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Author: Massimo Reboa

W la Cassazione

alt Nel 2009 il presidente dell’Associazione Italiana arbitri di calcio (Aia), Marcello Nicchi, ha vietato con una circolare ai fischietti di fare dichiarazioni sulle partite che non siano state preventivamente autorizzate, anche attraverso internet o su social networks, quali Facebook o Twitter,  o sui blog.
L’arbitro giudica (e, talvolta, sbaglia) in uno stadio avanti a decine di migliaia di spettatori che, spesso, lo coprono di insulti e minacciano di aspettarlo al termine della partita (cosa che, nelle sfide di provincia, talvolta accade sul serio), mentre al replay o alla moviola tutti vedono anche quello che egli non può umanamente vedere e, immediatamente dopo, mentre la partita prosegue, su radio private, internet ecc. egli diventa un cretino, un venduto e la moralità sessuale di sua moglie è spesso messa in dubbio..
Anche le televisioni di stato o i grandi networks spesso si dilettano, magari con più classe, a questo gioco al massacro per le sfide della massima serie o quelle internazionali.
Né il fatto che, per il tifoso, l’arbitro che da un rigore contro la squadra del cuore sia comunque <<cornuto>> cancella la circostanza che, nella classe arbitrale, oltre ad esseri umani che a volte sbagliano in buona fede, ve ne siano altri il cui comportamento è quantomeno sospetto: alzi la mano chi ritiene che fosse  una persona onesta l’arbitro ecuadoriano Byron Moreno, che fu decisivo per l’eliminazione dell’Italia durante i Mondiali in Corea nel 2002 con le sue decisioni scandalose, e che è stato fermato il 20 Set. 2010 all’aeroporto di New York con 6 chili di eroina.
L’arbitro è sotto processo ogni giorno, è coperto di insulti ad ogni sua decisione, ma non può difendersi, non può emettere comunicati: scendere in polemica lederebbe il suo prestigio, la sua partecipazione al conflitto mediatico lo farebbe apparire imparziale non nei limiti temporali dei commenti di giornalisti e tifosi ad una competizione, ma come istituzione.
Nella semantica le istituzioni sono le fondamenta di una struttura: come tali non possono essere ondivaghe o coinvolte negli eventi che riguardano i palazzi che esse devono sostenere.
Una istituzione non può scendere in campo, perderebbe il proprio ruolo.
Il business del calcio prospera in quanto gli spettatori ritengono che, malgrado il grande giro di denaro, le partite siano vere e non truccate: tale sentimento è tanto forte che il legislatore ha introdotto il reato di frode sportiva.
A Milano nei mesi scorsi sono apparsi una serie di manifesti in parte azzurri e in parte rossi in difesa di Berlusconi e dei progetti di riforma della giustizia a firma di una sino a quel momento poco nota “Associazione dalla parte della democrazia”. Manifesti con parole semplici, quasi slogan, del tipo <<riformare la giustizia è bene per tutti>> oppure <<volete cacciare BERLUSCONI? Prima vincete le ELEZIONI!>>.
Questi manifesti trovarono un certo interesse da parte di telecamere e carta stampata, malgrado non dicessero nulla di nuovo nella polemica politica. I fenomeni mediatici sono però incontrollabili e, quindi, è difficile capire se l’interesse sia stato per il rosso o per il fatto che l’autore manifestava chiaramente il proprio dissenso perché il Presidente del Consiglio fosse sottoposto dalla Magistratura ordinaria a dei processi penali per fatti estranei alla carica nel periodo del proprio mandato (per quelli commessi nell’esercizio del mandato è competente il Tribunale per i Ministri).
Forse la realtà è che basta difendere Berlusconi per fare notizia, visto che quando si eccede, scrivendo <<via le BR dalle procure>>, persino l’Istituzione con la <<I>> maiuscola, il Capo dello Stato, ha sentito il dovere di pronunciare il proprio sdegno.
Prima del Presidente della Repubblica si era espresso il procuratore capo della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che aveva ritenuto che il manifesto fosse degno di una nota ufficiale nella quale ne stigmatizzava il contenuto, ricordando che <<in Procura le BR ci sono state davvero: per assassinare i magistrati>>.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29433 della quinta sez. penale, ha assolto un uomo politico accusato di aver diffamato un avversario definendolo <<fascista>>, sancendo che <<la critica politica consente l’utilizzo di espressioni forti ed anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l’attenzione di chi ascolta. Il limite all’esercizio di tale diritto è costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali>>.
Considerato che vi è un interesse pubblico a come viene amministrata la giustizia e che il manifesto non si riferiva ad un singolo giudice, prevedo che sarà proprio la Magistratura a chiarire che l’avv. Roberto Lassini, che si è dichiarato autore di quei manifesti, non ha commesso alcun reato. E lo farà nella sede propria, attraverso le sentenze, non i comunicati stampa.
Ciò non toglie che, politicamente, si possa ritenere il manifesto inopportuno, sgradevole, maleducato: ho fatto un breve sondaggio sul mio sito di Facebook e mi hanno colpito le parole di una collaboratrice di questa testata, Claudia Cotti Zelati, artista teatrale: <<E’ uno slogan provocatorio da parte di chi lo ha concepito e proposto, che non dice nulla, ricade su se stesso; avrebbe avuto senso se l’ideatore fosse andato davanti alla Procura a manifestare, magari dipinto di rosso, con borracce rosso lacca per scrivere sui muri la stessa scritta; avrebbe fatto un gesto futurista, surreale e tragico, penoso, ma umano, profondamente comprensibile, forse>>.
Criticare una iniziativa rendendosi conto di ciò che essa realmente è o mettersi al pari dell’iniziativa, entrando in polemica con la stessa?
Sia consentito a chi ama la Giustizia con la <<G>> maiuscola non condividere la discesa in campo delle istituzioni contro la maleducazione, in particolare quando ciò avviene con strumenti mediatici propri della lotta politica, quali comunicati stampa o interviste: se vogliamo che le istituzioni rimangano le fondamenta della civile convivenza, devono esprimersi attraverso atti propri, come fa la Corte di Cassazione.
 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 2_2011

La gamba tesa dell’arbitro

alt 14 Dicembre 2010, mentre al Circolo Canottieri Roma si celebrava il 35ale di questa testata con la presentazione del libro <<da P.le Appio a P.le Clodio>>, nelle strade di Roma si scatenava la rabbia dei gruppi estremisti di sinistra.
Il Parlamento aveva confermato la fiducia a Berlusconi, l’asse Bersani / Fini / Casini aveva fallito il proprio obiettivo.
Appena una settimana dopo Silvio Berlusconi riceveva il regalo di Natale dell’iscrizione nel registro degli indagati per il caso <<Rubygate>> ed il 13 Gennaio 2011 la Corte Costituzionale faceva saltare parzialmente l’impianto del legittimo impedimento, permettendo così di fatto al Tribunale di Milano di processare il Presidente del Consiglio.
Una consecutio temporum così evidente dimostra come le azioni della Magistratura e quelle delle opposizioni storiche e recenti si siano concentrate per far crollare il potere politico di Silvio Berlusconi.
La circostanza non è di per sé illegittima e non sarebbe innaturale se si articolasse nel senso che, in seguito ad azioni giudiziarie, le opposizioni abbiano trovato argomenti per sostenere le loro antitesi al Governo in carica. Si tratterebbe, anzi, di un comportamento fisiologicamente corretto della politica.
Sarebbe anche fisiologicamente corretto che le opposizioni stimolassero in casi clamorosi l’opera della Magistratura con denunce e prove degli eventuali reati, salvo assumersi la responsabilità politica di fronte al Paese di averne leso l’immagine internazionale ove, invece che produrre prove, gettassero del fango, secondo quello che sosteneva Voltaire (e, prima di lui, Bacone nel <<De dignitate et augmento scientiarum>>): <<calunniate, calunniate, qualcosa resterà>>.
Il fenomeno tutto italiano è che l’azione politica e quella della Magistratura sembrano invece sincronizzate, sicché i Pubblici Ministeri di Milano iscrivono Berlusconi nel registro degli indagati a Dicembre (al fine di processarlo con il rito immediato) per un evento di cui tutto il Paese aveva avuto notizia da molti mesi e solo dopo che il Parlamento ha rigettato la mozione di sua sfiducia.
I proverbi insegnano che <<tutti i nodi vengono al pettine>> insieme e, quindi, potrebbe essere fisiologico e non maliziosamente interpretabile che determinati eventi si svolgano in un arco temporale vicino, ma la sensazione che si ha, osservando la scena con il distacco del commentatore indipendente, è che Berlusconi sia sotto assedio e contro di lui si sia schierato non solo l’ex alleato Fini, ma anche l’arbitro.
Sono sensazioni umanamente inevitabili e che, nel calcio, portano i tifosi a rumoreggiare quando la propria squadra perde tre partite di seguito sempre a causa di un rigore contro concesso all’ultimo minuto. Né i tifosi mai crederanno che i rigori siano stati accordati perché, a causa di una cattiva preparazione atletica, i difensori erano stati costretti ad agire fallosamente solo negli ultimi minuti della partita.
Il fatto è che, in una nazione democratica, è molto grave che circa la metà degli elettori ritenga che si stia ricercando una soluzione giudiziaria in contrasto con la volontà popolare e l’altra metà <<tifi>> per la Magistratura (cioè per l’arbitro) dato che l’opposizione non è capace di unirsi su un progetto politico capace di andare oltre Berlusconi.
Né con vittimismo tutto italiano si dica che è la presenza stessa di Berlusconi ad impedire al sistema democratico di funzionare: il Presidente del Consiglio fa esattamente quello che avviene quotidianamente negli Stati Uniti: utilizza denaro, mass media e potere personale per fare politica.
Non è colpa di Berlusconi se Bersani non ha nemmeno il carisma necessario a tenere unito il Partito Democratico, se Fini, smentendo il proprio passato ed imparentandosi con persone estranee a quello che appariva essere il suo modo di concepire la politica, abbia gettato nel fango un patrimonio di consensi che si era faticosamente costruito sull’eredità di Giorgio Almirante, se Di Pietro non venga percepito come il nobil signore per bene che vuole moralizzare la vita pubblica.
E’ dalla caduta del Fascismo che gli Italiani sono più bravi ad essere <<contro>> che capaci di crearsi spazi per costruire un paese moderno ed europeo.
Nel mentre in Italia si alternano sempre le medesime facce, in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna sono emersi volti nuovi: lì, ad ogni sconfitta, il partito che perde si rinnova e la vecchia classe dirigente lascia spazio ai giovani.
Non solo, ma la radicalizzazione della lotta contro Berlusconi da parte degli sconfitti dal voto popolare ha l’effetto di delegittimare quelle iniziative giudiziarie che si rivelino corrette nella forma e nella sostanza, perché con l’assedio non si circonda solo Berlusconi, ma anche chi lo ha votato o lo sostiene semplicemente perché ritiene che le alternative siano peggiori di Presidente del Consiglio.
Appartiene alla storia d’Italia l’invito del liberale Indro Montanelli a votare Democrazia Cristiana turandosi il naso: quindi la sinistra e Fini non dovrebbero ignorare come la guerra santa da essi scatenata si possa trasformare in un boomerang.
Paradossalmente, se invece di eleggere Napolitano quale Presidente della Repubblica, l’allora maggioranza di centro sinistra avesse fatto convergere i propri voti su Berlusconi, avrebbe sconfitto il berlusconismo e liberato tante energie bloccate dalla necessità di fare quadrato in una continua battaglia all’ultimo sangue.
Il problema è che i politici attuali non conoscono non solo la storia d’Italia, ma nemmeno la lingua latina. Promuoveatur ut amoveatur, insegnavano i Padri romani.
Ove Berlusconi fosse divenuto Capo dello Stato, avrebbe perduto l’interesse a mantenere un partito, avrebbe ottenuto di fatto quell’immunità di cui ha bisogno, avrebbe avuto solo un grande prestigio, ma poco potere. Sarebbe, insomma, passato alla storia e, al massimo, oggi si parlerebbe di un Quirinale meno austero a causa di un via vai di giovani donne…
Ma sarebbe il male minore, per un’Italia costretta a scegliere tra un puttaniere e chi sputtana la Nazione con una guerra di bande nel quale la fiducia per la Giustizia, quella con la <<G>> maiuscola si è ridotta a zero per degli interventi a gamba tesa dell’arbitro.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 1_2011

 

La nota stonata

alt L’avvocatura e tutte le libere professioni sono in fermento per i provvedimenti del Governo in materia di liberalizzazioni e scioperano in difesa del sistema tariffario in vigore sino al decreto legge emanato mentre redigo queste righe.
Chi mi conosce sa che non ho il timore di scrivere ciò che penso, anche in contrasto con la maggioranza, e che spesso ho definito <<nanismo intellettuale>> l’attaccamento a sistemi professionali validi nel XX secolo, ma ora obsoleti.
Per quanto riguarda gli avvocati, basta sfogliare TopLegal, una rivista dedicata ai grandi studi associati, per rendersi conto che, quando si parla di liberi professionisti, ci si riferisce a due realtà del tutto disomogenee tra di loro, quella delle centinaia di migliaia di legali che curano principalmente il contenzioso dei privati cittadini (o li difendono nei confronti di poteri forti) e quella delle poche centinaia di studi che operano in maniera imprenditoriale per accaparrarsi la fascia economica di mercato più ricca, quella dell’assistenza alla grande e media impresa, della consulenza alla P.A. per questioni di alto livello, dei rapporti con la clientela estera che vuole operare in Italia, oltre che delle questioni internazionali di imprenditori e cittadini italiani.
E’ bella e romantica l’immagine del cavaliere errante, paladino dei poveri e degli oppressi, che va lì ove c’è da battersi per una giusta causa, ma se il cavaliere errante è affamato o lotta contro un esercito moderno con la sola spada, fosse anche Durlindana, egli potrà al massimo aprire la breccia pirenaica, ma è destinato a soccombere.
E, poi, quando una professione da elitaria diviene di massa, il maggior numero dei suoi protagonisti non è più costituito da ricchi paladini sognatori di gloria, ma da manodopera intellettuale disillusa che tenta la strada libero professionale per fuggire dall’impossibilità di accedere ad un impiego stabile e dignitoso.
Allora, rispetto alla voglia di battersi per una giusta causa, prevale lo spettro della disoccupazione e la necessità di tutelare non già le ragioni del consumatore contro i potenti, ma la propria esistenza lavorativa, cioè la <<pagnotta>>.
Così anche una multa stradale diviene un business, con cavilli sui moduli lì dove il paladino della giustizia dovrebbe, ad esempio, pianificare un’azione contro la scelta sistematica degli enti locali di imporre divieti assurdi per avere la certezza di infrazioni in un determinato luogo e, così, fare cassa, reintroducendo la gabella dei due fiorini tanto ben rappresentata da Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere.
In questo contesto continuare a udire termini quali <<dignità della toga>>, tutela dei diritti del cittadino o altri simili paroloni fa un po’ sorridere, specie quando a pronunciarle sono esponenti del CNF o degli Ordini professionali che per anni hanno assistito inerti al disfacimento del ruolo del difensore, accettando supinamente che lo stesso si trasformasse in un segretario di udienza, che scrivesse i verbali sulle spalle del collega o su tavoli improvvisati, che fosse chiamato a discutere una causa ad una certa ora e poi la sentisse trattare con due / tre ore di ritardo.
Molti di coloro che, in tutta Italia, stanno oggi chiamando l’avvocatura alla mobilitazione sono quelli che, al praticante, hanno insegnato come vigilare sull’integrità del <<mucchio>> dei fascicoli d’udienza piuttosto che le azioni giudiziarie necessarie per battersi contro questo scandaloso italico sistema di regolamentare la mattinata del difensore dei diritti.
Molti avvocati, ad una settimana dalle elezioni forensi, si stanno battendo in difesa di un sistema che è economicamente morto, perché la proletarizzazione della professione (cui anch’essi hanno contribuito quali remissivi commissari di esami di abilitazione di fronte a candidati impreparati) ha fatto sì che non vi sono più risorse (cioè contenziosi, nel caso degli avvocati del settore litigioso) sufficienti per far mangiare tutti  e, altresì, il sistema non è più in grado di dare risposte in tempi adeguati.
Senso di responsabilità dovrebbe loro imporre di portare l’attenzione del Governo non già sul problema delle tariffe e dei (presunti) privilegi che da esse derivano, ma sul fatto che si è dichiarata guerra ad un ammortizzatore sociale: la disoccupazione intellettuale, con l’entrata a regime dei provvedimenti liberalizzatori, da occulta diviene realtà ufficiale e, quindi, piaga sociale che colpisce non già ricchi proprietari, ma giovani lavoratori laureati disoccupati e senza cassa integrazione.
Chi scrive ha uno studio organizzato e sta da tempo lavorando per adeguare le proprie strutture alle nuove realtà, cosciente che il sistema tariffario era solo un paracadute per sperare di salvarsi dal cliente insolvente per sua scelta o per impossibilità di pagare i servizi, specie quando essi consistono in predisporre atti, ma non ottenere alcun risultato a causa delle lungaggini processuali.
Parlo di paracadute perché oltre la metà degli avvocati che operano nel piccolo e medio contenzioso giudiziario si fanno in realtà pagare in misura pari alle liquidazioni giudiziali, spesso infime, dopo l’uscita della sentenza ed il recupero del credito ed iniziano il loro lavoro con un piccolo fondo spese, ove non le anticipano essi stessi per ottenere il mandato. Il che significa che, nella maggioranza dei casi, le tariffe minime non vengono applicate e si lavora con una remunerazione inferiore a quella sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, come previsto per ogni lavoratore dall’art. 36 Cost..
Il grande capitale è già entrato nelle società professionali in maniera più o meno occulta: chi si riempie la bocca dei paroloni sul diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. che verrebbe limitato dagli interessi dei capitalisti trovi il nominativo di un avvocato italiano che ha rinunciato alla difesa di un cliente portatore di un grandissimo fatturato solo perché gli chiedeva non di compiere illeciti, ma di sostenere tesi giuridicamente infondate o eticamente censurabili…
Ai leader dell’avvocatura chiedo di avere il coraggio di abbandonare la retorica e di dichiarare al Governo che la professione è arrivata alla frutta e, quindi, se si tolgono i paracadute, almeno si offrano nuove vie di fuga, quali la liberalizzazione e privatizzazione dei servizi collaterali (ad esempio le notifiche), onde occupare nuovi spazi per offrire effettivamente servizi migliori.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 1_2012

Il pericolo dell’illusionismo

alt L’iniziativa del Governo Monti di mettere on-line i redditi dei Ministri è sicuramente lodevole, ma…
C’è sempre un “ma” quando si ha a che fare con la politica, in particolar modo allorché ci si trovi di fronte a persone di cultura, abituate a rivestire ruoli superiori e chiamate a prendere le distanze con un sistema composto in maggioranza da personaggi tanto arroganti quanto di basso cabotaggio.
Il mio architetto insegna sempre che, in una ristrutturazione, quando vi sono oggetti brutti che non possono essere nascosti (ad esempio una struttura portante), l’unico modo per realizzare un buon prodotto è metterli bene in vista, magari illuminandoli per farli vedere meglio.
Così il brutto diventa “tecno” o il vecchio diventa “antico”.
Ho una grande stima del mio architetto, dopo trentasei anni di articoli di fondo mi permetto una licenza, ne cito il nome: Paolo Maggiorani.
Ho anche una grande stima delle altrui intelligenze, non a caso mi piace il gioco degli scacchi, ma la luce che esse emanano non mi abbaglia, impedendomi di vedere.
Mettendo i propri redditi alla luce del sole, i componenti del Governo hanno dato una immagine di loro stessi come di persone trasparenti ed oneste, rispondendo così alle aspettative della popolazione stanca dell’immagine di politicanti corrotti (presenti tanto nel PD quanto nel PDL).
Tutti sanno che Berlusconi è ricchissimo, però i P.M. lo hanno accusato in decine di processi di essere un corruttore affarista e almeno metà della popolazione crede che questa tesi sia fondata, ancorché non sia stata giudizialmente accertata.
Domandarsi cosa si nasconde dietro la luce dei riflettori non significa accusare il Governo di averli accesi al fine di nascondere qualcosa, ma solo mettersi gli occhiali da sole e cercare di andare oltre il bagliore.
Ad esempio, se si guardano le cose sotto un’altra angolazione ci si accorge che non è vero che il sen. Monti non è un politico, in quanto un uomo che è stato nominato due volte Commissario Europeo appartiene al mondo politico: politica significa vita della polis: all’interno di essa vi sono gli strumenti per realizzare la demos cratia, che nei paesi occidentali si identifica nei partiti politici, con le loro sezioni e i loro  compromessi quotidiani imposti dalla necessità di dare soddisfazione ai clientes. Né si dica che il fenomeno del clientelismo esiste solo in Italia perché trova radici nella società romana: basta guardare agli Stati Uniti ed alle migliaia di persone che perdono il posto di lavoro allorché il loro leader è sconfitto per rendersi conto che in altri paesi esistono i medesimi fenomeni con altro nome.
Il problema è che, in Italia, spesso non si ha il coraggio di affrontare la realtà e, quindi, ci si nasconde dietro luoghi comuni.
La democrazia di stampo parlamentare è l’unico sistema che i paesi occidentali hanno ideato per assicurare a tutti la possibilità di partecipare alle decisioni della loro nazione, ma ha sicuramente molte imperfezioni strutturali, tra le quali quella che non tutti hanno la capacità di assumere decisioni nell’interesse di una comunità.
Basta riflettere su delle ovvietà per rendersi conto del problema. Studiare e lavorare richiede tempo, così come lo richiede la ricerca del consenso, il che significa che il consenso lo può ricercare stabilmente solo chi non lavora o chi ha tanto denaro per pagarsi dei professionisti della ricerca del consenso.
Non è quindi casuale se, tra le malattie delle democrazie parlamentari, si registrino l’abbassamento del livello culturale degli eletti e l’ascesa di ricchi personaggi dal dubbio passato, ma non può negarsi che il primo fenomeno sia fisiologico, mentre il secondo sia una patologia difficilmente curabile.
L’assunzione di decisioni impopolari è estremamente difficile in un sistema democratico, proprio perché esse  sono semanticamente antitetiche allo stesso concetto di democrazia. Il problema è che i contesti internazionali spesso impongono tali decisioni, che alcune volte sono obiettivamente giuste, mentre altre trovano origine negli interessi di coloro che hanno un potere economico, politico e/o militare superiore a quello dei singoli stati.
I personaggi di scarsa cultura, quando comprendono di andare contro gli interessi (o le sensazioni epidermiche) dei loro elettori, sono sempre restii ad agire, ma non hanno gli strumenti, anche etici, per opporsi ai grandi timonieri. Così prevale l’inerzia, mentre all’esterno tutto si modifica, sintanto che la pressione non sarà più dei poteri forti, ma di un mondo con il quale ci si rapporta quotidianamente che è cambiato e mal sopporta chi è rimasto indietro non già a difendere valori, ma solo piccoli privilegi di bottega.
In tali contesti ha buon gioco la politica, la grande politica, quella dei poteri forti che, in quanto tali, istituzionalmente investono sul futuro: prima la nomina a senatore a vita, cioè la garanzia di una eterna immunità parlamentare per il proprio operato, poi un calcio ai partiti, poi la luce di redditi on line superiori alle possibilità di un qualsiasi cittadino, anche benestante: il tutto per rendere ineluttabili nuove tasse che renderanno più difficile la vita quotidiana di chi stringe la cinta tutti i giorni, ma non certo di chi è appena andato al governo con alle spalle alcuni milioni di reddito annui.
Quando un paese ha alla guida persone di cultura che hanno quale missione realizzare un progetto, sicuramente vedrà alcuni risultati: ma, attenzione agli illusionisti e a chi, in Europa, parla dello spettro della Grecia per imporre scelte che tendono a far acquisire agli investitori esteri i risparmi delle famiglie italiane in difesa di una moneta unica europea, che è un centro di interessi, non un dio laico intoccabile.
La sterlina inglese, all’interno dell’Unione Europea, ed il marco svizzero dimostrano che si può essere sovrani monetariamente ed indipendenti nel vecchio continente senza essere poveri o schiavi: quindi, per cortesia, signori del Governo, oltre ai vostri redditi, mettete on line anche gli importi da Voi investiti in BOT e CCT, così forse crederanno in Voi anche coloro non si lasciano impressionare da una buona trovata mediatica.

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 2_2012

Il re è nudo

alt Nell’articolo di fondo del precedente numero di questa rivista parlavo del <<pericolo dell’illusionismo>> ed osservavo che la luce delle intellegenze emanata dal Presidente Monti e dagli uomini del suo governo non mi abbagliava, impedendomi di vedere, tra l’altro, che la moneta unica europea è un centro di interessi e non un dio laico intoccabile.
I prestigiatori insegnano che l’illusionismo, occultando un trucco, fa apparire una realtà che non esiste, quale quella dell’essere umano che entra in una botte e viene infilzato dalle spade o tagliato a pezzi. In realtà esso è qualcosa in più, è la creazione di un fenomeno psicologico che consente di introdursi in falle della mente umana per creare una immagine inesistente.
La scienza ha dimostrato che una delle principali falle della mente è quella del cosiddetto completamento logico, in relazione alla quale, in presenza di due azioni non consequenziali, il cervello preuppone l’esistenza di almeno una terza azione che porti dalla prima alla seconda.
Come terza azione la logica celebrale individua la più semplice disponibile.
Così, ad esempio, se vi è una pallina all’interno della mano destra che si avvicina alla sinistra e successivamente è la mano sinistra ad avere una pallina in mano, per la logica celebrale la visione di queste due immagini consecutive è che la pallina è stata passata dalla mano destra alla mano sinistra con modalità che la mente non è riuscita a percepire.
Il prestigiatore è cosciente di questa falla del cervello umano, avendo studiato psicologia, e la utilizza, ad esempio, per trattenere una pallina nella mano destra (nascondendola), mentre nella sinistra mostra un’identica palla che già aveva in mano o che, con mossa rapida, ha prelevato dalla propria tasca.
I fenomeni mediatici si basano su presupposti molto simili e possono essere indotti o trovare origine in eventi imprevisti che si insinuano nelle falle logiche della mente, permettendo di vedere ciò che tutti hanno davanti agli occhi e non percepiscono.
Nella famosa fiaba di Hans Christian Andersen, “i vestiti nuovi dell’imperatore”, solo un bambino riesce ad accorgersi che “il re è nudo”, perché la sua mente non è ancora stata colpita dalla cecità che colpisce i cortigiani ed i vigliacchi.
Ogni tanto scoppia qualche scandalo riferibile ai partiti politici ed i giornali parlano di sistema malato, di nuova tangentopoli e della necessità di una riforma elettorale, come se ciò che quel giorno si legge negli atti di un’inchiesta non sia quotidianamente sotto gli occhi di tutti.
Nel 1993, in occasione del referendum promosso dal Partito Radicale, il 90,3% dei votanti si pronunciò a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti: la risposta di questi ultimi è stata la legge n. 515 del 10 dicembre 1993 che ha trasformato il finanziamento in rimborso elettorale. Il bambino della favola di Andersen avrebbe gridato che era stata uccisa la democrazia e si era instaurata una dittatura dei partiti: gli Italiani hanno incassato in silenzio, prendendo atto che l’unico modo di sopravvivere è farsi gli affari propri, cioè in un mondo di ladri, difendersi da questi ultimi rubando un po’ tutti, magari attraverso l’evasione fiscale.
Da tutto il mondo si può accedere al sito internet della Banca d’Italia e leggere (testualmente) che <<La partecipazione al capitale della Banca d’Italia è disciplinata dagli artt. 3 e 49 dello Statuto. Il capitale, di ammontare pari a 156.000 euro, è rappresentato da 300.000 quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna>>.
L’art. 3 dello statuto è stato modificato dal Governo Prodi con D.P.R. del 12 dicembre 2006, pubblicato sulla G.U. n. 291 del successivo 15 dicembre, con il quale si è eliminato l’obbligo di assicurare la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici, cioè dello Stato Italiano.
L’elenco dei proprietari della Banca d’Italia è anch’esso pubblicato sul suo sito internet e dallo stesso emerge che il capitale dell’ex istituto di emissione italiano è in mano anche a banche passate in proprietà ad istituti di credito esteri.
In sintesi è pubblicato ufficialmente che la Banca d’Italia non solo ha un capitale inferiore a quello di una piccola società per azioni, ma è almeno in parte in mano straniera, per decisione di un ben identificato governo nazionale.
Visto il potere della Banca d’Italia sull’economia italiana, si può quindi affermare che è di dominio pubblico e certificato che le scelte che gravano sulle nostre tasche vengono assunte in centri di potere esteri e subite dagli impotenti governi italiani.
Poiché la crescita o la diminuzione dello spread (cioè le speculazioni sui titoli di stato per le quali ogni cittadino è costretto a pagare più tasse) è determinata anche dalle decisioni della Banca d’Italia, un governo che avesse effettivamente a cuore gli interessi nazionali cercherebbe di restituire la sovranità allo stesso, onde poter in ogni momento tornare alla sovranità monetaria.
Nessuno vede nulla ed i principali partiti tacciono, schernendo come estremisti coloro che tentano di dire che il re è nudo, e, come già avvenne per il porcellum, un anno prima delle elezioni si accordano per cambiare le regole del gioco, modificando la legge elettorale in maniera da mettere a tacere chi protesta, magari dandogli il contentino del cosidetto “diritto di tribuna”, utile solo a loro per continuare a dare al popolo l’illusione della democrazia.
Il porcellum nacque dalla mente del leghista Calderoli. La Lega al governo ha consentito l’assalto alla sovranità nazionale e non si è attivata per rimuovere le lesioni alla stessa provocate dal governo Prodi. Cade Berlusconi e la Lega diviene partito di opposizione: la magistratura indaga e scopre che è vero quello che i giornali hanno pubblicato qualche anno fa, cioè che nel << cerchio magico>> si fanno affari non leciti.
Il tutto mentre alla Camera viene approvato l’emendamento Pini sulla responsabilità dei Giudici di cui si parla in altra parte di questo giornale.
Non sono leghista né andreottiano, ma come non condividere le parole del leader DC, che a pensar male si fa peccato, ma qualche volta si coglie nel segno?

 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 3_2012

 

Il Silvio Grillo

alt Dal mese di Maggio in libreria è possibile trovare una bella pubblicazione scritta dall’amico Fausto Pellegrini, oggi giornalista RAI, già vicedirettore di questa testata: "La bisaccia del giornalista". Una ricerca intellettuale su chi siamo, dove andiamo e come, utilizzando quale lente di ingrandimento il percorso dell’informazione ed il mondo dei media.
Quando l’autore illustra il passaggio dell’informazione dalle radio libere alle televisioni commerciali, non si limita a parlarci del mondo dei media, scrive un pezzo di storia di Italia, perché il successo politico nasce non solo dal controllo degli strumenti di comunicazione di massa, ma anche dalla capacità di utilizzarli.
Berlusconi ha avuto l’uno e l’altra e, quindi, i suoi avversari politici gli hanno addebitato di aver violato le regole del gioco, tanto più che, andando al potere, ha avuto la possibilità di incidere anche sul servizio pubblico.
Ho sempre ritenuto tale accusa fondata solo in parte, in quanto a Berlusconi si sono contrapposti dei validissimi networks economico editoriali, capeggiati dal gruppo La Repubblica / Espresso, che hanno privilegiato altri strumenti di comunicazione di massa, più tradizionali, ma tuttora altamente validi, anche perché indirizzati a fasce culturalmente più elevate e, quindi, con capacità di avvalorare il messaggio ricevuto e ritrasmetterlo sotto forma di docenza.
La mia analisi del berlusconismo si scontra spesso con quella degli amici di sinistra, in quanto essi ritengono che il leader del PDL sia la causa dell’attuale degrado culturale e morale della società.
E’ pacifico che tale degrado esista e che un certo modo di fare comunicazione si innesti in tale fenomeno, accentuandolo, ma non è metodologicamente corretto confondere i sintomi della malattia con le cause.
Le televisioni commerciali hanno preso il posto delle radio libere non perché Berlusconi ha fondato la Fininvest, ma perché l’evoluzione della tecnica rendeva economicamente inattuale sia il monopolio della RAI che il sistema para volontaristico sul quale nacquero le prime emittenti sull’onda dell’entusiasmo per le nuove possibilità di comunicare.
E’ stata la legge economica ad imporre la creazione dei network televisivi, pena la morte di ogni sistema alternativo alla comunicazione di stato.
Berlusconi ha intuito prima degli altri non solo dove andava il mondo della comunicazione, ma che la gente voleva un certo tipo di comunicazione e gliel’ha data, esattamente come è sempre avvenuto nel mondo.
I sovrani, ora con le feste popolari ora  con le esecuzioni in piazza, soddisfavano le esigenze popolari. Gli stati repubblicani, anche ad alto tasso di democrazia, come gli Stati Uniti, non si discostano di molto, con le immagini della sedia elettrica, dell’impiccagione di Saddam Hussein, della guerra in diretta e, anche, con il seppellimento in mare di Bin Laden.
E la democrazia italiana, con piazzale Loreto, non ha scelto di nascere dando in pasto ai sentimenti viscerali di un popolo, che non ne poteva più di morti e distruzioni, il cadavere del responsabile dell’evento e delle persone che gli sono rimaste vicine sino all’ultimo?
Basta andare in giro per il mondo e, nella propria stanza d’albergo, accendere la televisione ad audio spento per capire dalle immagini che Berlusconi è il frutto italiano della società non solo occidentale degli ultimi quaranta anni: un uomo che ne ha capito il funzionamento, le potenzialità degli strumenti tecnici ed ha avuto la capacità di cavalcare la tigre, assecondando le pulsioni popolari in luogo di tentare di guidarle.
La conseguenza o, a tutto voler concedere, il male della democrazia, ma non la causa della malattia.
Mentre i pseudo intellettuali si concentravano sul diavolo Silvio, impedendogli di invecchiare serenamente allietato dalle spudorate cortigiane del terzo millennio, qualcun altro studiava i mezzi di comunicazione di massa, faceva cioè lo stesso lavoro che fece Berlusconi negli anni ’70.
Sia l’ottusità che la prosopopea del potere rendono ciechi, così nessuno si è accorto che Beppe Grillo ha iniziato molti anni fa il percorso che oggi ha portato il movimento Cinque Stelle ad apparire come una nuova Lega Nord in versione nazionale.
Eppure l’artista cinque anni fa, nel 2007, tenne una conferenza al Parlamento Europeo in materia di nuove tecnologie, in altra occasione si presentò quale azionista all’assemblea dei soci della Telecom Italia per fare un intervento show e, ancora, scorrendo il suo curriculum, si troveranno centinaia di iniziative che forse alcuni hanno ritenuto comiche, ma in realtà rivelano una sottile pianificazione unita all’intuito dell’uomo di spettacolo che sa quale possa essere la reazione del suo pubblico.
Gli elettori come spettatori, ai quali strappare il voto anziché l’applauso, o magari entrambi.
Lasciarsi andare a facili battute, giocando sulla parola <<comico>>, per far credere che chi fa ridere gli altri sia in realtà un minus habens, significa non aver letto l’Amleto di William Shakespeare, fingersi pazzo per poter essere libero e dire la verità.
A’ livella, la poesia di Totò, non è stata da lui scritta per far ridere gli altri, ma è la denuncia sociale di un uomo nato Principe, che scelse di lasciare spazio alla propria umanità facendo ridere la gente, conscio che i principi si dimenticano, chi ha permesso ad un essere umano di abbandonarsi in una risata rimarrà sempre nel suo cuore.
Un comico può permettersi di tutto, anche di dare della salma al Presidente Napolitano senza essere denunciato per vilipendio al Capo dello Stato, cosa viceversa avvenuta in 24 ore ad un senatore della Repubblica per una critica politica.
Più i politici lo attaccano e più gli danno linfa vitale: lo ha capito Berlusconi, che va alle udienze del Tribunale di Milano perché, dopo le dimissioni, senza i processi, sarebbe caduto nell’anonimato; lo disse Mussolini, di cui si discute come se fosse vivo a 65 anni dalla morte: parlate male di me, purché parlate…

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 4_2012

· Maggio 2012 – L’avv. Reboa nel corso della manifestazione in Campidoglio per la firma del protocollo d’intesa tra Roma Capitale ed il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma per l’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti.

L'avv. Romolo Reboa con il Presidente del COA di Roma avv. Mauro Vaglio ed i consiglieri avv. Di Tosto, avv. Stoppani, avv.Bolognesi, avv. Santini, avv. Galletti, avv. Mazzoni e avv. Scialla.

Nella prestigiosa Sala delle Bandiere in Campidoglio, il Sindaco Gianni Alemanno ha firmato un Protocollo d’intesa tra Roma Capitale, il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Avv. Filippo Pegorari e il Presidente dell’ordine degli Avvocati di Roma Avv. Mauro Vaglio. Si tratta del primo esempio in Italia. Alla manifestazione hanno partecipato illustri avvocati del Foro di Roma, tra i quali anche l’avv. Romolo Reboa.  

· Dicembre 2011 – “I diritti degli ultimi” tema del convegno oragnizzato dall’Associazione Insieme per Roma, presso la sala conferenze della rivista InGiustizia la PAROLA al POPOLO, diretta dall’avv. Romolo Reboa.

L'avv. Romolo Reboa con Gennaro Francione, magistrato e drammaturgo, protagonista durante la manifestazione della piéce teatrale “Inno alla Bellezza” tratto da “La cella di Alessio” di Dostoevskij. Sullo sfondo l’avv. Reboa ed il dott. Massimo Barra con alcuni illustri ospiti che hanno preso parte alla serata.

L'avv. Romolo Reboa con gli artisti Alessandro De Tomassi e Fiorella Ciocci, che hanno esposto le proprie opere durante l’evento.

L'avv. Reboa con l'avv. Cassiani, ex presidente dell'Ordine degli avvocati di Roma.

I diritti degli ultimi” questo il tema dell’evento organizzato dall’Associazione INSIEME PER ROMA, presso la sala conferenze della rivista InGiustizia diretta dall’avvocato Romolo Reboa. Nel corso dell’evento, cui hanno partecipato avvocati, magistrati, esponenti di volontariato e personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, si è affrontato e discusso del problema dei detenuti, dei tossicodipendenti e di altre categorie sociali deboli. A seguire rappresentanti di Istituzioni impegnate nel sociale si sono confrontati con avvocati e giudici sul tema della serata, partendo dalle loro differenti esperienze.

 

 

 

 

· Dicembre 2010 – InGiustizia la PAROLA al POPOLO, rivista diretta dall’avv. Romolo Reboa compie 35 anni e per l’occasione viene presentato il libro “Da piazzale Appio a piazzale Clodio”.

L'avv. Romolo Reboa, direttore della rivista InGiustizia la PAROLA al POPOLO, durante la presentazione del libro Nella foto i relatori intervenuti alla presentazione del libro dell'avv. Romolo Reboa

Martedì 14 dicembre 2010, presso il “Circolo Canottieri di Roma”, si è svolta la festa di compleanno della rivista, diretta dall’avv. Romolo Reboa,  “InGiustizia la PAROLA al POPOLO”, che ha celebrato 35 anni di vita. L’evento è stato reso “immoratale” dalla pubblicazione di un libro dal titolo “Da Piazzale Appio a Piazzale Clodio”, che ripercorre gli anni di storia di Roma e dell’Italia attraverso le pagine di una testata che ha visto protagonisti oltre cinquecento redattori e collaboratori – politicamente bipartisan – molti dei quali oggi giornalisti RAI (o di prestigiose testate), politici di spicco o imprenditori ai vertici di importanti aziende. Una folta platea ha partecipato all’evento, dove nel corso della mnifestazione hanno preso la parola importanti personalità del mondo politico, giornalistico, forense ed imprenditoriale della Capitale.