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Matite e rispetto

 

 

Subito dopo i fatti di Parigi scrissi sul mio profilo Facebook che il mio cuore era una matita, spezzata per l’attentato di Charlie Hebdo e per il dolore di chi stava soffrendo e non riusciva a scrivere ed a portare con il propria sorriso la luce nella nostra comunità.

Non pensavo solo ai giornalisti assassinati, ma anche ai tanti sconosciuti, fari per le vite altrui e, che, in quanto tali, le rendono ogni giorno più leggere, senza magari avere la forza per sostenere la propria e sentendosi in colpa per tale debolezza.

Osservavo che bisogna reagire, mostrando un cuore multicolore, perché sono il sorriso e l’amore per la vita e per la costruzione anche solo di un sogno a darci quel pepe che ci costringe ad alzarci dal letto quando saremmo lì, inerti, a vedere in televisione lo scorrere degli eventi.

E senza un sogno o un ideale è difficile disegnare il futuro nostro e dei nostri figli, ogni movimento è pesante, le lacrime induriscono i muscoli, è difficile anche camminare.

Concludevo invitando a serrare i ranghi, a porre in alto i cuori, così come le matite, per impedire che il dolore, la disfatta di un momento potessero abbattere quel bellissimo disegno che è la gioia per la vita.

Papa Francesco, con la saggezza di chi è chiamato ad assicurare la pace, osservava che i giornalisti di Charlie Hebdo erano delle vittime e non degli eroi, mandando un segnale di comprensione per chi si era sentito offeso dai loro disegni e, quindi, non riusciva in cuor proprio a soffrire per l’evento terroristico ed oscurantista.

La guida dell’Illuminismo, Voltaire, era solito dire “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo” e Martin Luther King ne riprese il pensiero affermando che “la mia libertà finisce dove comincia la vostra”.

Uccidere una matita, anche se insolente e blasfema, è un crimine contro la libertà, ma ciò non impedisce di rendersi conto che anche una matita libera può uccidere la libertà, perché, andando a colpire sentimenti tanto profondi da confondersi con l’intimità dell’essere umano, sostanzialmente ferisce persone che vivono di ideali o di sogni. La maggior parte di esse si limitano a sentirsi offese ed incapaci di reagire, voltandosi dall’altra parte: altri ritengono la non violenza sottomissione e, purtroppo, la storia e le vittorie hanno spesso trasformato terroristi in eroi.

La rete internet, pur respingendo i velleitarismi che periodicamente la vorrebbero assoggettata a cappi o, almeno, cappiole, si è interrogata in maniera così potente su quale debba essere il limite della libertà di parola: non è un caso che il suo lato più oscuro, Anonymous, cioè la sigla della principale comunità degli hacker di tutto il mondo, abbia deciso di venire alla ribalta in grande stile, con una operazione di oscuramento della gran parte dei siti e degli account Facebook e Twitter degli jihadisti dell’Isis.

Gli hacktivisti, attraverso il loro blog, hanno lanciato un messaggio al mondo intero (e non solo a quello islamico) ricordando che “Internet è per la libertà di parola, non per l’odio”.

In sintesi, i pirati informatici hanno scelto di uscire dal guscio individualista delle loro tastiere che si esaltano violando le difese altrui e, con una azione da far invidia al più sofisticato dei servizi segreti mondiali, sono diventati comunità a difesa della libertà, negando ad altri la possibilità di esprimersi liberamente, infestando il web di odio.

La comunità dei pirati ha messo in atto le parole di King, ha innalzato una barriera tra la propria libertà e quella degli assassini che, in suo nome, negano l’altrui libertà.

Una matita non può uccidere, ma il suo scritto ed il suo disegno possono essere letti come un’offesa e provocare azioni anche criminali a ritorsione dell’offesa.

Spesso si parla di libertà, ma quante volte si parla di rispetto per il pensiero ed i sentimenti altrui?

In una sorta di legalitarismo benpensante si è gridato allo scandalo perché i giocatori della Roma sono andati sotto la Curva Sud a giustificarsi con i tifosi per delle prestazioni sportive incolori ed indegne per degli atleti che ricevono in un anno compensi che molti degli spettatori contestatori non incasseranno mai in una vita di onesto lavoro manuale che, magari, gli consente un unico svago: il non economico biglietto per accedere allo stadio.

E’ vero che, tra i tifosi, vi sono persone che utilizzano il tifo per dare sfogo ai loro istinti violenti, ma è analogamente vero che esistono molte teorie psicologiche sulla funzione cosidetta catartica del tifo (quello fatto di urla di incitamento ed insulti ad arbitro, avversari e beniamini scarsamente combattivi), cioè che, attraverso di esso, viene scaricato il surplus adrenalinico di aggressività conseguente le frustrazioni quotidiane.

Non è questa la sede per disquisire su fondamento o limiti di tali teorie, ma il lancio della frutta contro i “cantanti lirici cani”.

nasce nei teatri dell’opera, a dimostrazione che ad ogni passione tradita corrisponde una reazione, anche in ambienti culturalmente ed economicamente più elevati di quelli degli usuali frequentatori di una curva.

E’ giusto reprimere ogni forma di violenza, ma bisogna fare attenzione al perbenismo intellettuale che produce l’effetto opposto.

E’ giusto non picchiare i figli, ma deve essere chiaro che il divieto è quello di sfogare sulla prole i propri istinti violenti, non quello della madre che da un “sano ceffone” al figlio per indurlo a mantenere un comportamento corretto che gli consentirà di avere una vita sociale.

Viceversa qualche benpensante della non violenza ha persino criticato la mamma nera a Baltimora che, vedendo il figlio in strada, impegnato a lanciare sassi contro la polizia nell’ambito delle proteste dopo i funerali del ragazzo afro americano Freddy Gray, ha reagito prendendolo a schiaffi davanti alle telecamere di tutto il mondo.

La maggioranza della popolazione mondiale ha applaudito quella mamma, così come la maggioranza dei laici contesta le offese agli altrui sentimenti religiosi, perché essere il principio fondamentale del libero pensiero è il rispetto.

“Chi è senza peccato, scagli la prima pietra“, lo disse Gesù, difendendo l’adultera, senza con ciò assolvere l’adulterio, che è ancora censurato in una società moderna che espone il sesso in TV non per l’atto fisico, ma per i pericolosi riflessi sociali sulla psiche del partner, che vive l’evento come una offesa.

E allora, difendiamo le libere matite, ma ricordiamo sempre che le ragioni altrui meritano lo stesso rispetto di chi le vuole criticare.

di Romolo Reboa 

* Avvocato del Foro di Roma

Divorzio breve in Gazzetta Ufficiale

altNella Gazzetta Ufficiale dell’11 maggio 2015, n. 107 è stata pubblicata la legge sul Divorzio breve (Legge 6 maggio 2015, n. 55), che interviene sulla disciplina della separazione e del divorzio, riducendo i tempi per la domanda di divorzio. 
 
LEGGE 6 maggio 2015, n. 55
 
Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonche’ di comunione tra i coniugi. (15G00073)
 
(GU n. 107 del 11-5-2015)
 
Vigente al: 26-5-2015
 
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
 
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
 
 Promulga
 
 la seguente legge:
 
Art. 1
 
1. Al secondo capoverso della lettera b), del numero 2), dell’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: « tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».
 
Art. 2
 
1. All’articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma e’ inserito il seguente:
 
«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purche’ omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati e’ comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione».
 
Art. 3
 
1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data.
 
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
 
Data a Roma, addi’ 6 maggio 2015.
 
 MATTARELLA
 
 Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri
 
Visto, il Guardasigilli: Orlando.
 

Mediazione e spese di avvio

altIl TAR Lazio, con la sentenza n 1351, statuiva in materia di spese del procedimento di mediazione, e in particolare escludeva che gli organismi di conciliazione potessero esigere le spese di avvio del procedimento, di cui all'art. 16 comma 2 del D.M. n. 180/2010 (oltre alle spese di mediazione). A seguito di ricorso in appello avverso la sentenza del Tar Lazio, in data 21/04/2015 è intervenuta la sentenza n.1694 del Consiglio di Stato, che, disattendendo in parte la sentenza di primo grado, ne ha sospeso gli effetti, nella parte in cui aveva disposto l'annullamento dell'art. 16 commi 2 e 9 D.M. 180/2010 in tema di spese del procedimento di mediazione. Quindi, anche in ipotesi di esito negativo del primo incontro le parti dovranno versare all'Organismo di conciliazione le spese di avvio del procedimento. Di seguito la sentenza: sentenza-consiglio-di-stato-01694-2015.pdf
 
 

Separazioni e divorzi dal Sindaco e negoziazione assistita: nuovi chiarimenti del Ministero dell’Interno

altIl Ministero dell’Interno il 24 aprile u.s. ha emanato la circolare n. 6/15 che ha chiarito alcuni dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione degli artt. 6 e 12 che hanno introdotto,  l’istituto della negoziazione assistita da un avvocato e la possibilità di chiedere la separazione personale, la cessazione degli effetti civili e lo scioglimento del matrimonio in Comune del D.L. 12 settembre 2014, n.132, convertito nella L.10 novembre 2014 n.162, per garantire uniformità a livello nazionale in tutti gli uffici di stato civile. Di seguito il testo della circolare: circolare-ministeriale-n_6-2015-divorzio-comune.pdf
 
 

Fondi ministeriali presso Banca d’Italia sono pignorabili

La Corte di Cassazione con sentenza n. 6078 del 26 marzo 2015 è intervenuta sulla pignorabilità dei fondi appartenenti al Ministero della Giustizia. Nel caso di specie il creditore dell’equa riparazione aveva tentato un pignoramento contro fondi depositati presso la Banca d’Italia appartenenti al Ministero della Giustizia. Accogliendo gli indirizzi della Corte Europea la Corte di Cassazione conferma che i fondi del Ministero della Giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1, sono da considerarsi liberamente pignorabili.
 
 Di seguito il testo della Sentenza della Corte di Cassazione n. 6078 del 26 marzo 2015:
 
Svolgimento del processo
 
B.G. convenne in giudizio il Ministero della Giustizia esponendo di avere promosso atto di pignoramento presso terzi sottoponendo ad esecuzione forzata somme detenute dalla Banca d’Italia, quale Tesoriere Provinciale dello Stato di Reggio Calabria, per conto del Ministero della Giustizia.
 
Precisò che il titolo esecutivo nasceva dal provvedimento di condanna giudiziale del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 10.000,00 per equa riparazione da irragionevole durata del processo.
 
Instaurata la fase esecutiva, la Banca d’Italia rendeva dichiarazione positiva.
 
Il Ministero propose opposizione agli atti esecutivi sostenendo che la forma del pignoramento presso terzi non poteva essere utilizzata.
 
Il giudice dell’esecuzione si riservava sulla richiesta di sospensione rigettandola. Il Ministero propose reclamo ex artt. 624 e 669 terdecies c.p.c., che fu accolto con provvedimento del 16.11.2009.
La B. introdusse il giudizio di merito ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
 
Resistette il Ministero.
Il tribunale, con sentenza del 23.2.2011, accolse l’opposizione proposta dal Ministero e dichiarò la nullità del pignoramento presso terzi.
 
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria B.G.. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
 
Motivi della decisione
 
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 12 disp. gen., in relazione al D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181.
 
 Con il secondo motivo si denuncia falsa applicazione della D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181.
 
 Con il terzo motivo si propone questione di legittimità costituzionale del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, in relazione agli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 80 e 111 Cost..
 
 I primi due motivi, esaminati congiuntamente, sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono.
 
 La L. n. 89 del 2001, ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di ricorrere alle Corti territoriali per ottenere la c.d. “equa riparazione” per l’irragionevole durata del processo. La finalità della c.d. legge “Pinto” era quella di evitare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fosse adita direttamente. Lo Stato Italiano, però, condannato ripetutamente, oltre che dalle Corti di merito, anche dalla Corte di Giustizia Europea, continua a frapporre ostacoli di ogni tipo alla reale riparazione del danno causato alla vittima della violazione del par. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2, (queste le norme che sanciscono il diritto di ogni individuo ad un processo sollecito).
 
In sostanza, attraverso la cd. dichiarazione di impignorabilità dei beni appartenenti al Ministero della Giustizia, l’esecuzione dei decreti di condanna è praticamente impossibile.
 
 La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348, ha dichiarato impignorabili alcuni fondi di proprietà del Ministero della Giustizia.
 
Sono stati, pertanto, pignorati nelle forme dell’espropriazione forzata presso terzi, fondi diversi da questi, non ricompresi nella previsione normativa.
 
Successivamente, interviene il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181 – che ha esteso la disciplina sui pignoramenti da eseguirsi nelle forme di cui al D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, anche ai fondi del Ministero della Giustizia precedentemente dichiarati impignorabili.
 
Il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Reggio Calabria ha preso atto della diversità delle somme pignorate rispetto a quelle previste dalla legge come impignorabili ed anche rispetto a quelle per le quali è stata sottratta la possibilità di procedere presso terzi.
 
Ma il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione e poi reclamo al Collegio sostenendo la tesi secondo cui, tale ultima normativa si applicherebbe anche a quei fondi del Ministero della Giustizia diversi da quelli dichiarati impignorabili e non contenuti nella tassativa previsione di legge.
 
Il Collegio ha riscontrato il fumus boni juris per sospendere la procedura esecutiva presso terzi in attesa della decisione nel merito.
 
E’ necessario ripercorrere la normativa succedutasi negli anni in materia di pignoramenti su somme di pertinenza del Ministero della Giustizia.
 
La L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 294 bis, inserito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348, rende impignorabili i “fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale Amministrato dal Ministero della Giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della Giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
 
Con tale norma, quindi, il legislatore ha inteso rendere impignorabili i fondi del Ministero della Giustizia destinati agli scopi ivi tassativamente indicati.
 
Tutte le altre somme diverse da quelle contenute nella norma indicata sono liberamente pignorabili nelle forme della esecuzione forzata presso terzi.
 
Ciò è tanto vero che la dichiarazione del terzo (Banca d’Italia) solo nel primo caso è negativa, mentre nel secondo caso (fondi diversi, quali Irpef, Fua, Irap e simili) è positiva, con conseguente accantonamento delle somme e senza riserve.
 
Successivamente, è intervenuto il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, il cui tenore testuale è il seguente: “1. Il D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, e successive modificazioni, si applica anche ai fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia”.
 
 Tale D.L. n. 313 del 1994, art. 1, prevedeva delle procedure speciali per i fondi appartenenti alle Prefetture.
 
 Il senso del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, è chiaro: il D.L. n. 313 del 1994, art. 1, è applicabile alle sole somme destinate “al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della Giustizia”.
 
 Il Ministero della Giustizia sostiene, invece, l’estensione di tale norma anche ai fondi non previsti nella stessa e diversi da quelli ivi tassativamente indicati.
 
Ma un tale interpretazione non trova alcun addentellato normativo.
 
Tutte le altre somme diverse da quelle destinate “al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della Giustizia” esulano dalla recente disposizione e rimangano, pertanto, pignorabili nelle forme della procedura esecutiva presso terzi, in assenza di una chiara ed espressa disposizione di senso contrario”.
 
 Diversamente, si verrebbe a creare una norma che in realtà non esiste, con palese violazione dell’art. 12 preleggi.
 
L’interpretazione propugnata oltrepassa i limiti imposti dal citato art. 12 preleggi, con un’inammissibile sostituzione al legislatore.
 
 La nuova norma che ne deriverebbe consentirebbe la pignorabilità nelle forme previste dal libro III, Titolo II, Capo II c.p.c., secondo la speciale procedura ivi prevista anche dei fondi diversi da quelli indicati, peraltro tassativamente, nel D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter.
 
 Ma una tale interpretazione si pone in irrimediabile conflitto con il dato letterale del D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter.
 
 Anche la Corte di cassazione ha spesso affermato che, per quanto si possa interpretare estensivamente una norma, non si può andare oltre il suo dato testuale, costituendo questo un limite invalicabile ex art. 12 preleggi (fra le varie Cass. 16.10.1975 n. 3359; Cass. 13.11.1979 n. 5901; Cass. 23.9.1985 n. 4711; Cass. 18.8.2003 n. 12081).
 
 La chiarezza ed univocità del testo normativo non consentono la lettura propugnata.
 
 Del resto, la nuova norma indica gli stessi fondi contenuti nel precedente L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1348, che li dichiarava allora impignorabili.
 
 Dal 27 dicembre 2006 in poi, il Giudice dell’Esecuzione ha dichiarato improcedibili per impignorabilità le procedure che riguardavano detti fondi, mentre, se il pignoramento ricadeva su fondi diversi (quali, Irap, Fua, Irpef e simili), il Giudice procedeva all’assegnazione delle somme accantonate, ritenendole ovviamente pignorabili.
 
 La difesa dell’Amministrazione, presentandosi alle varie udienze, controllava le dichiarazioni di Terzo e se il pignoramento ricadeva sui fondi pignorabili (Irap, Fua, Irpef e simili) dichiarava di non aver nulla in contrario all’assegnazione e non presentava alcuna opposizione.
 
 Oggi, dopo l’entrata in vigore del citato D.L. n. 143 del 2008, sotto il profilo dell’individuazione dei fondi liberamente pignorabili non è cambiato nulla.
 
 La nuova norma, infatti, impone la procedura di cui al D.L. n. 313 del 1994, ai pignoramenti riguardanti esattamente i medesimi fondi che la L. n. 296 del 2006, aveva dichiarato impignorabili.
 
 Le due norme (D.L. n. 143 del 2008, art. 1, e L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348) – nel testo sono usate le medesime parole – sono identiche nell’indicazione dei fondi soggetti alle rispettive normative. Pertanto, gli altri fondi (Irap, Fua, Irpef e simili), liberamente pignorabili anche presso terzi e sempre assegnati dal Giudice dell’Esecuzione, senza alcuna opposizione, sono rimasti esattamente tali.
 
 D’altra parte, se la norma fosse interpretata nel senso inteso dal Ministero della Giustizia, la stessa, secondo recenti pronunce della Consulta, sarebbe incostituzionale per quanto attiene i crediti nascenti dalla condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per violazione della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
 
 La Corte di Strasburgo ha, infatti, sancito il principio di civiltà secondo cui lo stato membro è obbligato a stanziare le somme destinate alla soddisfazione del creditore senza frapporre ostacoli, pena l’ulteriore violazione dell’art. 6 della Convenzione per mancata esecuzione della sentenza interna che accerta il diritto di credito dell’individuo nei confronti dello Stato (Sezione IV, 19 giugno 2007, ricorso n. 19981/02). La Corte Costituzionale, poi, con le due pronunce n. 348/2007 e 349/2007 ha definitivamente affermato che le leggi interne contrarie alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sono incostituzionali e rispetto ad esse va sollevata questione di legittimità.
 
 Peraltro, la Costituzione Italiana ha pienamente recepito i trattati internazionali e, pertanto, ove la legge italiana vi si ponga in insanabile contrasto, essa deve essere disapplicata, ovvero dichiarata incostituzionale.
 
 La violazione del diritto alla ragionevole durata del processo è particolarmente grave e odiosa, come il mancato rispetto della Carta dei diritti dell’Uomo, ed è di pari rango alla tortura, alla negazione della libertà di stampa e di espressione, all’impedimento dell’esercizio dei diritti civili etc..
 
 La Corte Europea (sentenza del 31 marzo 2009) ha espressamente sottolineato, respingendo la tesi del Governo, che non si può chiedere ad un individuo, che ha già fatto ricorso alla c.d. legge Pinto per ottenere un indennizzo per la durata eccessiva del processo, di presentare un nuovo ricorso se la sentenza di condanna non viene eseguita in tempi rapidi.
 
 Con detta pronuncia, la Corte Europea ha ulteriormente condannato lo Stato Italiano perchè le sentenze emesse in forza della legge “Pinto”, non solo non vengono eseguite, ma vengono ostacolate con mezzi francamente inaccettabili.
 
Non è consentito al Giudice emettere nuove norme, pena il superamento della divisione dei poteri che vede nel Parlamento l’unico organo legislativo dello Stato.
 
Pertanto, i fondi del Ministero della Giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1, sono liberamente pignorabili.
 
 In questo stesso senso si è già espressa anche la Corte di cassazione con l’ordinanza del 28.10.2014 n. 22854.
 
Nè è applicabile, nella specie, l’attuale disposizione della L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies, – che prevede la modalità di pignoramento cd. diretto, vale dire nella forma dell’espropriazione diretta presso il debitore, attraverso atto notificato al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione (inserito dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, conv., con modificazioni, dalla L. 6 giugno 2013, n. 64).
 
Questa norma è entrata in vigore in data 9 aprile 2013, ai sensi del D.L. n. 35 del 2013, art. 13, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 82 dell’8 aprile 2013. Essa regola le modalità dell’azione esecutiva; ragion per cui, in mancanza di apposita disciplina transitoria, la nuova normativa non può che regolare le azioni esecutive intraprese con atti di pignoramento eseguiti successivamente alla data della sua entrata in vigore.
 
Ciò che non è nel caso in esame, in cui il pignoramento presso terzi è stato introdotto con atto notificato il 6.12.2008. Da ultimo, le conclusioni raggiunte rendono irrilevante la prospettata questione di costituzionalità sollecitata con il terzo motivo.
 
Conclusivamente, il ricorso è accolto e la sentenza è cassata.
 
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte decide nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia.
 
 L’oggettiva complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di merito e di quello di cassazione.
 
P.Q.M.
 
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione del Ministero della Giustizia. Compensa le spese del giudizio di merito e di quello di cassazione.
 
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2015