridica, una sorta di golpe in danno della giustizia civile, che non si riesce a comprendere come possa essere stato avallato dal Presidente della Repubblica con la propria firma. Infatti, probabilmente per la prima volta nella storia della Repubblica, si legge su un decreto legge: “Le disposizioni di cui al comma 1, lettere a), c), d) ed e) si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (art. 54, 2° co.). Una disposizione analoga è prevista per il successivo art. 55 di riduzione delle possibilità di trovare tutela nella cosiddetta legge Pinto. L’art. 77 della Costituzione, norma fondamentale della democrazia parlamentare repubblicana, in assenza della quale si sarebbe affermato che alla dittatura fascista è succeduta una dittatura democratica di staliniana memoria, afferma che il Governo può emanare “decreti che abbiano valore di legge ordinari” solo “in casi straordinari di necessità ed urgenza”. La Corte Costituzionale, con la sentenza n 360/1996, aveva imposto severe restrizioni alla prassi dei governi sino ad allora succedutisi di servirsi dello strumento del decreto-legge per assumere di fatto il ruolo del Parlamento. Non è necessario essere dei giuristi per capire che una norma che entra in vigore trenta giorni dopo la legge di sua conversione non ha il requisito dell’urgenza e, quindi, non poteva essere utilizzata dal Governo quale strumento normativo e non doveva portare l’avallo del capo dello Stato, in altre occasioni attento difensore della legalità costituzionale. Il gioco è chiaro: il Governo porrà la fiducia sul decreto e una norma non urgente diventerà legge, perché non si potrà immolare il “salvataggio” dell’Italia sull’altare delle garanzie del cittadino ad avere un appello equo di fronte ad una possibile sentenza civile ingiusta. Ci si potrà appellare al golpe e sollevare l’eccezione di incostituzionalità, ma probabilmente si rimarrà senza appello in una Italia salva, con Tribunali funzionanti, ma priva di giustizia.

Romolo Reboa

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 5_2012

 

Tutela della salute

alt

Una clamorosa sentenza, che ha condannato i Monopoli di Sato a risarcire con un milione di euro, la famiglia, rappresentata e difesa dall’avv. Romolo Reboa, a titolo di danno biologico subito dalla vittima a causa delle proprie mansioni lavorative. 

Diritto di visita

 

alt

Il genitore affidatario dei figli minori deve collaborare al diritto di visita dei figli da parte dell’altro genitore. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto la richiesta di risarcimento dei danni morali avanzata da un padre separato nei confronti della ex moglie che aveva “assecondato il rifiuto opposto dalla figlia minore alla frequentazione col padre”. 

 Sentenza 1789.12 Cassazione sulle spese;

Interpello

alt

Con la sentenza 17010/2012 la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi sulla impugnabilità dell’“interpello disapplicativo” di cui all’articolo 37– bis comma 8, del Dpr 600/1973, fornendo delle argomentazioni diverse da quelle contenute nella sentenza 8663/2011. 

Sentenza 17010.12 Cassazione;

Mediazione civile

alt

 

Il  TAR, con ordinanza del 12 aprile 2011 (r.o. n. 268 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e dell’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 , in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali). 

Corte Costituzionale: sentenza sulla illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria;

 

Liquidazione delle spese di lite

  altIl Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma comunica che, unitamente all’Avvocatura capitolina, ha dato avvio all’attuazione del Protocollo d’Intesa siglato con il Sindaco Gianni Alemanno per la liquidazione delle spese di lite e di competenze legali relative alle sentenze pubblicate prima del 28 aprile 2008, nonché agli atti di precetto ed ai pignoramenti antecedenti al 4 luglio 2008 (D.P.C.M. del 4 luglio 2008 conseguente al D.L. 112/08 art. 78). Detto Protocollo prevede che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma raccolga e verifichi le relative documentazioni trasmettendole poi ai competenti Uffici Capitolini per l’avvio della procedura di liquidazione. Gli Avvocati potranno prendere appuntamento telefonico ai numeri 06.68474347 – 06.68474313 con la Segreteria dell’Ordine per il deposito della documentazione richiesta al fine di procedere alla riscossione dei crediti. Gli Avvocati interessati dovranno consegnare l’originale o la copia autentica più una fotocopia: della sentenza in forma esecutiva; dell’atto di precetto; dell’ordinanza di improcedibilità del pignoramento presso terzi o dell’atto di pignoramento; delle dichiarazioni di cui agli allegati; del modulo di deposito documenti; specifica conteggi. Successivamente i suddetti atti e documenti saranno consegnati all’Avvocatura di Roma Capitale o all’Ufficio Contravvenzioni in base all’oggetto della sentenza, sarà emessa una Determinazione Dirigenziale Comunale, apposto il visto dell’Avvocatura, del Segretariato e consegnati al Commissario Governativo. Il pagamento sarà eseguito dal Commissario Governativo nella misura del 90% dell’importo riconosciuto, verrà rimesso al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma che provvederà a bonificarlo sul conto corrente indicato dall’Avvocato, il quale emetterà la relativa fattura.

PAGAMENTO COMPETENZE LEGALI PER LE SENTENZE CONTRO ROMA CAPITALE

DOCUMENTI DA CONSEGNARE

PER AVVOCATO ANTISTATARIO

PER SENTENZE PUBBLICATE PRIMA DEL 28 APRILE 2008

sul valore delle competenze e diritti spettanti all’avvocato aggiungere il 12,5%, più la C.P.A. 4%, più l’IVA al 21%, meno ritenuta di acconto aggiungere le spese successive sottoelencate:

15 – esame dispositivo

16 – esame testo integrale sentenza

30 – diritti richiesta copia

45 – ritiro copie sentenza (accesso agli uffici)

21 – consultazioni cliente

22 – corrispondenza informativa

23 e 24 notificazione ed esame relata (se c’è stata)

—————–

I precetti e i pignoramenti notificati entro il 4 luglio 2008 (D.P.C.M. del 4 luglio 2008 conseguente al D.L. 112/08 art. 78) verranno pagati dalla Gestione Commissariale per Roma Capitale nel seguente modo:

Precetto notificato

– atto di precetto

– scritturazione e collazione

– autentica di firma

– notifica precetto

– esame relata di notifica

inferiori ai 600,00 euro 70,00

scaglione fino a 1.600,00 euro 120,00

scaglione fino a 2.600,00 euro 140,00

Pignoramento

inferiore ai 600,00 euro euro 140,00

fino ai 1.600,00 euro euro 240,00

fino a 2.600,00 euro euro 270,00

Eventuali spese di pignoramento sostenute prima del 4 luglio 2008, debitamente documentate, dovranno essere aggiunte al conteggio a cura del richiedente.

Cosa deve portare l’avvocato antistatario?

a) delega in favore del Consiglio dell’Ordine a incassare le somme per suo conto;

b) dichiarazione del seguente testuale tenore:

“Ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 445 del 2000, consapevole delle responsabilità penali in caso di dichiarazioni mendaci previste dall’art. 72 del medesimo D.P.R. 445/2000 e dalla normativa vigente, io sottoscritto …………. (cliente) ………. dichiaro di non avere ricevuto alcuna somma in relazione sentenza n. …………. del Giudice di Pace /Tribunale di Roma. Con il ricevimento della suindicata somma a transazione e saldo, dichiaro altresì di non avere null’altro a pretendere ad alcun titolo in relazione alla fattispecie di cui sopra nei confronti del Commissario Straordinario del Governo e di Roma Capitale. Pertanto, con l’esecuzione della presente transazione, ogni e qualunque pretesa della/del ……………………….. comunque discendente dalle causali di cui alle premesse, eventualmente già dedotta in contenzioso o in astratto ancora deducibile, è da considerarsi soddisfatta ovvero rinunciata.” (firma dell’avvocato)

c) originale sentenza esecutiva;

d) originale eventuale precetto;

e) originale eventuale pignoramento;

f) prospetto di parcella;

g) modulo di consegna in duplice copia;

h) specifica conteggi.

L’Ordine degli Avvocati di Roma, al momento dell’incasso, verserà all’avvocato quanto ricevuto.

PAGAMENTO COMPETENZE LEGALI PER LE SENTENZE
 

CONTRO ROMA CAPITALE
 

DOCUMENTI DA CONSEGNARE
 

PER AVVOCATO NON ANTISTATARIO
 

PER SENTENZE PUBBLICATE PRIMA DEL 28 APRILE 2008
 

sul valore delle competenze e diritti spettanti all’avvocato aggiungere il 12,5%, più la C.P.A. 4%, più l’IVA al 21% , senza ritenuta di acconto aggiungere le spese successive sottoelencate:
 

15 – esame dispositivo

16 – esame testo integrale sentenza

30 – diritti richiesta copia

45 – ritiro copie sentenza (accesso agli uffici)

21 – consultazioni cliente

22 – corrispondenza informativa

23 e 24 notificazione ed esame relata (se c’è stata)
 

—————–

I precetti e i pignoramenti notificati entro il 4 luglio 2008 (D.P.C.M. del 4 luglio 2008 conseguente al D.L. 112/08 art. 78) verranno pagati dalla Gestione Commissariale per Roma Capitale nel seguente modo:
 

Precetto notificato

– atto di precetto

– scritturazione e collazione

– autentica di firma

– notifica precetto

– esame relata di notifica

inferiori ai 600,00 euro 70,00

scaglione fino a 1.600,00 euro 120,00

scaglione fino a 2.600,00 euro 140,00
 

Pignoramento

inferiore ai 600,00 euro euro 140,00

fino ai 1.600,00 euro euro 240,00

fino a 2.600,00 euro euro 270,00
 

Eventuali spese di pignoramento sostenute prima del 4 luglio 2008, debitamente documentate, dovranno essere aggiunte al conteggio a cura del richiedente.
 

Cosa deve portare l’avvocato non antistatario?

a) delega del cliente in favore del Consiglio dell’Ordine a incassare le somme per suo conto;
b) n. 2 dichiarazioni del seguente testuale tenore:
“Io sottoscritto ……….. (cliente) …………. delego il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma ad incassare la somma spettante a titolo di spese, competenze ed onorari liquidati a mio favore e di rimettere le relative somme ricevute da Roma Capitale sul conto corrente dell’Avv………………………, n. ………………………………….” (firma del cliente) nonchè
“Ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 445 del 2000, consapevole delle responsabilità penali in caso di dichiarazioni mendaci previste dall’art. 72 del medesimo D.P.R. 445/2000 e dalla normativa vigente, io sottoscritto ……….. (cliente) ………………., dichiaro di non avere ricevuto alcuna somma in relazione sentenza n. ……….. del Giudice di Pace /Tribunale di Roma. Con il ricevimento della suindicata somma a transazione e saldo, dichiaro altresì di non avere null’altro a pretendere per le spese, competenze ed onorari legali, ad alcun titolo in relazione alla fattispecie di cui sopra nei confronti del Commissario Straordinario del Governo e di Roma Capitale.
Pertanto, con l’esecuzione della presente transazione, ogni e qualunque pretesa del/della sottoscritto/a comunque discendente dalle causali di cui alle premesse, eventualmente già dedotta in contenzioso o in astratto ancora deducibile, è da considerarsi soddisfatta ovvero rinunciata.” (firma del cliente)

c) originale sentenza esecutiva

d) originale eventuale precetto

e) originale eventuale pignoramento

f) prospetto di parcella

g) modulo di consegna in duplice copia;

h) specifica conteggi.

L’Ordine degli Avvocati di Roma, al momento dell’incasso, verserà all’avvocato quanto ricevuto.

Per ulteriori informazioni visitare il sito http://www.ordineavvocati.roma.it

 

 

 
 

Casellario giudiziario: da oggi le iscrizioni passano agli uffici locali

 altE' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 264, del 12 novembre 201,2 il Decreto 31 ottobre 2012 sulla: "Modifica alle disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale, di cui all'articolo 18, comma 3, del decreto 25 gennaio 2007". A partire dal 1° febbraio 2013 la competenza all'iscrizione dei provvedimenti delle autorità giudiziarie requirenti può essere ora attribuita agli uffici locali presso il Tribunale coincidente con la sede dell'autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento, in modo da operare una redistribuzione del carico di lavoro dall'ufficio locale di Roma agli altri uffici locali.

Mediazione civile: circolare del Ministero della Giustizia su pronuncia della Corte costituzionale

 alt

In relazione al comunicato stampa del 24 ottobre 2012 con cui la Corte costituzionale ha reso noto che è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs.4 marzo 2010 n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione e, in attesa delle motivazioni della sentenza, la Direzione della giustizia civile pubblica la circolare 12 novembre 2012 con le prime indicazioni. Di seguito il testo integrale della circolare:

Dipartimento per gli Affari di Giustizia

Direzione generale della giustizia civile

Con il comunicato del 24 ottobre 2012 l’ufficio stampa della Corte costituzionale ha reso noto che è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs.4 marzo 2010 n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione. Preme precisare che chiare e puntuali indicazioni circa le ricadute degli effetti della suddetta pronuncia nell’ambito riconducibile ai compiti di vigilanza di questa direzione generale non potranno non essere date che a seguito della lettura della motivazione. La ricezione, peraltro, del comunicato di cui sopra induce sin da ora a precisare che ai sensi dell’art.136 della Costituzione e dell’art. 30 della legge 11 marzo 1953 n. 87, gli effetti della deliberazione di accoglimento decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione del dispositivo della decisione. Due specifiche indicazioni, peraltro, possono allo stato essere date in questo contesto: a.gli interessati alla iscrizione di un nuovo organismo di mediazione nel registro degli organismi tenuto da questa direzione generale, dovranno tenere presenti i futuri effetti che la suddetta pronuncia potrebbe produrre sulle previsioni del d.m.180/2010 che verranno ad essere direttamente interessate, e segnatamente:

•art.7 , comma 5 lett.d);

•art.16, comma 4 lett. d);

•art. 16, comma 9, ultimo periodo.

b.per i procedimenti di mediazione obbligatoria già attivati nonché per le eventuali nuove istanze rientranti comunque nell’ambito della previsione di cui all’art.5 del d.lgs. 28/2010 che dovessero essere presentate prima della pubblicazione della decisione della Corte, l’organismo di mediazione è tenuto ad uno specifico obbligo di informazione della parte istante (nonché della parte eventualmente comparsa) del venire meno, dal momento della pubblicazione della decisione della Corte costituzionale sulla Gazzetta ufficiale, dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione.

Roma, 12 novembre 2012

Il direttore generale

Maria Teresa Saragnano