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I reati contro l’ambiente

altE’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.122 del 28-5-2015 la Legge n° 68 del 22 maggio 2015 che introduce il Titolo VI-bis del codice penale,titolato “Dei delitti contro l’ambiente”, che contiene i nuovi articoli  452 del codice penale dall’art 452-bis all’art. 452-terdecies, che prevedono reati come quello di “Inquinamento ambientale” o quello “disastro ambientale”. La nuova normativa entra in vigore oggi 29 maggio 2015.
 
Di seguito il testo della Legge 22 maggio 2015, n. 68:
 
Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente.
 
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
 
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
 Promulga
 la seguente legge:
 
Art. 1
 1. Dopo il titolo VI del libro secondo del codice penale e’inserito il seguente;
«Titolo VI-bis – Dei delitti contro l’ambiente.
 Art. 452-bis. (Inquinamento ambientale). – E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili;
 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
 2) di un ecosistema, della biodiversita’, anche agraria, della flora o della fauna.
 Quando l’inquinamento e’ prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena e’ aumentata.
 Art. 452-ter. (Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale). – Se da uno dei fatti di cui all’articolo 452-bis deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva una lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la pena della reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva la morte, la pena della reclusione da cinque a dieci anni.
Nel caso di morte di piu’ persone, di lesioni di piu’ persone, ovvero di morte di una o piu’ persone e lesioni di una o piu’ persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per l’ipotesi piu’ grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non puo’ superare gli anni venti.
Art. 452-quater. (Disastro ambientale). – Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale e’ punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
 Costituiscono disastro ambientale alternativamente;
 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
 3) l’offesa alla pubblica incolumita’ in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
 Quando il disastro e’ prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena e’ aumentata.
 Art. 452-quinquies. (Delitti colposi contro l’ambiente). – Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater e’ commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo.
Art. 452-sexies. (Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattivita’). – Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattivita’.
La pena di cui al primo comma e’ aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento;
 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
 2) di un ecosistema, della biodiversita’, anche agraria, della flora o della fauna.
 Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumita’
 delle persone, la pena e’ aumentata fino alla meta’.
Art. 452-septies. (Impedimento del controllo). – Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attivita’ di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 452-octies. (Circostanze aggravanti). – Quando l’associazione di cui all’articolo 416 e’ diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate.
Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis e’ finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attivita’
 economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate.
 Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla meta’ se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.
 Art. 452-novies. (Aggravante ambientale). – Quando un fatto gia’ previsto come reato e’ commesso allo scopo di eseguire uno o piu’ tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o piu’ norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l’ambiente, la pena nel primo caso e’ aumentata da un terzo alla meta’ e nel secondo caso e’ aumentata di un terzo. In ogni caso il reato e’ procedibile d’ufficio.
 Art. 452-decies. (Ravvedimento operoso). – Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416 aggravato ai sensi dell’articolo 452-octies, nonche’ per il delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla meta’ a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attivita’ delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla meta’ nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorita’ di polizia o l’autorita’ giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attivita’ di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione e’ sospeso.
 Art. 452-undecies. (Confisca). – Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies e 452-octies del presente codice, e’ sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato.
Quando, a seguito di condanna per uno dei delitti previsti dal presente titolo, sia stata disposta la confisca di beni ed essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilita’ e ne ordina la confisca.
I beni confiscati ai sensi dei commi precedenti o i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilita’ della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi.
L’istituto della confisca non trova applicazione nell’ipotesi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attivita’ di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi.
Art. 452-duodecies. (Ripristino dello stato dei luoghi). – Quando pronuncia sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dal presente titolo, il giudice ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’articolo 197 del presente codice.
 Al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale.
Art. 452-terdecies. (Omessa bonifica). – Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorita’ pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi e’ punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».
2. All’articolo 257 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni;
 a) al comma 1 sono premesse le seguenti parole: «Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato,»;
b) il comma 4 e’ sostituito dal seguente;
«4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilita’ per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1».
3. All’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e’ aggiunto, in fine, il seguente comma;
«4-bis. E’ sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilita’ e ne ordina la confisca».
4. All’articolo 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, dopo la parola: «416-bis,»
sono inserite le seguenti: «452-quater, 452-octies, primo comma,» e dopo le parole: «dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,» sono inserite le seguenti: «o dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni,».
5. All’articolo 32-quater del codice penale, dopo la parola: «437,»
sono inserite le seguenti: «452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies,» e dopo la parola: «644» sono inserite le seguenti: «, nonche’ dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
 152, e successive modificazioni».
6. All’articolo 157, sesto comma, secondo periodo, del codice penale, dopo le parole: «sono altresi’ raddoppiati» sono inserite le seguenti: «per i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo,».
7. All’articolo 118-bis, comma 1, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo le parole: «del codice» sono inserite le seguenti: «, nonche’ per i delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies del codice penale,», dopo le parole: «presso la Corte di appello» sono inserite le seguenti: «nonche’ all’Agenzia delle entrate ai fini dei necessari accertamenti» ed e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per i delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies del codice penale e all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, ne da’ altresi’ notizia al Procuratore nazionale antimafia».
8. All’articolo 25-undecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni;
 a) al comma 1, le lettere a) e b) sono sostituite dalle seguenti;
«a) per la violazione dell’articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;
 b) per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;
 c) per la violazione dell’articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;
 d) per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote;
 e) per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattivita’ ai sensi dell’articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;
 f) per la violazione dell’articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
 g) per la violazione dell’articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote»;
b) dopo il comma 1 e’ inserito il seguente;
«1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a)».
9. Dopo la parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
 152, e successive modificazioni, e’ aggiunta la seguente;
«Parte sesta-bis. – Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale.
Art. 318-bis. (Ambito di applicazione). – 1. Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.
Art. 318-ter. (Prescrizioni). – 1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, ovvero la polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario. In presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore che determinino un ritardo nella regolarizzazione, il termine puo’ essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un periodo non superiore a sei mesi, con provvedimento motivato che e’ comunicato immediatamente al pubblico ministero.
 2. Copia della prescrizione e’ notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore.
 3. Con la prescrizione l’organo accertatore puo’ imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attivita’ potenzialmente pericolose.
 4. Resta fermo l’obbligo dell’organo accertatore di riferire al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione, ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale.
Art. 318-quater. (Verifica dell’adempimento). – 1. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione ai sensi dell’articolo 318-ter, l’organo accertatore verifica se la violazione e’ stata eliminata secondo le modalita’ e nel termine indicati dalla prescrizione.
 2. Quando risulta l’adempimento della prescrizione, l’organo accertatore ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo accertatore comunica al pubblico ministero l’adempimento della prescrizione nonche’ l’eventuale pagamento della predetta somma.
 3. Quando risulta l’inadempimento della prescrizione, l’organo accertatore ne da’ comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella stessa prescrizione.
Art. 318-quinquies. (Notizie di reato non pervenute dall’organo accertatore). – 1. Se il pubblico ministero prende notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall’organo di vigilanza e dalla polizia giudiziaria, ne da’
 comunicazione all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria affinche’ provveda agli adempimenti di cui agli articoli 318-ter e 318-quater.
 2. Nel caso previsto dal comma 1, l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria informano il pubblico ministero della propria attivita’ senza ritardo.
Art. 318-sexies. (Sospensione del procedimento penale). – 1. Il procedimento per la contravvenzione e’ sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all’articolo 318-quater, commi 2 e 3, del presente decreto.
 2. Nel caso previsto dall’articolo 318-quinquies, comma 1, il procedimento rimane sospeso fino al termine indicato al comma 1 del presente articolo.
 3. La sospensione del procedimento non preclude la richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l’assunzione delle prove con incidente probatorio, ne’ gli atti urgenti di indagine preliminare, ne’ il sequestro preventivo ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale.
Art. 318-septies. (Estinzione del reato). – 1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’articolo 318-quater, comma 2.
 2. Il pubblico ministero richiede l’archiviazione se la contravvenzione e’ estinta ai sensi del comma 1.
 3. L’adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell’articolo 318-quater, comma 1, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalita’ diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza sono valutati ai fini dell’applicazione dell’articolo 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare e’ ridotta alla meta’ del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
 Art. 318-octies. (Norme di coordinamento e transitorie). – 1. Le norme della presente parte non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima parte».
 
Art. 2 
 1. All’articolo 1 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni;
 a) al comma 1, alinea, le parole: «con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da euro quindicimila a euro centocinquantamila»;
b) il comma 2 e’ sostituito dal seguente;
«2. In caso di recidiva, si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro trentamila a euro trecentomila.
Qualora il reato suddetto sia commesso nell’esercizio di attivita’ di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni»;
c) al comma 3, le parole: «e’ punita con la sanzione amministrativa da lire tre milioni a lire diciotto milioni» sono sostituite dalle seguenti: «e’ punita con la sanzione amministrativa da euro seimila a euro trentamila».
2. All’articolo 2 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni;
 a) al comma 1, alinea, le parole: «con l’ammenda da lire venti milioni a lire duecento milioni o con l’arresto da tre mesi ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «con l’ammenda da euro ventimila a euro duecentomila o con l’arresto da sei mesi ad un anno»;
b) il comma 2 e’ sostituito dal seguente;
«2. In caso di recidiva, si applica la pena dell’arresto da sei mesi a diciotto mesi e dell’ammenda da euro ventimila a euro duecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso nell’esercizio di attivita’ di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di diciotto mesi»;
c) al comma 3, le parole: «e’ punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire dodici milioni» sono sostituite dalle seguenti: «e’ punita con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila»;
d) al comma 4, le parole: «e’ punito con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire dodici milioni» sono sostituite dalle seguenti: «e’ punito con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila».
3. All’articolo 5 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, il comma 6 e’ sostituito dal seguente;
«6. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 5-bis e’ punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa da euro seimila a euro trentamila».
4. All’articolo 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni;
 a) il comma 4 e’ sostituito dal seguente;
«4. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 e’ punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da euro quindicimila a euro trecentomila»;
b) il comma 5 e’ sostituito dal seguente;
«5. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 3 e’ punito con la sanzione amministrativa da euro diecimila a euro sessantamila».
5. All’articolo 8-bis della legge 7 febbraio 1992, n. 150, il comma 1-bis e’ sostituito dal seguente;
«1-bis. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 e’ punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro cinquecento a euro duemila».
6. All’articolo 8-ter della legge 7 febbraio 1992, n. 150, il comma 5 e’ sostituito dal seguente;
«5. Chiunque contravviene alle disposizioni previste al comma 2 e’ punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa da euro cinquemila a euro trentamila».
 
Art. 3 
1. Le disposizioni di cui alla presente legge entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della medesima legge nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
 
Data a Roma, addi’ 22 maggio 2015 MATTARELLA Renzi,
 Presidente del Consiglio dei ministri
 Visto, il Guardasigilli: Orlando
 

Matite e rispetto

 

 

Subito dopo i fatti di Parigi scrissi sul mio profilo Facebook che il mio cuore era una matita, spezzata per l’attentato di Charlie Hebdo e per il dolore di chi stava soffrendo e non riusciva a scrivere ed a portare con il propria sorriso la luce nella nostra comunità.

Non pensavo solo ai giornalisti assassinati, ma anche ai tanti sconosciuti, fari per le vite altrui e, che, in quanto tali, le rendono ogni giorno più leggere, senza magari avere la forza per sostenere la propria e sentendosi in colpa per tale debolezza.

Osservavo che bisogna reagire, mostrando un cuore multicolore, perché sono il sorriso e l’amore per la vita e per la costruzione anche solo di un sogno a darci quel pepe che ci costringe ad alzarci dal letto quando saremmo lì, inerti, a vedere in televisione lo scorrere degli eventi.

E senza un sogno o un ideale è difficile disegnare il futuro nostro e dei nostri figli, ogni movimento è pesante, le lacrime induriscono i muscoli, è difficile anche camminare.

Concludevo invitando a serrare i ranghi, a porre in alto i cuori, così come le matite, per impedire che il dolore, la disfatta di un momento potessero abbattere quel bellissimo disegno che è la gioia per la vita.

Papa Francesco, con la saggezza di chi è chiamato ad assicurare la pace, osservava che i giornalisti di Charlie Hebdo erano delle vittime e non degli eroi, mandando un segnale di comprensione per chi si era sentito offeso dai loro disegni e, quindi, non riusciva in cuor proprio a soffrire per l’evento terroristico ed oscurantista.

La guida dell’Illuminismo, Voltaire, era solito dire “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo” e Martin Luther King ne riprese il pensiero affermando che “la mia libertà finisce dove comincia la vostra”.

Uccidere una matita, anche se insolente e blasfema, è un crimine contro la libertà, ma ciò non impedisce di rendersi conto che anche una matita libera può uccidere la libertà, perché, andando a colpire sentimenti tanto profondi da confondersi con l’intimità dell’essere umano, sostanzialmente ferisce persone che vivono di ideali o di sogni. La maggior parte di esse si limitano a sentirsi offese ed incapaci di reagire, voltandosi dall’altra parte: altri ritengono la non violenza sottomissione e, purtroppo, la storia e le vittorie hanno spesso trasformato terroristi in eroi.

La rete internet, pur respingendo i velleitarismi che periodicamente la vorrebbero assoggettata a cappi o, almeno, cappiole, si è interrogata in maniera così potente su quale debba essere il limite della libertà di parola: non è un caso che il suo lato più oscuro, Anonymous, cioè la sigla della principale comunità degli hacker di tutto il mondo, abbia deciso di venire alla ribalta in grande stile, con una operazione di oscuramento della gran parte dei siti e degli account Facebook e Twitter degli jihadisti dell’Isis.

Gli hacktivisti, attraverso il loro blog, hanno lanciato un messaggio al mondo intero (e non solo a quello islamico) ricordando che “Internet è per la libertà di parola, non per l’odio”.

In sintesi, i pirati informatici hanno scelto di uscire dal guscio individualista delle loro tastiere che si esaltano violando le difese altrui e, con una azione da far invidia al più sofisticato dei servizi segreti mondiali, sono diventati comunità a difesa della libertà, negando ad altri la possibilità di esprimersi liberamente, infestando il web di odio.

La comunità dei pirati ha messo in atto le parole di King, ha innalzato una barriera tra la propria libertà e quella degli assassini che, in suo nome, negano l’altrui libertà.

Una matita non può uccidere, ma il suo scritto ed il suo disegno possono essere letti come un’offesa e provocare azioni anche criminali a ritorsione dell’offesa.

Spesso si parla di libertà, ma quante volte si parla di rispetto per il pensiero ed i sentimenti altrui?

In una sorta di legalitarismo benpensante si è gridato allo scandalo perché i giocatori della Roma sono andati sotto la Curva Sud a giustificarsi con i tifosi per delle prestazioni sportive incolori ed indegne per degli atleti che ricevono in un anno compensi che molti degli spettatori contestatori non incasseranno mai in una vita di onesto lavoro manuale che, magari, gli consente un unico svago: il non economico biglietto per accedere allo stadio.

E’ vero che, tra i tifosi, vi sono persone che utilizzano il tifo per dare sfogo ai loro istinti violenti, ma è analogamente vero che esistono molte teorie psicologiche sulla funzione cosidetta catartica del tifo (quello fatto di urla di incitamento ed insulti ad arbitro, avversari e beniamini scarsamente combattivi), cioè che, attraverso di esso, viene scaricato il surplus adrenalinico di aggressività conseguente le frustrazioni quotidiane.

Non è questa la sede per disquisire su fondamento o limiti di tali teorie, ma il lancio della frutta contro i “cantanti lirici cani”.

nasce nei teatri dell’opera, a dimostrazione che ad ogni passione tradita corrisponde una reazione, anche in ambienti culturalmente ed economicamente più elevati di quelli degli usuali frequentatori di una curva.

E’ giusto reprimere ogni forma di violenza, ma bisogna fare attenzione al perbenismo intellettuale che produce l’effetto opposto.

E’ giusto non picchiare i figli, ma deve essere chiaro che il divieto è quello di sfogare sulla prole i propri istinti violenti, non quello della madre che da un “sano ceffone” al figlio per indurlo a mantenere un comportamento corretto che gli consentirà di avere una vita sociale.

Viceversa qualche benpensante della non violenza ha persino criticato la mamma nera a Baltimora che, vedendo il figlio in strada, impegnato a lanciare sassi contro la polizia nell’ambito delle proteste dopo i funerali del ragazzo afro americano Freddy Gray, ha reagito prendendolo a schiaffi davanti alle telecamere di tutto il mondo.

La maggioranza della popolazione mondiale ha applaudito quella mamma, così come la maggioranza dei laici contesta le offese agli altrui sentimenti religiosi, perché essere il principio fondamentale del libero pensiero è il rispetto.

“Chi è senza peccato, scagli la prima pietra“, lo disse Gesù, difendendo l’adultera, senza con ciò assolvere l’adulterio, che è ancora censurato in una società moderna che espone il sesso in TV non per l’atto fisico, ma per i pericolosi riflessi sociali sulla psiche del partner, che vive l’evento come una offesa.

E allora, difendiamo le libere matite, ma ricordiamo sempre che le ragioni altrui meritano lo stesso rispetto di chi le vuole criticare.

di Romolo Reboa 

* Avvocato del Foro di Roma

Divorzio breve in Gazzetta Ufficiale

altNella Gazzetta Ufficiale dell’11 maggio 2015, n. 107 è stata pubblicata la legge sul Divorzio breve (Legge 6 maggio 2015, n. 55), che interviene sulla disciplina della separazione e del divorzio, riducendo i tempi per la domanda di divorzio. 
 
LEGGE 6 maggio 2015, n. 55
 
Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonche’ di comunione tra i coniugi. (15G00073)
 
(GU n. 107 del 11-5-2015)
 
Vigente al: 26-5-2015
 
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
 
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
 
 Promulga
 
 la seguente legge:
 
Art. 1
 
1. Al secondo capoverso della lettera b), del numero 2), dell’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: « tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».
 
Art. 2
 
1. All’articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma e’ inserito il seguente:
 
«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purche’ omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati e’ comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione».
 
Art. 3
 
1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data.
 
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
 
Data a Roma, addi’ 6 maggio 2015.
 
 MATTARELLA
 
 Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri
 
Visto, il Guardasigilli: Orlando.
 

Mediazione e spese di avvio

altIl TAR Lazio, con la sentenza n 1351, statuiva in materia di spese del procedimento di mediazione, e in particolare escludeva che gli organismi di conciliazione potessero esigere le spese di avvio del procedimento, di cui all'art. 16 comma 2 del D.M. n. 180/2010 (oltre alle spese di mediazione). A seguito di ricorso in appello avverso la sentenza del Tar Lazio, in data 21/04/2015 è intervenuta la sentenza n.1694 del Consiglio di Stato, che, disattendendo in parte la sentenza di primo grado, ne ha sospeso gli effetti, nella parte in cui aveva disposto l'annullamento dell'art. 16 commi 2 e 9 D.M. 180/2010 in tema di spese del procedimento di mediazione. Quindi, anche in ipotesi di esito negativo del primo incontro le parti dovranno versare all'Organismo di conciliazione le spese di avvio del procedimento. Di seguito la sentenza: sentenza-consiglio-di-stato-01694-2015.pdf
 
 

Separazioni e divorzi dal Sindaco e negoziazione assistita: nuovi chiarimenti del Ministero dell’Interno

altIl Ministero dell’Interno il 24 aprile u.s. ha emanato la circolare n. 6/15 che ha chiarito alcuni dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione degli artt. 6 e 12 che hanno introdotto,  l’istituto della negoziazione assistita da un avvocato e la possibilità di chiedere la separazione personale, la cessazione degli effetti civili e lo scioglimento del matrimonio in Comune del D.L. 12 settembre 2014, n.132, convertito nella L.10 novembre 2014 n.162, per garantire uniformità a livello nazionale in tutti gli uffici di stato civile. Di seguito il testo della circolare: circolare-ministeriale-n_6-2015-divorzio-comune.pdf
 
 

Fondi ministeriali presso Banca d’Italia sono pignorabili

La Corte di Cassazione con sentenza n. 6078 del 26 marzo 2015 è intervenuta sulla pignorabilità dei fondi appartenenti al Ministero della Giustizia. Nel caso di specie il creditore dell’equa riparazione aveva tentato un pignoramento contro fondi depositati presso la Banca d’Italia appartenenti al Ministero della Giustizia. Accogliendo gli indirizzi della Corte Europea la Corte di Cassazione conferma che i fondi del Ministero della Giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1, sono da considerarsi liberamente pignorabili.
 
 Di seguito il testo della Sentenza della Corte di Cassazione n. 6078 del 26 marzo 2015:
 
Svolgimento del processo
 
B.G. convenne in giudizio il Ministero della Giustizia esponendo di avere promosso atto di pignoramento presso terzi sottoponendo ad esecuzione forzata somme detenute dalla Banca d’Italia, quale Tesoriere Provinciale dello Stato di Reggio Calabria, per conto del Ministero della Giustizia.
 
Precisò che il titolo esecutivo nasceva dal provvedimento di condanna giudiziale del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 10.000,00 per equa riparazione da irragionevole durata del processo.
 
Instaurata la fase esecutiva, la Banca d’Italia rendeva dichiarazione positiva.
 
Il Ministero propose opposizione agli atti esecutivi sostenendo che la forma del pignoramento presso terzi non poteva essere utilizzata.
 
Il giudice dell’esecuzione si riservava sulla richiesta di sospensione rigettandola. Il Ministero propose reclamo ex artt. 624 e 669 terdecies c.p.c., che fu accolto con provvedimento del 16.11.2009.
La B. introdusse il giudizio di merito ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
 
Resistette il Ministero.
Il tribunale, con sentenza del 23.2.2011, accolse l’opposizione proposta dal Ministero e dichiarò la nullità del pignoramento presso terzi.
 
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria B.G.. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
 
Motivi della decisione
 
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 12 disp. gen., in relazione al D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181.
 
 Con il secondo motivo si denuncia falsa applicazione della D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181.
 
 Con il terzo motivo si propone questione di legittimità costituzionale del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, in relazione agli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 80 e 111 Cost..
 
 I primi due motivi, esaminati congiuntamente, sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono.
 
 La L. n. 89 del 2001, ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di ricorrere alle Corti territoriali per ottenere la c.d. “equa riparazione” per l’irragionevole durata del processo. La finalità della c.d. legge “Pinto” era quella di evitare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fosse adita direttamente. Lo Stato Italiano, però, condannato ripetutamente, oltre che dalle Corti di merito, anche dalla Corte di Giustizia Europea, continua a frapporre ostacoli di ogni tipo alla reale riparazione del danno causato alla vittima della violazione del par. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2, (queste le norme che sanciscono il diritto di ogni individuo ad un processo sollecito).
 
In sostanza, attraverso la cd. dichiarazione di impignorabilità dei beni appartenenti al Ministero della Giustizia, l’esecuzione dei decreti di condanna è praticamente impossibile.
 
 La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348, ha dichiarato impignorabili alcuni fondi di proprietà del Ministero della Giustizia.
 
Sono stati, pertanto, pignorati nelle forme dell’espropriazione forzata presso terzi, fondi diversi da questi, non ricompresi nella previsione normativa.
 
Successivamente, interviene il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181 – che ha esteso la disciplina sui pignoramenti da eseguirsi nelle forme di cui al D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, anche ai fondi del Ministero della Giustizia precedentemente dichiarati impignorabili.
 
Il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Reggio Calabria ha preso atto della diversità delle somme pignorate rispetto a quelle previste dalla legge come impignorabili ed anche rispetto a quelle per le quali è stata sottratta la possibilità di procedere presso terzi.
 
Ma il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione e poi reclamo al Collegio sostenendo la tesi secondo cui, tale ultima normativa si applicherebbe anche a quei fondi del Ministero della Giustizia diversi da quelli dichiarati impignorabili e non contenuti nella tassativa previsione di legge.
 
Il Collegio ha riscontrato il fumus boni juris per sospendere la procedura esecutiva presso terzi in attesa della decisione nel merito.
 
E’ necessario ripercorrere la normativa succedutasi negli anni in materia di pignoramenti su somme di pertinenza del Ministero della Giustizia.
 
La L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 294 bis, inserito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348, rende impignorabili i “fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale Amministrato dal Ministero della Giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della Giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
 
Con tale norma, quindi, il legislatore ha inteso rendere impignorabili i fondi del Ministero della Giustizia destinati agli scopi ivi tassativamente indicati.
 
Tutte le altre somme diverse da quelle contenute nella norma indicata sono liberamente pignorabili nelle forme della esecuzione forzata presso terzi.
 
Ciò è tanto vero che la dichiarazione del terzo (Banca d’Italia) solo nel primo caso è negativa, mentre nel secondo caso (fondi diversi, quali Irpef, Fua, Irap e simili) è positiva, con conseguente accantonamento delle somme e senza riserve.
 
Successivamente, è intervenuto il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, il cui tenore testuale è il seguente: “1. Il D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, e successive modificazioni, si applica anche ai fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia”.
 
 Tale D.L. n. 313 del 1994, art. 1, prevedeva delle procedure speciali per i fondi appartenenti alle Prefetture.
 
 Il senso del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, è chiaro: il D.L. n. 313 del 1994, art. 1, è applicabile alle sole somme destinate “al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della Giustizia”.
 
 Il Ministero della Giustizia sostiene, invece, l’estensione di tale norma anche ai fondi non previsti nella stessa e diversi da quelli ivi tassativamente indicati.
 
Ma un tale interpretazione non trova alcun addentellato normativo.
 
Tutte le altre somme diverse da quelle destinate “al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della Giustizia” esulano dalla recente disposizione e rimangano, pertanto, pignorabili nelle forme della procedura esecutiva presso terzi, in assenza di una chiara ed espressa disposizione di senso contrario”.
 
 Diversamente, si verrebbe a creare una norma che in realtà non esiste, con palese violazione dell’art. 12 preleggi.
 
L’interpretazione propugnata oltrepassa i limiti imposti dal citato art. 12 preleggi, con un’inammissibile sostituzione al legislatore.
 
 La nuova norma che ne deriverebbe consentirebbe la pignorabilità nelle forme previste dal libro III, Titolo II, Capo II c.p.c., secondo la speciale procedura ivi prevista anche dei fondi diversi da quelli indicati, peraltro tassativamente, nel D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter.
 
 Ma una tale interpretazione si pone in irrimediabile conflitto con il dato letterale del D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter.
 
 Anche la Corte di cassazione ha spesso affermato che, per quanto si possa interpretare estensivamente una norma, non si può andare oltre il suo dato testuale, costituendo questo un limite invalicabile ex art. 12 preleggi (fra le varie Cass. 16.10.1975 n. 3359; Cass. 13.11.1979 n. 5901; Cass. 23.9.1985 n. 4711; Cass. 18.8.2003 n. 12081).
 
 La chiarezza ed univocità del testo normativo non consentono la lettura propugnata.
 
 Del resto, la nuova norma indica gli stessi fondi contenuti nel precedente L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1348, che li dichiarava allora impignorabili.
 
 Dal 27 dicembre 2006 in poi, il Giudice dell’Esecuzione ha dichiarato improcedibili per impignorabilità le procedure che riguardavano detti fondi, mentre, se il pignoramento ricadeva su fondi diversi (quali, Irap, Fua, Irpef e simili), il Giudice procedeva all’assegnazione delle somme accantonate, ritenendole ovviamente pignorabili.
 
 La difesa dell’Amministrazione, presentandosi alle varie udienze, controllava le dichiarazioni di Terzo e se il pignoramento ricadeva sui fondi pignorabili (Irap, Fua, Irpef e simili) dichiarava di non aver nulla in contrario all’assegnazione e non presentava alcuna opposizione.
 
 Oggi, dopo l’entrata in vigore del citato D.L. n. 143 del 2008, sotto il profilo dell’individuazione dei fondi liberamente pignorabili non è cambiato nulla.
 
 La nuova norma, infatti, impone la procedura di cui al D.L. n. 313 del 1994, ai pignoramenti riguardanti esattamente i medesimi fondi che la L. n. 296 del 2006, aveva dichiarato impignorabili.
 
 Le due norme (D.L. n. 143 del 2008, art. 1, e L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348) – nel testo sono usate le medesime parole – sono identiche nell’indicazione dei fondi soggetti alle rispettive normative. Pertanto, gli altri fondi (Irap, Fua, Irpef e simili), liberamente pignorabili anche presso terzi e sempre assegnati dal Giudice dell’Esecuzione, senza alcuna opposizione, sono rimasti esattamente tali.
 
 D’altra parte, se la norma fosse interpretata nel senso inteso dal Ministero della Giustizia, la stessa, secondo recenti pronunce della Consulta, sarebbe incostituzionale per quanto attiene i crediti nascenti dalla condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per violazione della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
 
 La Corte di Strasburgo ha, infatti, sancito il principio di civiltà secondo cui lo stato membro è obbligato a stanziare le somme destinate alla soddisfazione del creditore senza frapporre ostacoli, pena l’ulteriore violazione dell’art. 6 della Convenzione per mancata esecuzione della sentenza interna che accerta il diritto di credito dell’individuo nei confronti dello Stato (Sezione IV, 19 giugno 2007, ricorso n. 19981/02). La Corte Costituzionale, poi, con le due pronunce n. 348/2007 e 349/2007 ha definitivamente affermato che le leggi interne contrarie alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sono incostituzionali e rispetto ad esse va sollevata questione di legittimità.
 
 Peraltro, la Costituzione Italiana ha pienamente recepito i trattati internazionali e, pertanto, ove la legge italiana vi si ponga in insanabile contrasto, essa deve essere disapplicata, ovvero dichiarata incostituzionale.
 
 La violazione del diritto alla ragionevole durata del processo è particolarmente grave e odiosa, come il mancato rispetto della Carta dei diritti dell’Uomo, ed è di pari rango alla tortura, alla negazione della libertà di stampa e di espressione, all’impedimento dell’esercizio dei diritti civili etc..
 
 La Corte Europea (sentenza del 31 marzo 2009) ha espressamente sottolineato, respingendo la tesi del Governo, che non si può chiedere ad un individuo, che ha già fatto ricorso alla c.d. legge Pinto per ottenere un indennizzo per la durata eccessiva del processo, di presentare un nuovo ricorso se la sentenza di condanna non viene eseguita in tempi rapidi.
 
 Con detta pronuncia, la Corte Europea ha ulteriormente condannato lo Stato Italiano perchè le sentenze emesse in forza della legge “Pinto”, non solo non vengono eseguite, ma vengono ostacolate con mezzi francamente inaccettabili.
 
Non è consentito al Giudice emettere nuove norme, pena il superamento della divisione dei poteri che vede nel Parlamento l’unico organo legislativo dello Stato.
 
Pertanto, i fondi del Ministero della Giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1, sono liberamente pignorabili.
 
 In questo stesso senso si è già espressa anche la Corte di cassazione con l’ordinanza del 28.10.2014 n. 22854.
 
Nè è applicabile, nella specie, l’attuale disposizione della L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies, – che prevede la modalità di pignoramento cd. diretto, vale dire nella forma dell’espropriazione diretta presso il debitore, attraverso atto notificato al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione (inserito dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, conv., con modificazioni, dalla L. 6 giugno 2013, n. 64).
 
Questa norma è entrata in vigore in data 9 aprile 2013, ai sensi del D.L. n. 35 del 2013, art. 13, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 82 dell’8 aprile 2013. Essa regola le modalità dell’azione esecutiva; ragion per cui, in mancanza di apposita disciplina transitoria, la nuova normativa non può che regolare le azioni esecutive intraprese con atti di pignoramento eseguiti successivamente alla data della sua entrata in vigore.
 
Ciò che non è nel caso in esame, in cui il pignoramento presso terzi è stato introdotto con atto notificato il 6.12.2008. Da ultimo, le conclusioni raggiunte rendono irrilevante la prospettata questione di costituzionalità sollecitata con il terzo motivo.
 
Conclusivamente, il ricorso è accolto e la sentenza è cassata.
 
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte decide nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia.
 
 L’oggettiva complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di merito e di quello di cassazione.
 
P.Q.M.
 
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione del Ministero della Giustizia. Compensa le spese del giudizio di merito e di quello di cassazione.
 
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2015