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Avvocati: schema di decreto ministeriale su aggiornamento dell’albo

altSchema di decreto ministeriale concernente “Regolamento recante disposizioni per la tenuta e l’aggiornamento dell’albo, degli elenchi e dei registri, per l’iscrizione, trasferimento e cancellazione dagli stessi, nonché per le impugnazioni dei provvedimenti adottati in materia, a norma dell’articolo 15 della legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
 
TESTO dello schema di decreto
 
TITOLO I – Modalità di tenuta e di iscrizione negli albi, nei registri e negli elenchi
 
Art. 1 – Oggetto del decreto. Definizioni.
 
1.Il presente regolamento disciplina la tenuta e l’aggiornamento degli albi, degli elenchi e dei registri da parte dei consigli dell’ordine degli avvocati, nonché le modalità di iscrizione e di trasferimento, i casi di cancellazione e le impugnazioni dei provvedimenti adottati in materia dai consigli dell’ordine. Ai fini del presente regolamento, per “legge” si intende la legge 31 dicembre 2012, n. 247.
 
Art. 2 – Albo degli avvocati.
 
1. Nell’albo degli avvocati sono indicati, per ciascun professionista iscritto: a) il nome e il cognome, il luogo e la data di nascita; b) il codice fiscale; c) il domicilio professionale principale e quelli secondari nel circondario comprensivi di indirizzo, recapito telefonico, numero di fax e indirizzo di posta elettronica certificata: d) la data di iscrizione; e) l’eventuale associazione tra avvocati alla quale partecipa; f) l’eventuale società tra avvocati di cui è socio; g) le informazioni eventualmente risultanti dagli albi, registri ed elenchi di cui all’articolo 15, comma 1 della legge; h) l’eventuale data di cancellazione.
2. Per ciascun avvocato stabilito, sono indicati altresì il titolo professionale di origine e i dati di cui all’articolo 6, commi 2 e 4, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, nonché gli organi giurisdizionali dinanzi ai quali è abilitato a patrocinare nel paese di origine.
 
Art. 3 – Elenchi.
 
1.Negli elenchi di cui all’articolo 15, comma 1, della legge sono contenuti i dati relativi ai requisiti previsti dalla legge per l’iscrizione.
2.Il sistema informatico di cui all’articolo 5 alimenta gli elenchi utilizzando i dati contenuti nell’albo.
3.Per le società tra avvocati, sono indicati: la partita I.V.A., la sede, l’elenco dei soci con i loro dati identificativi nonché, per ciascuno dei soci avvocati, gli ulteriori dati di cui all’articolo 2, comma 1.
4.Per le associazioni tra avvocati, sono indicati: l’eventuale partita I.V.A., la sede, l’elenco degli associati con i loro dati identificativi nonché, per ciascuno degli associati avvocati, gli ulteriori dati di cui all’articolo 2, comma 1.
 
Art. 4 – Registro ed elenco dei praticanti.
 
1.Nel registro dei praticanti sono indicati, per ciascun iscritto: a) il nome e il cognome, la data e il luogo di nascita; b) l’eventuale data di conseguimento del diploma di laurea e l’Università che lo ha rilasciato; c) il luogo di residenza e il codice fiscale; d) la data di iscrizione; e) la modalità di svolgimento del tirocinio, a norma dell’articolo 41, comma 6, della legge; f) il recapito telefonico, l’indirizzo di posta elettronica ordinaria, l’eventuale numero di fax o indirizzo di posta elettronica certificata: g) l’eventuale abilitazione al patrocinio, con relativa data di decorrenza e conclusione; h) l’eventuale sospensione o interruzione del tirocinio ; i) ogni altra indicazione richiesta dal decreto di cui all’articolo 41, comma 13 della legge.
2.Nel registro di cui al comma 1, per ciascun iscritto, sono altresì indicati:
a)il nome, il cognome e il codice fiscale dell’avvocato presso cui il praticante svolge il tirocinio;
b)l’ufficio dell’avvocatura dello Stato presso cui il praticante svolge il tirocinio;
c)l’ufficio legale dell’ente pubblico presso cui il praticante svolge il tirocinio;
d)l’ufficio giudiziario presso cui il praticante svolge il tirocinio;
e)il professionista legale con titolo equivalente a quello di avvocato di altro Paese dell’Unione europea presso cui svolge il tirocinio;
f)la data di inizio e di conclusione dello svolgimento del tirocinio secondo le modalità indicate alle lettere a), b), c), d) ed e).
 
Art. 5 – Tenuta e revisione degli albi, dei registri e degli elenchi.
 
1.Gli albi, il registro e gli elenchi sono tenuti esclusivamente con modalità informatiche. Per la tenuta degli albi, dei registri e degli elenchi i consigli dell’ordine utilizzano esclusivamente il sistema informatico realizzato dal Consiglio nazionale forense. Il sistema informatico procede al tracciamento degli accessi tramite registrazioni che consentono di verificare in ogni momento le operazioni eseguite da ciascun utente.
2.Quando in conseguenza della revisione dell’albo, degli elenchi e dei registri emerge la necessità di procedere alla revisione dei dati, ne è data notizia all’iscritto mediante posta elettronica certificata, ovvero, se non è possibile, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. Entro dieci giorni dalla comunicazione, l’iscritto ha facoltà di presentare osservazioni con le medesime modalità.
3.Il sistema informatico esegue, con modalità telematiche ed automatizzate, le comunicazioni dei dati contenuti nell’albo, nei registri e negli elenchi previste dalla legge.
4.Il sistema informatico accerta, con modalità automatizzate, che l’indirizzo di posta elettronica indicato nella domanda di iscrizione all’albo corrisponda ad una casella di posta elettronica certificata.
5.La disposizione del comma 4 si applica anche agli indirizzi di posta elettronica contenuti nell’albo ed immessi nel sistema informatico a norma dell’articolo 14, comma 4.
 
Art. 6 – Iscrizione negli albi, nei registri e negli elenchi.
 
1.La domanda di iscrizione negli albi, nei registri e negli elenchi è inserita, con modalità informatiche, nel sistema informatico di cui all’articolo 5. Il sistema informatico può richiedere informazioni ulteriori rispetto a quelle previste dal presente regolamento, il cui omesso inserimento non impedisce l’iscrizione, e indica i documenti che devono essere corredati alla domanda prevedendone le relative modalità di trasmissione.
2.Al sistema informatico si accede, alternativamente: a) mediante l’impiego di una smart card; b) mediante l’utilizzo di username e password, comunicate personalmente all’interessato, combinato con un token per la generazione di one time password; c) mediante l’impiego di un username e di una password comunicati personalmente all’interessato.
3. Per l’iscrizione il consiglio accerta la sussistenza dei requisiti e delle condizioni prescritti, con gli stessi poteri istruttori dei consigli distrettuali di disciplina, in quanto applicabili.
4. Quando il consiglio accerta la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l’iscrizione in uno degli elenchi di cui all’articolo 15, comma 1, provvede alla stessa. Allo stesso modo si procede per ogni variazione dei dati.
5. Per l’avvocato l’iscrizione all’albo costituisce requisito per l’iscrizione negli elenchi di cui all’articolo 15, comma 1, della legge.
6. Per l’iscrizione nei registri e negli elenchi si applicano le disposizioni previste dall’articolo 17 della legge, in quanto compatibili.
7. Le disposizioni previste per l’iscrizione dal presente regolamento si applicano anche alle variazioni dei dati.
 
TITOLO II – Cancellazione dall’albo, dai registri e dagli elenchi
 
Art. 7 – Cancellazione su richiesta dell’iscritto.
 
1.La richiesta di cancellazione dall’albo, dai registri e dagli elenchi che proviene dall’iscritto è inserita nel sistema informatico di cui all’articolo 5. La richiesta deve contenere i dati di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b) e le ragioni poste a fondamento della stessa.
2.Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 8, in quanto compatibili.
 
Art. 8 – Casi di cancellazione dagli elenchi.
 
1. Fermo quanto previsto dall’articolo 17, comma 9, della legge, la cancellazione dagli elenchi è pronunciata, d’ufficio o su richiesta del procuratore generale: a) in caso di cancellazione dell’avvocato dall’albo; b) quando risulta che i requisiti previsti dalla legge non sussistevano al momento dell’iscrizione.
 
Art. 9 – Modalità di cancellazione dai registri e dagli elenchi.
 
1. Per la cancellazione dai registri e dagli elenchi si applicano le disposizioni dell’articolo 17 della legge, in quanto compatibili.
 
Art. 10 – Comunicazione dell’esecutività della pronuncia di cancellazione.
 
1.L’esecutività della pronuncia di cancellazione è inserita senza ritardo nel sistema informatico di cui all’articolo 5 ed è comunicata all’interessato e ai soggetti di cui all’articolo 17, comma 19, della legge a mezzo posta elettronica certificata con modalità automatizzate.
2.Quando l’interessato non è obbligato a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, la comunicazione di cui al comma 1 è effettuata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
 
TITOLO III – Trasferimento
 
Art. 11 – Trasferimento dell’avvocato.
 
1.Il sistema informatico di cui all’articolo 5 è realizzato in modo tale da gestire anche il trasferimento ad altro albo circondariale e comunica automaticamente al consiglio dell’ordine di appartenenza l’avvenuta presentazione della relativa domanda.
2.Il sistema informatico dà altresì avviso al consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avvenuta iscrizione del richiedente presso l’albo tenuto dal consiglio dell’ordine cui è rivolta la domanda di cui al comma 1.
3.Il consiglio dell’ordine di provenienza delibera la cancellazione dell’iscritto con la massima sollecitudine e, in ogni caso, successivamente alla ricezione dell’avviso di cui al comma 2.
 
Art. 12 – Trasferimento del praticante, delle società e delle associazioni tra avvocati.
 
1.Al trasferimento del praticante, delle società o delle associazioni tra avvocati si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11, in quanto compatibili.
 
TITOLO IV – Impugnazioni
 
Art. 13 – Impugnazione delle delibere in materia di elenchi e registri.
 
1.Le deliberazioni del consiglio dell’ordine circondariale in materia di elenchi e registri sono impugnabili secondo le disposizioni di cui all’articolo 17 della legge, in quanto compatibili.
 
TITOLO V – Disposizioni transitorie e finali
 
Art. 14 – Disposizione transitoria.
 
1.Il sistema informatico di cui all’articolo 5 è realizzato dal Consiglio nazionale forense entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento. Al fine di rendere disponibile in tempo reale al Ministero della giustizia gli indirizzi di posta elettronica certificata degli avvocati, le modalità telematiche e automatizzate per la trasmissione al Ministero dei predetti indirizzi e dei dati identificativi degli avvocati che ne sono titolari sono stabilite, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento, con provvedimento del responsabile della direzione generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.
2.Della piena operatività del sistema informatico è data notizia mediante pubblicazione di un avviso sul sito internet del Consiglio nazionale forense
3.Le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, all’articolo 5, commi 1, agli articoli 3, 4 e 5, all’articolo 6, commi 1 e 2, all’articolo 7, comma 1, primo periodo e agli articoli 10, 11 e 12 acquistano efficacia alla data di pubblicazione dell’avviso di cui al comma 2.
4.Entro dodici mesi dalla data di pubblicazione dell’avviso di cui al comma 2, i consigli dell’ordine inseriscono nel sistema informatico di cui all’articolo 5 i dati contenuti negli albi, nei registri e negli elenchi alla predetta data. Nel caso di grave violazione delle disposizioni del presente comma, il consiglio nazionale forense può proporre lo scioglimento del consiglio dell’ordine a norma dell’articolo 33 della legge.
 
Art. 15 – Clausola di invarianza finanziaria.
 
1.All’attuazione delle disposizioni del presente decreto si provvede mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
 
Art. 16 – Entrata in vigore.
 
1.Il presente decreto entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
 

La nuova difesa d’ufficio: il testo in Gazzetta

altSulla  Gazzetta ufficiale del 5 febbraio 2015 è stato pubblicato  il Decreto Legislativo n° 6 del 30 gennaio 2015 avente titolo “Riordino della disciplina della difesa d’ufficio, ai sensi dell’articolo 16 della legge 31 dicembre 2012, n. 247“. Ci sarà un solo elenco dei difensori d’ufficio gestito dal Consiglio Nazionale Forense. L’iscrizione al registro dei difensori d’ufficio sarà permessa solamente con la presenza di almeno uno di una serie di requisiti, come la partecipazione ad un corso di 90 ore con esame finale oppure una lunga e comprovata esperienza i materia penale, ecc. Al fine del mantenimento dell’iscrizione al registro, ugualmente, viene richiesto di non avere riportato sanzioni disciplinari e di avere esercitato effettivamente e continuamente nel settore penale. I consigli dell’ordine provvederanno a formare dei propri elenchi utilizzando i nominativi registrati a livello nazionale. I professionisti già iscritti nei registri tenuti dai territoriali consigli dell’ordine saranno iscritti di diritto all’elenco nazionale. Il decreto andrà in vigore il il 20-2-2015. Di seguito il testo del provvedimento: 

 

DECRETO LEGISLATIVO 30 gennaio 2015, n. 6

Riordino della disciplina della difesa d’ufficio, ai sensi dell’articolo 16 della legge 31 dicembre 2012, n. 247. (15G00017)

(GU n.29 del 5-2-2015)

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Vista la legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense;
Visto, in particolare, l’articolo 16 della citata legge n. 247 del 2012 che ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante il riordino della materia relativa alla difesa d’ufficio, in base ai criteri direttivi rappresentati dalla previsione dei criteri e delle modalita’ di accesso a una lista unica, mediante indicazione dei requisiti che assicurino la stabilita’ e la competenza della difesa tecnica d’ufficio;
Sentito il Consiglio nazionale forense, che ha emesso il relativo parere nella seduta del 20 giugno 2014;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 30 ottobre 2014;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 29 gennaio 2015;
Sulla proposta del Ministro della giustizia;

E m a n a

il seguente decreto legislativo;

Art. 1
Modifiche all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.

1. All’articolo 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni;
a) i commi 1 e 1-bis sono sostituiti dai seguenti;
«1. Il Consiglio nazionale forense predispone e aggiorna, con cadenza trimestrale, l’elenco alfabetico degli avvocati iscritti negli albi, disponibili ad assumere le difese d’ufficio.
1-bis. L’inserimento nell’elenco di cui al comma 1 e’ disposto sulla base di almeno uno dei seguenti requisiti;
a) partecipazione a un corso biennale di formazione e aggiornamento professionale in materia penale, organizzato dal Consiglio dell’ordine circondariale o da una Camera penale territoriale o dall’Unione delle Camere penali, della durata complessiva di almeno 90 ore e con superamento di esame finale;
b) iscrizione all’albo da almeno cinque anni ed esperienza nella materia penale, comprovata dalla produzione di idonea documentazione;
c) conseguimento del titolo di specialista in diritto penale, secondo quanto previsto dall’articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247.»;

b) dopo il comma 1-bis sono inseriti i seguenti;
«1-ter. La domanda di inserimento nell’elenco nazionale di cui al comma 1 e’ presentata al Consiglio dell’ordine circondariale di appartenenza, che provvede alla trasmissione degli atti, con allegato parere, al Consiglio nazionale forense. Avverso la decisione di rigetto della domanda e’ ammessa opposizione ai sensi dell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199.
1-quater. Ai fini della permanenza nell’elenco dei difensori d’ufficio sono condizioni necessarie;
a) non avere riportato sanzioni disciplinari definitive superiori all’ammonimento;
b) l’esercizio continuativo di attivita’ nel settore penale comprovato dalla partecipazione ad almeno dieci udienze camerali o dibattimentali per anno, escluse quelle di mero rinvio.
1-quinquies. Il professionista iscritto nell’elenco nazionale deve presentare, con cadenza annuale, la relativa documentazione al Consiglio dell’ordine circondariale, che la inoltra, con allegato parere, al Consiglio nazionale forense. In caso di mancata presentazione della documentazione, il professionista e’ cancellato d’ufficio dall’elenco nazionale.
1-sexies. I professionisti iscritti all’elenco nazionale non possono chiedere la cancellazione dallo stesso prima del termine di due anni.».

Art. 2
Disposizione transitoria

1. Gli iscritti negli elenchi dei difensori d’ufficio predisposti dai Consigli dell’ordine circondariali sono iscritti automaticamente, dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nell’elenco nazionale previsto dall’articolo 29, comma 1, delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. Alla scadenza del termine di un anno, il professionista che intenda mantenere l’iscrizione deve presentare la documentazione prevista dall’articolo 29, comma 1-quater, delle disposizioni medesime.

Art. 3
Modifiche all’articolo 97 del codice di procedura penale

1. Il comma 2 dell’articolo 97 del codice di procedura penale e’ sostituito dal seguente;
«2. Il difensore d’ufficio nominato ai sensi del comma 1 e’ individuato nell’ambito degli iscritti all’elenco nazionale di cui all’articolo 29 delle disposizioni di attuazione. I Consigli dell’ordine circondariali di ciascun distretto di Corte d’appello predispongono, mediante un apposito ufficio centralizzato, l’elenco dei professionisti iscritti all’albo e facenti parte dell’elenco nazionale ai fini della nomina su richiesta dell’autorita’ giudiziaria e della polizia giudiziaria. Il Consiglio nazionale forense fissa, con cadenza annuale, i criteri generali per la nomina dei difensori d’ufficio sulla base della prossimita’ alla sede del procedimento e della reperibilita’.».

Art. 4
Clausola di invarianza finanziaria

1. Dall’attuazione delle disposizioni del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi’ 30 gennaio 2015

Il Presidente del Senato della Repubblica
nell’esercizio delle funzioni
del Presidente della Repubblica
ai sensi dell’articolo 86 della Costituzione
Grasso
Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri
Orlando, Ministro della giustizia
Visto, il Guardasigilli: Orlando

Commercialisti, avvocati e notai negli organismi di gestione della crisi da indebitamento

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOÈ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2015 il decreto del Ministero della Giustizia n. 202 del 24 settembre 2014, disciplinante l’istituzione presso il Ministero della Giustizia del registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento, al quale possono iscriversi anche avvocati, commercialisti e notai, introdotti dalla l. n. 3/2012, con la finalità di consentire la possibilità di sdebitarsi anche a tutti i soggetti esclusi dalla legge fallimentare. Il Decreto Ministeriale entra in vigore il 28 gennaio 2015. Di seguito il testo del decreto: 

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 24 settembre 2014, n. 202

Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell’articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, come modificata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

Capo I

Disposizioni generali
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
di concerto con
IL MINISTRO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
e
IL MINISTRO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE

Visto l’articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, modificata dal decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, recante disposizioni sugli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento;
Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 28 agosto 2014;
Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, effettuata con nota del 3 settembre 2014, ai sensi del predetto articolo;

Adotta

il seguente regolamento;

Art. 1
Oggetto

1. Il presente regolamento disciplina l’istituzione presso il Ministero della giustizia del registro degli organismi costituiti da parte di enti pubblici, deputati alla gestione della crisi da sovraindebitamento a norma dell’articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3.
2. Il presente regolamento disciplina, altresi’, i requisiti e le modalita’ di iscrizione nel medesimo registro, la formazione dell’elenco degli iscritti e la sua revisione periodica, la sospensione e la cancellazione dal registro dei singoli organismi, nonche’ la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura

Art. 2
Definizioni

1. Ai fini del presente regolamento si intende per;
a) «Ministero»: il Ministero della giustizia;
b) «legge»: la legge 27 gennaio 2012, n. 3;
c) «registro»: il registro degli organismi deputati a gestire i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato;
d) «organismo»: l’articolazione interna di uno degli enti pubblici individuati dalla legge e dal presente regolamento che, anche in via non esclusiva, e’ stabilmente destinata all’erogazione del servizio di gestione della crisi da sovraindebitamento;
e) «gestione della crisi da sovraindebitamento»: il servizio reso dall’organismo allo scopo di gestire i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore;
f) «gestore della crisi»: la persona fisica che, individualmente o collegialmente, svolge la prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore;
g) «ausiliari»: i soggetti di cui si avvale il gestore della crisi per lo svolgimento della prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore;
h) «responsabile»: il responsabile della tenuta del registro;
i) «referente»: la persona fisica che, agendo in modo indipendente secondo quanto previsto dal regolamento dell’organismo, indirizza e coordina l’attivita’ dell’organismo e conferisce gli incarichi ai gestori della crisi;
l) «regolamento dell’organismo»: l’atto adottato dall’organismo contenente le norme di autodisciplina.

Sezione I
Requisiti e procedimento di iscrizione

Art. 3
Istituzione del registro

1. E’ istituito il registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento.
2. Il registro e’ tenuto presso il Ministero nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali gia’ esistenti presso il Dipartimento per gli affari di giustizia e ne e’ responsabile il direttore generale della giustizia civile. Il direttore generale della giustizia civile puo’ delegare una persona con qualifica dirigenziale o un magistrato ed avvalersi, al fine di esercitare la vigilanza, dell’ispettorato generale del Ministero. Il Ministero e’ altresi’ titolare del trattamento dei dati personali.
3. Il registro e’ articolato in modo da contenere le seguenti annotazioni;
a) sezione A;
1) organismi iscritti di diritto a norma dell’articolo 4, comma 2, del presente regolamento;
2) elenco dei gestori della crisi;
b) sezione B;
1) altri organismi;
2) elenco dei gestori della crisi.
4. Il responsabile cura il continuo aggiornamento dei dati del registro e puo’ prevedere ulteriori integrazioni delle annotazioni in conformita’ alle previsioni del presente regolamento.
5. La gestione del registro deve avvenire con modalita’ informatiche che assicurino la possibilita’ di una rapida elaborazione dei dati con finalita’ statistica e ispettiva o, comunque, connessa ai compiti di tenuta di cui al presente regolamento.
6. L’elenco degli organismi e dei gestori della crisi sono pubblici.

Art. 4
Requisiti per l’iscrizione nel registro

1. Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi costituiti dai Comuni, dalle Provincie, dalle Citta’ metropolitane, dalle Regioni e dalle istituzioni universitarie pubbliche.
2. Gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328 e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto, su semplice domanda, anche quando associati tra loro.
3. Il responsabile, per l’iscrizione degli organismi di cui alla sezione B del registro, verifica;
a) che l’organismo sia costituito quale articolazione interna di uno degli enti pubblici di cui al comma 1;
b) l’esistenza di un referente dell’organismo cui sia garantito un adeguato grado di indipendenza;
c) il rilascio di polizza assicurativa con massimale non inferiore a un milione di euro per le conseguenze patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di gestione della crisi;
d) il numero dei gestori della crisi, non inferiore a cinque, che abbiano dichiarato la disponibilita’ a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva per l’organismo;
e) la conformita’ del regolamento dell’organismo alle disposizioni del presente decreto;
f) la sede dell’organismo.
4. Il responsabile, per l’iscrizione degli organismi di cui alla sezione A del registro, verifica la sussistenza dei soli requisiti di cui al comma 3, lettere b), c) ed e).
5. Il responsabile verifica i requisiti di qualificazione professionale dei gestori della crisi iscritti negli elenchi di cui alle sezioni A e B, che consistono;
a) nel possesso di laurea magistrale, o di titolo di studio equipollente, in materie economiche o giuridiche;
b) nel possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di perfezionamento istituiti a norma dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, di durata non inferiore a duecento ore nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore. I corsi di perfezionamento sono costituiti con gli insegnamenti concernenti almeno i seguenti settori disciplinari;
diritto civile e commerciale, diritto fallimentare e dell’esecuzione civile, economia aziendale, diritto tributario e previdenziale. La specifica formazione di cui alla presente lettera puo’ essere acquisita anche mediante la partecipazione ad analoghi corsi organizzati dai soggetti indicati al comma 2 in convenzione con universita’ pubbliche o private;
c) nello svolgimento presso uno o piu’ organismi, curatori fallimentari, commissari giudiziali, professionisti indipendenti ai sensi del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, professionisti delegati per le operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero nominati per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo o del liquidatore a norma dell’articolo 15 della legge, di un periodo di tirocinio, anche in concomitanza con la partecipazione ai corsi di cui alla lettera b), di durata non inferiore a mesi sei che abbia consentito l’acquisizione di competenze mediante la partecipazione alle fasi di elaborazione ed attestazione di accordi e piani omologati di composizione della crisi da sovraindebitamento, di accordi omologati di ristrutturazione dei debiti, di piani di concordato preventivo e di proposte di concordato fallimentare omologati, di verifica dei crediti e di accertamento del passivo, di amministrazione e di liquidazione dei beni;
d) nell’acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, di durata complessiva non inferiore a quaranta ore, nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore, acquisito presso uno degli ordini professionali di cui al comma 2 ovvero presso un’universita’ pubblica o privata.
6. Per i professionisti appartenenti agli ordini professionali di cui al comma 2 la durata dei corsi di cui al comma 5, lettera b), e’ di quaranta ore. Gli ordinamenti professionali possono individuare specifici casi di esenzione dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 5, lettere b) e d), ovvero fissare i criteri di equipollenza tra i corsi di formazione e di aggiornamento biennale di cui al presente articolo e i corsi di formazione professionale. Ai medesimi professionisti non si applicano le disposizioni di cui al comma 5, lettera c).
7. Agli elenchi dei gestori della crisi degli organismi di cui alla sezione A possono essere iscritti anche soggetti diversi dai professionisti, purche’ muniti dei requisiti di cui al presente articolo.
8. Il responsabile verifica altresi’ il possesso da parte dei gestori della crisi iscritti negli elenchi di cui alle sezioni A e B dei seguenti requisiti di onorabilita’;
a) non versare in una delle condizioni di ineleggibilita’ o decadenza previste dall’articolo 2382 del codice civile;
b) non essere stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorita’ giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
c) non essere stati condannati con sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione;
1) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attivita’ bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento;
2) alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile, nel regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche’ dall’articolo 16 della legge;
3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria;
4) alla reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non colposo;
d) non avere riportato una sanzione disciplinare diversa dall’avvertimento.
9. La documentazione comprovante il possesso dei requisiti di cui al presente articolo, salvo quelli di cui al comma 3, lettera c) e al comma 5, lettera c), e’ presentata ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n.
445. Il possesso del requisito di cui al comma 3, lettera c), e’ dimostrato mediante la produzione di copia della polizza assicurativa mentre quello del requisito di cui al comma 5, lettera c), e’ comprovato con la produzione dell’attestazione di compiuto tirocinio sottoscritta dall’organismo o dal professionista presso il quale e’ stato svolto.

Art. 5
Procedimento

1. Il responsabile del registro approva il modello della domanda per l’iscrizione, con l’indicazione degli atti e dei documenti idonei a comprovare il possesso dei requisiti di cui all’articolo 4 di cui la domanda deve essere corredata. Il modello approvato e’ pubblicato sul sito internet del Ministero.
2. La domanda e’ sottoscritta e trasmessa unitamente agli allegati.
La sottoscrizione puo’ essere apposta anche mediante firma digitale e la trasmissione puo’ aver luogo anche a mezzo posta elettronica certificata.
3. Il procedimento di iscrizione deve essere concluso entro trenta giorni a decorrere dalla data di ricevimento della domanda. La richiesta di integrazione della domanda o dei suoi allegati e’ ammessa per una sola volta e sospende il predetto termine per un periodo non superiore a trenta giorni. La mancata adozione del provvedimento di iscrizione nei termini di cui al presente comma equivale al diniego di iscrizione.

Art. 6
Effetti dell’iscrizione

1. Il provvedimento di iscrizione e’ comunicato al richiedente con il numero d’ordine attribuito nel registro.
2. Dalla data della comunicazione di cui al comma precedente, l’organismo e’ tenuto a fare menzione negli atti, nella corrispondenza e nelle forme di pubblicita’ consentite del numero d’ordine nonche’ della denominazione dell’ente pubblico che lo ha costituito.
3. A far data dall’iscrizione ed entro il 31 dicembre di ogni anno l’organismo pubblica sul proprio sito internet il numero degli incarichi conferiti dal referente a ciascun gestore della crisi.

Art. 7
Obblighi di comunicazione al responsabile

1. Il referente e’ obbligato a comunicare immediatamente al responsabile, anche a mezzo posta elettronica certificata, tutte le vicende modificative dei requisiti dell’organismo iscritto, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione, nonche’ le misure di sospensione e di decadenza dei gestori dall’attivita’ adottate a norma dell’articolo 10, comma 5.
2. L’autorita’ giudiziaria provvede alla segnalazione al responsabile di tutti i fatti e le notizie rilevanti ai fini dell’esercizio dei poteri previsti nel presente regolamento.

Art. 8
Sospensione e cancellazione dal registro

1. Se, dopo l’iscrizione, l’organismo perde i requisiti di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, il responsabile provvede a sospendere l’organismo dal registro per un periodo non superiore a novanta giorni, decorso il quale, persistendo la mancanza dei requisiti, provvede alla cancellazione.
2. Quando risulta che i requisiti di cui al comma 1 non sussistevano al momento dell’iscrizione il responsabile provvede a norma del comma 1 ovvero, nei casi piu’ gravi, alla cancellazione dell’organismo dal registro.
3. E’ disposta la cancellazione degli organismi che non abbiano svolto almeno tre procedimenti di gestione della crisi nel corso di un biennio.
4. L’organismo cancellato dal registro non puo’ essere nuovamente iscritto prima che sia decorso un biennio dalla cancellazione.
5. Ai fini del presente articolo, il responsabile puo’ acquisire informazioni dagli organismi, anche nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti.

Sezione II
Obblighi dell’organismo e del gestore della crisi

Art. 9
Registro degli affari di gestione della crisi

1. Ciascun organismo e’ tenuto a istituire un elenco dei gestori della crisi e un registro informatico degli affari, con le annotazioni relative al numero d’ordine progressivo, ai dati identificativi del debitore, al gestore della crisi designato, all’esito del procedimento.
2. Ulteriori registri o annotazioni possono essere stabiliti con determinazione del responsabile.
3. L’organismo e’ tenuto a trattare i dati raccolti nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali».

Art. 10
Obblighi dell’organismo

1. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 3, lettera c), l’organismo non puo’ assumere diritti e obblighi connessi con gli affari trattati dai gestori della crisi che operano presso di se’ o presso altri organismi iscritti nel registro.
2. Il referente distribuisce equamente gli incarichi tra i gestori della crisi, tenuto conto in ogni caso della natura e dell’importanza dell’affare, e prima di conferire ciascun incarico sottoscrive una dichiarazione dalla quale risulta che l’organismo non si trova in conflitto d’interessi con la procedura. La dichiarazione e’ portata a conoscenza del tribunale contestualmente al deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore ovvero della domanda di liquidazione.
3. Al momento del conferimento dell’incarico l’organismo deve comunicare al debitore il grado di complessita’ dell’opera, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell’incarico e deve altresi’ indicare i dati della polizza assicurativa di cui all’articolo 4, comma 3, lettera c). La misura del compenso e’ previamente resa nota al debitore con un preventivo, indicando per le singole attivita’ tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.
4. L’organismo e’ obbligato a portare a conoscenza dei creditori l’accordo concluso con il debitore per la determinazione del compenso.
5. L’organismo e’ tenuto ad adottare un regolamento di autodisciplina. Il regolamento deve in ogni caso individuare, secondo criteri di proporzionalita’, i casi di decadenza e sospensione dall’attivita’ dei gestori che sono privi dei requisiti o hanno violato gli obblighi previsti dal presente decreto e derivanti dagli incarichi ricevuti nonche’ la procedura per l’applicazione delle relative sanzioni, e determinare i criteri di sostituzione nell’incarico.
6. Nel caso di violazione degli obblighi dell’organismo previsti dal presente decreto il responsabile dispone la sospensione e, nei casi piu’ gravi, la cancellazione dell’organismo dal registro. Allo stesso modo si procede quando l’organismo ha omesso di adottare le misure di sospensione e decadenza nei casi di cui al comma 5.

Art. 11
Obblighi del gestore della crisi e dei suoi ausiliari

1. Chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell’organismo e’ tenuto all’obbligo di riservatezza su tutto quanto appreso in ragione dell’opera o del servizio ed al rispetto di tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo instaurato con l’organismo di appartenenza.
2. Al gestore della crisi e ai suoi ausiliari e’ fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, ad eccezione di quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio. Agli stessi e’ fatto divieto di percepire, in qualunque forma, compensi o utilita’ direttamente dal debitore.
3. Al gestore della crisi e’ fatto, altresi’, obbligo di;
a) sottoscrivere per ciascun affare per il quale e’ designato una dichiarazione di indipendenza. Il gestore della crisi e’ indipendente quando non e’ legato al debitore e a coloro che hanno interesse all’operazione di composizione o di liquidazione da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza; in ogni caso, il gestore della crisi deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali e’ unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attivita’ di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo;
b) corrispondere immediatamente a ogni richiesta del responsabile in relazione alle previsioni contenute nel presente regolamento.
4. Il gestore della crisi, prima di dare inizio alla gestione dell’affare, sottoscrive la dichiarazione di cui al comma 3, lettera a), e la rende nota al tribunale a norma dell’articolo 10, comma 2.

Art. 12
Responsabilita’ del servizio di gestione della crisi

1. Il gestore della crisi designato deve eseguire personalmente la sua prestazione.

Art. 13
Monitoraggio e certificazione di qualita’

1. Il Ministero procede annualmente, congiuntamente al Ministero dello sviluppo economico per i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, al monitoraggio statistico dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio svolti presso gli organismi, anche sulla base dei dati trasmessi a norma del comma 2.
Il Ministero, per il tramite della Direzione generale di statistica, provvede al monitoraggio statistico di cui al periodo precedente nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti e con l’ausilio dell’Istituto nazionale di statistica.
2. Entro il mese di dicembre di ogni anno, gli organismi sono tenuti a trasmettere al responsabile i dati;
a) sul numero e la durata dei procedimenti di cui al capo II della legge;
b) sul numero dei provvedimenti di diniego di omologazione, di risoluzione, revoca e cessazione degli effetti degli accordi e dei piani omologati, nonche’ sul numero dei casi di conversione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento in quelli di liquidazione del patrimonio;
c) sull’ammontare dei debiti risultanti dagli accordi e dai piani omologati nonche’ accertati in sede di liquidazione;
d) sulla percentuale di soddisfazione dei creditori rispetto all’ammontare del passivo verificato risultante all’esito dei procedimenti di cui al capo II della legge, con indicazione specifica della percentuale di soddisfazione dei chirografari;
e) sul numero dei provvedimenti di accoglimento e di rigetto delle istanze di esdebitazione;
f) sull’ammontare delle spese di procedura.
3. Il responsabile, a domanda e sulla base dei dati di cui al comma 2, rilascia una certificazione di qualita’ all’organismo richiedente, nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti. Ai fini del periodo precedente il responsabile puo’ acquisire ulteriori informazioni dagli organismi richiedenti e avvalersi della collaborazione di un professore universitario in materie giuridiche, di un professore universitario in materie economiche e di un magistrato con funzioni di giudice delegato ai fallimenti, designati dal Capo Dipartimento per gli affari di giustizia per un periodo non superiore a tre anni; ai collaboratori designati non spettano compensi, ne’ rimborsi spese a qualsiasi titolo dovuti.
4. La certificazione di qualita’ rilasciata dal responsabile e’ pubblicata sui siti internet del Ministero e dell’organismo richiedente.
5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Alle attivita’ previste dal presente articolo le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Sezione I
Disposizioni generali

Art. 14
Ambito di applicazione e regole generali

1. La determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti all’organismo ha luogo, in difetto di accordo con il debitore che lo ha incaricato, secondo le disposizioni del presente capo. Per la determinazione dei compensi dell’organismo nominato dal giudice, nonche’ del professionista o della societa’ tra professionisti muniti dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero del notaio, nominati per svolgere le funzioni e i compiti attribuiti agli organismi, si applicano le disposizioni del presente capo.
2. I compensi comprendono l’intero corrispettivo per la prestazione svolta, incluse le attivita’ accessorie alla stessa.
3. All’organismo spetta un rimborso forfettario delle spese generali in una misura compresa tra il 10 e il 15% sull’importo del compenso determinato a norma delle disposizioni del presente capo, nonche’ il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. I costi degli ausiliari incaricati sono ricompresi tra le spese.
4. Le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente capo, non sono vincolanti per la liquidazione medesima.

Art. 15
Criteri per la determinazione del compenso

1. Per la determinazione del compenso si tiene conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, del ricorso all’opera di ausiliari, della sollecitudine con cui sono stati svolti i compiti e le funzioni, della complessita’ delle questioni affrontate, del numero dei creditori e della misura di soddisfazione agli stessi assicurata con l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore omologato ovvero con la liquidazione.
2. Sono ammessi acconti sul compenso finale.

Sezione II
Determinazione dei compensi nelle procedure di composizione della crisi

Art. 16
Parametri

1. Nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui al capo II, sezione prima, della legge in cui sono previste forme di liquidazione dei beni, il compenso dell’organismo, anche per l’opera prestata successivamente all’omologazione, e’ determinato, di regola, sulla base dei seguenti parametri;
a) secondo una percentuale sull’ammontare dell’attivo realizzato compresa tra quelle di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia 25 gennaio 2012, n. 30 e successivi adeguamenti;
b) secondo una percentuale sull’ammontare del passivo risultante dall’accordo o dal piano del consumatore omologato compresa tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto del Ministro della giustizia di cui alla lettera a).
2. Nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui al capo II, sezione prima, della legge diverse da quelle di cui al comma 1, spetta all’organismo un compenso, anche per l’opera prestata successivamente all’omologazione, determinato con le medesime percentuali di cui al predetto comma, sull’ammontare dell’attivo e del passivo risultanti dall’accordo o dal piano del consumatore omologati.
3. Nell’ipotesi di gruppo di imprese, non costituiscono attivo ne’ passivo gli importi risultanti da finanziamenti e garanzie infragruppo o dal ribaltamento, attraverso insinuazioni, ripartizioni o compensazioni, di attivo e passivo da parte di altra societa’ del gruppo.
4. I compensi determinati a norma dei commi 1, 2 e 3 sono ridotti in una misura compresa tra il 15% e il 40%.
5. L’ammontare complessivo dei compensi e delle spese generali non puo’ comunque essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo di quanto e’ attribuito ai creditori per le procedure aventi un passivo superiore a 1.000.000 di euro, e al 10% sul medesimo ammontare per le procedure con passivo inferiore. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano quando l’ammontare complessivo di quanto e’ attribuito ai creditori e’ inferiore ad euro 20.000.

Art. 17
Unicita’ del compenso

1. Quando nello stesso incarico si sono succeduti piu’ organismi, il compenso unico e’ determinato secondo le disposizioni del presente capo ed e’ ripartito secondo criteri di proporzionalita’.
2. Nel caso in cui per l’esecuzione del piano o dell’accordo omologato sia nominato un liquidatore o un gestore per la liquidazione, la determinazione del compenso ha luogo a norma del comma 1.

Sezione III
Determinazioni dei compensi nella procedura di liquidazione del patrimonio

Art. 18
Parametri

1. Nelle procedure di liquidazione di cui al capo II, sezione seconda, della legge, il compenso del liquidatore e’ determinato sull’ammontare dell’attivo realizzato dalla liquidazione e del passivo accertato. Si applica l’articolo 16.
2. Quando nello stesso incarico si sono succeduti piu’ liquidatori ovvero nel caso di conversione della procedura di composizione della crisi in quella di liquidazione, il compenso unico e’ determinato secondo le disposizioni del presente capo ed e’ ripartito secondo criteri di proporzionalita’.

Capo IV
Disciplina transitoria ed entrata in vigore

Art. 19
Disciplina transitoria

1. Per i tre anni successivi all’entrata in vigore del presente decreto, i professionisti appartenenti agli ordini professionali di cui all’articolo 4, comma 2, sono esentati dall’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 4, commi 5, lettera d), e 6, primo periodo, purche’ documentino di essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo o del liquidatore a norma dell’articolo 15 della legge. Ai fini del periodo precedente le nomine relative a differenti tipologie di procedure sono cumulabili e rilevano anche quelle precedenti all’entrata in vigore del presente decreto.

Art. 20
Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addi’ 24 settembre 2014

Il Ministro della giustizia
Orlando
Il Ministro
dello sviluppo economico Guidi
Il Ministro dell’economia e delle finanze
Padoan
Visto, il Guardasigilli: Orlando
Registrato alla Corte dei conti il 20 gennaio 2015
Ufficio controllo atti Ministeri giustizia e affari esteri, reg.ne – prev. n. 151

  

Mediazione obbligatoria: primo incontro gratuito se non si aderisce

altMediazione obbligatoria: primo incontro gratuito se non si aderisce – TAR Lazio-Roma, sez. I, sentenza 23.01.2015 n° 1351.
 
T.A.R.
 
Lazio – Roma
 
Sezione I
 
Sentenza 17 dicembre 2014 – 23 gennaio 2015, n. 1351
 
Presidente Tosti – Estensore Bottiglieri
 
Fatto
 
1. La direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
 
L’art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale, prescrivendo, tra altro, al legislatore delegato di disciplinare la mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria (comma 2; comma 3, lett. c).
 
La delega è stata esercitata con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
 
Con l’atto introduttivo della controversia all’odierna trattazione la ricorrente Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) di Parma, associazione non riconosciuta, costituita tra associazioni di avvocati civilisti, ha interposto azione impugnatoria avverso alcune disposizioni del decreto18 ottobre 2010, n. 180, adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del citato d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ha regolamentato la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi.
 
Parte ricorrente deduce avverso l’atto gravato tre censure.
 
Con la prima doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene che il legislatore delegato è incorso in eccesso di delega laddove ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione e l’improcedibilità del giudizio interposto senza il previo esperimento della mediazione, entrambi non previsti dalla legge delega.
 
Con la seconda doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene che, poiché nella logica del decreto delegato, le scelte che la parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di mediazione sono suscettibili di condizionare l’esito del successivo processo, per un verso la mancata previsione nel procedimento stesso della obbligatorietà dell’assistenza del difensore viola l’art. 24 della Costituzione (nonché favorisce le classi più abbienti, facoltizzate ad avvalersene), per altro verso l’introduzione della possibilità di acquisire elementi di prova in assenza di difesa tecnica, non prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art. 76 Cost..
 
Con il terzo motivo di gravame [violazione dell’art. 60, comma III, lett. b) della l. n. 69 del 2009 e dell’art. 16 del d. lgs. 20/2010 – eccesso di potere per irragionevolezza – illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove la legge delega pone il requisito dell’indipendenza sia in capo agli organismi di mediazione sia in capo ai singoli mediatori, l’art. 4 del decreto impugnato assicura tale indipendenza in misura molto minore, riferendola esclusivamente “allo svolgimento del servizio di mediazione”.
 
Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico dell’atto gravato, la ricorrente ha domandato l’annullamento del provvedimento impugnato e la dichiarazione di non manifesta infondatezza delle spiegate questioni di legittimità.
 
2. Si sono costituiti in resistenza il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, che hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva della ricorrente, per carenza in capo alla stessa della rappresentanza istituzionale degli interessi della categoria degli avvocati, spettante solo al Consiglio Nazionale Forense e agli ordini esponenziali.
 
Le resistenti amministrazioni hanno poi confutato analiticamente le argomentazioni difensive di parte ricorrente, domandando il rigetto del gravame.
 
3. Con ordinanza 12 aprile 2011, n. 3202, questa Sezione, ritenendo alcune questioni di legittimità costituzionale proposte dalla ricorrente rilevanti ai fini del decidere e non manifestamente infondate, ha sospeso il processo e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per l’esame della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost. degli artt. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, in parte, del d.lgs. n. 28 del 2010, disponenti, rispettivamente, l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie e i soli requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici e privati abilitati a costituire gli organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione.
 
4. Con ordinanze 10 giugno 2011, n. 2167 e 20 dicembre 2011, n. 4911 non è stata accolta la domanda di sospensione interinale degli effetti dell’atto gravato, incidentalmente formulata dalla parte ricorrente.
 
5. La Corte Costituzionale, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, nel pronunziare in ordine alla citata ordinanza della Sezione n. 3202 del 2011, nonché in relazione a successive ordinanze di rimessione di altre autorità giudiziarie, sempre vertenti sulla materia della mediazione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010 in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., e di una serie di disposizioni dello stesso decreto a esso strettamente correlate.
 
Parte ricorrente ha presentato indi istanza ex art. 80 c.p.a. per la prosecuzione del giudizio sospeso.
 
6. Pendente il giudizio dinnanzi al Giudice delle leggi, il legislatore, con l’art. 12 , comma 1, lett. a), del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, aveva modificato in alcune parti la formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010. Tale modifica non veniva però confermata dalla legge di conversione 17 febbraio 2012, n. 10.
 
Successivamente alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, la materia della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84, comma 1, lett. b), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che, mediante l’inserimento del comma 1-bis e altre modifiche apportate sia all’art. 5 del d.lgs. 28/2010 che ad altre disposizioni della legge, ha nuovamente regolamentato l’esperimento della conciliazione quale condizione di procedibilità per la domanda giudiziale in alcune materie.
 
7. Parte ricorrente ha interposto atto di motivi aggiunti.
 
In particolare, parte ricorrente formula anche avverso il novellato d.lgs. 28/2010, nonché avverso l’art. 84, comma 1, d.l. 69/2013 e l’art. 1, comma 1, della legge di conversione 98/2013, censure di illegittimità costituzionale in riferimento all’art. 77 Cost., sostenendo l’incompatibilità dell’introduzione a regime del nuovo sistema di accesso alla giustizia con lo strumento del decreto-legge, stante la carenza del carattere di straordinaria necessità e urgenza che ne legittima l’utilizzo, carenza che ritiene testimoniata dalla previsione che la nuova disposizione si applichi decorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto (art. 84 del “decreto del fare”).
 
Parte ricorrente ritiene inoltre costituzionalmente illegittima anche la nuova previsione di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 28/2010, laddove prevede che “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
 
Parte ricorrente ritiene tale previsione, soprattutto in relazione alla facoltà concessa anche al giudice di appello, di carattere discrezionale, di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, illogica nonché violativa della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost..
 
Parte ricorrente denunzia poi l’incostituzionalità dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010 (“Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”), ritenuta una forzatura e un indebito ostacolo all’accesso alla giustizia, in violazione dell’art. 24 Cost., nonché incompatibile con un sistema che non garantisce l’adeguata configurazione della professionalità del mediatore.
 
Parte ricorrente, infine, in relazione alle nuove previsioni normative, deduce ulteriori profili di illegittimità a carico del d.m. 180/2010.
 
In particolare, parte ricorrente sottolinea che le disposizioni di cui all’art. 16, commi 2 e 9, e all’art. 4, comma 3, lett. b), del decreto impugnato siano del tutto in contrasto, rispettivamente, con i novellati artt. 17, comma 5-ter e 16, comma 4-bis del d.lgs. 28/2010.
 
Parte ricorrente ha conclusivamente ribadito le domande demolitorie già introdotte avverso il decreto n. 180 del 2010 e ha domandato la dichiarazione della non manifesta infondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale.
 
8. Parte ricorrente ha affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
 
Le amministrazioni resistenti hanno depositato ulteriori memorie, sostenendo l’infondatezza delle nuove questioni di costituzionalità dedotte dalla ricorrente.
 
9. Il ricorso è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2014.
 
Diritto
 
1. Il Collegio non può esimersi dall’illustrazione del quadro normativo della controversia, per quanto di interesse.
 
2. In forza dell’invito formulato agli Stati membri dal Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, delle conclusioni adottate dal Consiglio nel maggio 2000 sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, nonché del Libro verde presentato dalla Commissione nell’aprile del 2002, relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie nelle predette materie, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
 
Come sempre in tema di diritto comunitario, i “considerando” della direttiva delineano la generale impostazione conferita all’oggetto della regolazione, sia quanto alle finalità, sia quanto alle caratteristiche.
 
La direttiva chiarisce innanzitutto che l’obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e, segnatamente, la disponibilità del servizio di mediazione, nel contesto della politica dell’Unione europea volta a istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è un importante contributo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto considerando).
 
Alla luce del sesto considerando della direttiva, la mediazione è, infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiché le relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente, oltre a preservare più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, benefici che diventano anche più evidenti nelle questioni di portata transfrontaliera.
 
La direttiva intende indi delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando).
 
Sotto il profilo sostanziale, in positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai “procedimenti di mediazione interni” (ottavo considerando).
 
In negativo, si afferma che la mediazione non dovrebbe applicarsi: “ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritti di famiglia e del lavoro” (decimo considerando); “alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia” (undicesimo considerando).
 
Quanto agli elementi chiave della mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i considerando, la differenza tra mediatore e giudice (dodicesimo considerando), la possibilità di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a incentivi o sanzioni, purchè non venga impedito alle parti “di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario” (quattordicesimo considerando) ovvero non si impedisca alle parti, nell’incoraggiare la mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di decadenza, “di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all’arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione” (ventiquattresimo considerando), la fissazione di un termine al processo di mediazione (tredicesimo considerando), la riservatezza del relativo procedimento, anche in relazione all’eventuale successivo procedimento giudiziario od arbitrale (ventitreesimo considerando), l’esecutività dell’accordo scritto raggiunto, fatta salva l’ipotesi di contrasto tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero quella che l’obbligo contemplato nell’accordo non possa essere per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai fini erariali, la tendenziale neutralità finanziaria in relazione agli stati membri della mediazione, che può includere “il ricorso a soluzioni basate sul mercato”(diciassettesimo considerando).
 
Viene inoltre in rilievo l’assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua formazione e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità della fornitura del servizio (sedicesimo considerando), la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti, nonché l’efficacia l’imparzialità e la competenza della mediazione (diciassettesimo considerando).
 
La direttiva 2008/52/CE regola indi la materia con 14 articoli.
 
In particolare:
 
– l’art. 1 enuncia l’obiettivo della regolazione (“…facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”) e ne delinea il campo di applicazione [“…controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)];
 
– l’art. 3, dedicato alle definizioni, dispone che per mediazione, al di là della denominazione, si intende un procedimento strutturato ove “…due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato membro”;
 
– lo stesso art. 3 esplicita che per mediatore si intende “…qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato…” (lett. b), che comunque incoraggia “…la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti” (par. 2);
 
– l’art. 5, dedicato al ricorso alla mediazione, esplicitando l’intendimento già anticipato dal preambolo, prevede che “L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia…” e che “La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”;
 
– l’art. 6 delinea la esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione, che è, peraltro, esclusa laddove “…il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività”;
 
– l’art. 8 dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza”;
 
Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, e, segnatamente, con l’art. 60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai principi e criteri direttivi enunciati al comma 3 (comma 2).
 
Tra questi ultimi, sono attinenti alla materia dell’odierno contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere:
 
“a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;
 
b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione;
 
c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione…;
 
d) prevedere che i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;
 
e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli;
 
f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro;
 
g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali;
 
h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro;
 
n) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
 
p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente… e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato…;
 
q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi;
 
r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;
 
s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.
 
La delega in parola è stata esercitata con il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
 
3. Nell’ambito dell’appena menzionato decreto legislativo 28/2010, viene in particolare rilievo l’art. 5.
 
Come riferito in narrativa, in seguito all’ordinanza di rimessione della Sezione 12 aprile 2011, n. 3202, che ha rilevato, tra altro, come l’obbligatorietà del ricorso alla mediazione in alcune materie non fosse prevista in alcun principio e criterio direttivo dettato dall’art. 60 delle l. 69/2009, e travalicasse, pertanto, i limiti della delega legislativa, la Corte Costituzionale, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 1 della disposizione, unitamente ad altre norme correlate della decretazione delegata, in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost..
 
Il Giudice delle leggi, in particolare, ha dichiarato:
 
– l’illegittimità costituzionale “dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali)”;
 
“in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale: a) dell’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2010, limitatamente al secondo periodo («L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale») e al sesto periodo, limitatamente alla frase «se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1»; b) dell’art. 5, comma 2, primo periodo, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e», c) dell’art. 5, comma 4, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «I commi 1 e»; d) dell’art. 5, comma 5 del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e»; e) dell’art. 6, comma 2, del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell’articolo cinque,»; f) dell’art. 7 del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1»; g) dello stesso articolo 7 nella parte in cui usa il verbo «computano» anziché «computa»; h) dell’art. 8, comma 5, del detto decreto legislativo; i) dell’art. 11, comma 1, del detto decreto legislativo, limitatamente al periodo «Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13»; l) dell’intero art. 13 del detto decreto legislativo, escluso il periodo «resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile»; m) dell’art. 17, comma 4, lettera d), del detto decreto legislativo; n) dell’art. 17, comma 5, del detto decreto legislativo; o), dell’art. 24 del detto decreto legislativo”.
 
Come pure già precedentemente rilevato, pendente il giudizio dinnanzi al Giudice delle leggi, il legislatore, con l’art. 12, comma 1, lett. a), del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, aveva tentato di modificare in alcune parti la formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010. Tale modifica non veniva però confermata dalla legge di conversione 17 febbraio 2012, n. 10.
 
Successivamente alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, la materia della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che, mediante l’inserimento del comma 1-bis e varie modifiche apportate sia all’art. 5 del d.lgs. 28/2010 che ad altre disposizioni della legge, ha nuovamente regolamentato l’esperimento della conciliazione quale condizione di procedibilità per la domanda giudiziale in alcune materie.
 
E’ bene a questo punto illustrare il comma 1 (dichiarato costituzionalmente illegittimo con la pronunzia n. 272 del 2012 della Corte Costituzionale) e il comma 1-bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, allo stato vigente.
 
La disposizione dichiarata illegittima prevedeva che:
 
“1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”.
 
Il comma 1-bis dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 prevede ora che:
 
“1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”.
 
Viene altresì in rilievo nell’ambito dell’odierno contenzioso l’art. 16 dello stesso d.lgs. 28/2010, in forza del quale è stato adottato il regolamento 18 ottobre 2010, n. 180, ovvero l’atto gravato in questa sede.
 
Anche l’art. 16 ha subito modifiche per effetto dell’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla l. n. 98 del 2013.
 
La disposizione prevede al comma 1 che “Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all’articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro”
 
Il comma 2 stabilisce che “La formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all’adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”.
 
Il comma 3 recita che “L’organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17. Ai fini dell’iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta l’idoneità del regolamento”.
 
Il comma 4 dispone che “La vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico”.
 
Il comma 4-bis, novella – si sottolinea – inserita dall’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla l. n. 98 del 2013, stabilisce che “Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
 
Il comma 5 prevede che “Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l’elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di formazione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale”.
 
Il comma 6 detta infine una disposizione di carattere finanziario.
 
4. Può ora passarsi alla disamina delle questioni poste dal gravame all’odierna trattazione.
 
5. Va, com’è d’uopo, prioritariamente esaminata la questione di carattere pregiudiziale spiegata dai resistenti Ministero della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico, che ritengono l’Associazione ricorrente priva di legittimazione attiva, per carenza in capo alla stessa della rappresentanza istituzionale degli interessi della categoria degli avvocati, spettante solo al Consiglio Nazionale Forense e agli ordini esponenziali.
 
Al riguardo, osserva il Collegio che è principio giurisprudenziale pacifico che un’associazione professionale, se e in quanto ne sia comprovato un apprezzabile grado di rappresentatività, può essere legittimata ad impugnare provvedimenti lesivi, oltre che di interessi propri, di interessi collettivi della categoria, non anche di singole posizioni giuridiche degli associati (C. Stato, V, 22 ottobre 2007, n. 5498; Tar Lazio, Roma, I, 5 dicembre 2008, n. 11015).
 
Applicando le predette coordinate ermeneutiche al caso di specie, l’eccezione in esame non risulta persuasiva.
 
Alla luce dello statuto dell’UNCC, la ricorrente risulta essere associazione non riconosciuta costituita tra associazioni di avvocati civilisti, avente scopo, tra altri, di promuovere iniziative dirette a conseguire un miglior funzionamento della giustizia, con particolare riguardo a quella civile (art. 2, lett. a) e di rappresentare a livello nazionale le istanze degli avvocati civilisti e degli iscritti alle Camere Civili aderenti all’Unione, nei rapporti con gli organi istituzionali dell’Avvocatura, i rappresentanti dei pubblici poteri, l’Ordine Giudiziario, le altre Associazioni forensi (art. 2, lett. g), senza che lo statuto stesso preveda una qualche limitazione dei mezzi mediante i quali realizzare i detti scopi.
 
Riferisce, inoltre, la ricorrente, senza essere smentita dalle eccepenti, di contare circa settemila iscritti sull’intero territorio nazionale, e di essere stata riconosciuta dal Congresso Nazionale Forense tra le associazioni maggiormente rappresentative dell’Avvocatura nel suo complesso.
 
Infine, va anche tenuto conto della materia investita dalla controversia, che, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 272/2012, attiene a giudizi (tra cui quello che occupa) nell’ambito dei quali “i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili attinenti alla mediazione nel processo civile, che possono anche riguardare interessi professionali della classe forense”.
 
L’eccezione in esame va per tutto quanto sopra respinta.
 
6. Si passa all’esame del merito del ricorso.
 
7. I due primi motivi dedotti nell’atto introduttivo del giudizio possono essere congiuntamente trattati.
 
Con la prima doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene che il legislatore delegato è incorso in eccesso di delega laddove ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione e l’improcedibilità del giudizio interposto senza il previo esperimento della mediazione, entrambi non previsti dalla legge delega.
 
Con la seconda doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene che, poiché nella logica del decreto delegato, le scelte che la parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di mediazione sono suscettibili di condizionare l’esito del successivo processo, per un verso la mancata previsione nel procedimento stesso della obbligatorietà dell’assistenza del difensore viola l’art. 24 della Costituzione (nonché favorisce le classi più abbienti, facoltizzate ad avvalersene), per altro verso l’introduzione della possibilità di acquisire elementi di prova in assenza di difesa tecnica, non prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art. 76 Cost..
 
7.1. Osserva al riguardo il Collegio che le censure di cui si discute, più che evidenziare l’illegittimità del decreto 18072010 per violazione degli artt. 5 e 16 del d.lgs.180/2010, sono volte a contestare la stessa disciplina normativa recata dai predetti articoli, ritenuta antinomica rispetto alla direttiva comunitaria 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE, e alla legge delega, art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69.
 
Come già ampiamente riferito, la Sezione ha ritenuto persuasive la più parte di tali censure, rilevando anche come le stesse racchiudessero i tratti salienti dell’interesse azionato in giudizio dalla ricorrente, finalizzato sostanzialmente, per il tramite dell’impugnativa del d.m. 180/2010, allo scrutinio di costituzionalità degli artt. 5 e 16 del d.lgs. 28/10.
 
E infatti, con la più volte richiamata ordinanza 12 aprile 2011, n. 3202, la Sezione ha sospeso il processo e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per l’esame della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost. degli artt. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, in parte, del d.lgs. n. 28 del 2010, disponenti, rispettivamente, l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie e i soli requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici e privati abilitati a costituire gli organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione.
 
Al contempo, nella stessa ordinanza n. 3202 del 2011, la Sezione ha ritenuto che l’eccezione di costituzionalità relativa alla mancata previsione nel procedimento di mediazione obbligatoria dell’assistenza del difensore si profilasse non rilevante ai fini del presente giudizio, in quanto priva di qualsiasi collegamento diretto od indiretto con la domanda demolitoria del regolamento impugnato avanzata innanzi a questa sede.
 
Come già detto, successivamente alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, che, accogliendo parzialmente la prospettazione di cui alla predetta ordinanza, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 1 dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 e altre disposizioni a esso correlate, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., la materia della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, mediante l’inserimento del comma 1-bis nel corpo dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 e varie modifiche apportate sia allo stesso art. 5 che ad altre disposizioni del decreto.
 
La novella legislativa, rispetto all’angolo visuale in cui si è situato il ricorso, ha apportato rilevanti modifiche all’istituto della mediazione.
 
Basti osservare sul punto, come meglio si dirà in seguito, che se è vero che l’esperimento della mediazione è stato ancora una volta configurato quale condizione di procedibilità per la domanda giudiziale in alcune materie, comunque rivisitate rispetto alle precedenti, è altresì vero che il nuovo testo del d.lgs. 28/2010 ha prescritto l’assistenza dell’avvocato.
 
Inoltre, gli stessi ricorrenti, a seguito delle modifiche normative di cui sopra, hanno spiegato avverso l’art. 84 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013, le nuove doglianze di costituzionalità, di cui ai motivi aggiunti.
 
Ne consegue che, allo stato, le censure in parola, affidate a un impianto argomentativo complessivo non più coerente con l’attuale quadro normativo, vanno dichiarate improcedibili.
 
8. Con il terzo motivo di gravame [violazione dell’art. 60, comma 3, lett. b) della l. n. 69 del 2009 e dell’art. 16 del d. lgs. 20/2010 – eccesso di potere per irragionevolezza – illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove la legge delega pone il requisito dell’indipendenza sia in capo agli organismi di mediazione sia in capo ai singoli mediatori, l’art. 4 del decreto impugnato assicura tale indipendenza in misura molto minore, riferendola esclusivamente “allo svolgimento del servizio di mediazione” [comma 2, lett. e)].
 
Nella ridetta ordinanza n. 3202 del 2011, la Sezione ha ritenuto che anche tale censura si profilasse estranea alle sollevate questioni di costituzionalità, perché afferente esclusivamente allo scrutinio di legittimità dell’art. 4 del regolamento 180/2010.
 
La tematica deve, indi, essere ora affrontata.
 
8.1. L’art. 60, comma 3, lett. b), della l. delega n. 69 del 2009 indica tra i principi e criteri direttivi la previsione che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione.
 
L’art. 4 del d.m. 180/2010, censurato dalla ricorrente, ha subito modifiche per effetto dei decreti ministeriali 6 luglio 2011, n. 145 e 4 agosto 2014, n. 39.
 
Ma, già dalla originaria formulazione, come all’attualità, la disposizione prevede al comma 2 che, ai fini dell’iscrizione nel registro, siano verificati a carico degli organismi di mediazione:
 
– i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti enti, conformi a quelli fissati dall’articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 [lett. c)];
 
– la trasparenza amministrativa e contabile dell’organismo, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e l’ente di cui eventualmente costituisca articolazione interna al fine della dimostrazione della necessaria autonomia finanziaria e funzionale [lett. d)];
 
– le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione, nonché la conformità del regolamento alla legge e decreto, anche per quanto attiene al rapporto giuridico con i mediatori [lett. e)].
 
La norma quindi prescrive, nell’ordine di cui sopra:
 
– in capo ai soci, associati, amministratori o rappresentanti degli organismi, per effetto dell’espresso richiamo all’art. 13, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, il possesso dei requisiti previsti per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso SIM, società di gestione del risparmio, SICAV e Sicaf. Tra tali requisiti, oltre la professionalità e l’onorabilità, figura l’indipendenza;
 
– l’autonomia (finanziaria e) funzionale dell’organismo;
 
– l’indipendenza, l’imparzialità e la riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione.
 
Tali prescrizioni declinano a carico degli organismi di mediazione, sotto i profili personali, strutturali e funzionali, e indi compiutamente, il concetto sostanziale di indipendenza assunto nella legge delega.
 
La censura è, pertanto, infondata.
 
9. Conclusivamente, alla luce di tutto quanto sopra, l’atto introduttivo del giudizio va dichiarato in parte improcedibile e per il restante respinto.
 
10. Come ampiamente sopra riferito, con pronunzia n. 272 del 2012 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010 in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., e di una serie di disposizioni dello stesso decreto a esso strettamente correlate.
 
In particolare, il Giudice delle leggi, al fine di verificare il rispetto dei principi posti in sede di emanazione del d.lgs. n. 28 del 2010, ha rilevato come né la direttiva comunitaria 2008/52/CE sopra illustrata, né gli altri atti comunitari presi in considerazione dalla pronunzia, né, infine, la legge delega pure illustrata (art. 60 della legge n. 69 del 2009), esplicitassero in alcun modo la previsione del carattere obbligatorio della mediazione finalizzata alla conciliazione assunto dal menzionato art. 5, comma 1, della legge delegata.
 
Successivamente alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, la materia della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84, comma 1, lett. b), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che, mediante l’inserimento del comma 1-bis e altre modifiche apportate sia all’art. 5 del d.lgs. 28/2010 che ad altre disposizioni della legge, ha nuovamente regolamentato l’esperimento della conciliazione quale condizione di procedibilità per la domanda giudiziale in alcune materie.
 
Mediante atto di motivi aggiunti parte ricorrente ha formulato anche avverso la predetta novella censure di illegittimità costituzionale, che si passa a esaminare.
 
11. Parte ricorrente assume in primo luogo che il novellato d.lgs. 28/2010, nonché l’art. 84, comma 1, del d.l. 69/2013 e l’art. 1, comma 1, della legge di conversione 98/2013, violino l’art. 77 Cost., sostenendo l’incompatibilità dell’introduzione a regime del nuovo sistema di accesso alla giustizia con lo strumento del decreto-legge, stante la carenza del carattere di straordinaria necessità e urgenza che ne legittima l’utilizzo, carenza che ritiene testimoniata dalla previsione che la nuova disposizione si applichi decorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto (art. 84 del “decreto del fare”).
 
11.1. La censura non persuade.
 
Va, al riguardo, considerato primariamente come la Sezione, nell’ordinanza di remissione 3202/2011 più volte citata, non abbia mai dubitato della possibilità, insita nella già illustrata direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE [espressamente finalizzata a facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e a promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario (art. 1, comma 1)], concessa agli Stati membri:
 
– di estendere, o meno, il campo di applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione in materia civile e commerciale da quello privilegiato, costituito dalle controversie transfrontaliere ai “procedimenti di mediazione interni” (ottavo considerando e art. 1);
 
– di renderlo, o meno, obbligatorio (art. 5, comma 2: “La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”).
 
La Sezione ha, piuttosto, rilevato che il grado di valorizzazione della mediazione, quale strumento tendenzialmente generale di risoluzione delle controversie, mediante l’esercizio delle predette opzioni discrezionali estensive dell’istituto – comportante, la prima, la scelta di renderla applicabile a rapporti che ricadono interamente nell’ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri, la seconda, la scelta di renderla obbligatoria e in quale misura – inerisse, attenendo ai massimi livelli del sistema nazionale del settore “giustizia” in materia civile, secondo le attribuzioni proprie dell’ordinamento nazionale vigente, alla fonte normativa primaria [art. 111 Cost.; art. 117, lett. l) e m) Cost.].
 
La Sezione ha negato, quindi, e a ragione (come attestato dalla sentenza costituzionale n. 272/2012), che la seconda di tali scelte potesse essere legittimante esercitata dal Governo in sede di legge delegata (d.lgs. 28/2010), in assenza nella legge delega (art. 60, l. n. 69 del 2009) di uno specifico principio e criterio direttivo.
 
Nel tema ora in discussione si versa in una fattispecie completamente diversa.
 
Non vi è dubbio, invero, che la scelta di rendere obbligatoria la mediazione nelle materie delineate dal nuovo comma 1-bis dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 sia stata ora compiuta in esercizio di funzione legislativa, e ciò sia in sede di adozione del decreto-legge n. 69 del 2013, sia in sede di conversione del decreto, con la l. n. 989 del 2013.
 
Tanto premesso, e passando alla questione, posta dalla ricorrente, se lo strumento della decretazione d’urgenza sia idoneo a normare la materia, deve rammentarsi che la Corte Costituzionale, con giurisprudenza costante sin dal 1995 (sentenza n. 29 del 1995), ha affermato che l’esistenza dei requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza può essere oggetto di scrutinio di costituzionalità.
 
Tuttavia, la Corte Costituzionale (sentenza n. 171 del 2007) ha al riguardo chiarito che il relativo giudizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento, in sede di conversione, dovendosi svolgere su un piano diverso, con la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto, con l’effetto di riconoscere ai requisiti di necessità e urgenza cui l’art. 77 Cost. subordina il potere straordinario del Governo di emanare norme primarie ancorché provvisorie comporta l’inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un largo margine di elasticità.
 
In tal modo il Giudice delle leggi ha ritenuto, per un verso, che la straordinarietà del caso, tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi, per altro verso, che l’eventuale difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d’urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità, debba risultare evidente.
 
Nella specie, la Sezione non ravvisa nella fattispecie in esame l’evidenza richiesta per sollevare nuovamente la questione di costituzionalità della mediazione obbligatoria, dedotta dalla ricorrente.
 
Invero, non può essere fondatamente posto in dubbio come il riconoscimento, da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2012, dell’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010 in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., ovvero per l’accertata carenza nella legge delega di cui all’art. 60 della l. 69/09 di criteri e principi direttivi legittimanti tale scelta da parte del legislatore delegato, abbia frustrato le chiare finalità deflattive del contenzioso giudiziario che il legislatore delegato stesso ha riconnesso all’intero sistema delineato dallo stesso d.lgs. 28/2010.
 
E ciò in un contesto di nota evidenza della necessità di riforme in materia di giustizia civile, sottolineato anche dalla “Raccomandazione del Consiglio [Europeo, n.d.r.] sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017” del 29 maggio 2013.
 
Tale raccomandazione, invero:
 
– all’undicesimo considerando, ha rilevato come “Per migliorare il contesto in cui operano le imprese occorre completare la riforma della giustizia civile dando rapidamente attuazione alla riorganizzazione dei tribunali, abbreviando la durata eccessiva dei procedimenti e riducendo il volume dell’arretrato e il livello di contenzioso”, ritenendo specificamente che “A seguito della sentenza della Corte costituzionale dell’ottobre 2012 sulla mediazione, è necessario intervenire per promuovere il ricorso a meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie”;
 
– al punto 2, ha raccomandato all’Italia di “abbreviare la durata dei procedimenti civili e ridurre l’alto livello di contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie.
 
E’ parimenti indubitabile che gli organismi di mediazione venuti a esistenza e iscrittisi nel registro degli organismi di mediazione nel non breve periodo decorrente tra l’entrata in vigore del d.lgs. 28/10, e segnatamente dell’art. 5 vecchia formulazione, e la pronunzia del Giudice delle leggi n. 272 del 2012, si siano necessariamente strutturati sulla base di tutte le previsioni originarie del decreto, ivi comprese quelle relative all’obbligatorietà della mediazione in determinate materie, risultando, in tal modo, interamente portata a compimento l’organizzazione strutturale cui il legislatore delegato intendeva far ricorso, anche coattivo, per introdurre la detta modalità di risoluzione delle controversie alternativa al sistema giudiziario.
 
Applicando a tale contesto le predette coordinate ermeneutiche, deve riconoscersi la sussistenza di quella straordinarietà del caso, tale da legittimare, ai sensi dell’art. 77, come interpretato dalla Corte Costituzionale, la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito.
 
Nulla muta, al riguardo, considerando che previsione che l’art. 84 del “decreto del fare” ha previsto che la novella si applichi decorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
 
Si tratta, infatti, per un verso, di una opportuna disposizione di cautela, che rimanda alla conversione del decreto-legge l’operatività del sistema introdotto.
 
Non va invero dimenticato che, come già precedentemente riferito, pendente il giudizio conclusosi con la sentenza 272/2012 dinnanzi al Giudice delle leggi, con d.l. 22 dicembre 2011, n. 212 (art. 12, comma 1, lett. a), il Governo aveva tentato di modificare in alcune parti la formulazione originaria dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, ma tale modifica non è stata confermata dalla legge di conversione 17 febbraio 2012, n. 10.
 
Per altro verso, poi, la disposizione è inidonea a confermare l’assunto dei ricorrenti in ordine alla insussistenza dell’urgenza, atteso che, in ogni caso, il “decreto del fare”, approvato il 21 giugno 2013, non avrebbe comunque potuto determinare l’immediata ripresa della mediazione, stante la sospensione feriale dei termini giudiziari e l’eventualità che gli organismi di mediazione necessitassero, successivamente alla ridetta sentenza n. 272/2012, di una ripartenza organizzativa
 
12. Parte ricorrente ritiene inoltre costituzionalmente illegittima anche la nuova previsione di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 28/2010, laddove prevede che “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
 
Parte ricorrente, in particolare, ritiene che la facoltà, di carattere discrezionale, concessa al giudice di appello, di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, sia illogica nonché violativa della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost..
 
La Sezione non ritiene di poter aderire a tale prospettazione.
 
Basti osservare, al riguardo, che la direttiva 2008/52/CE illustrata in premessa, al fine di incoraggiare la risoluzione alternativa e amichevole delle controversie costituita dal ricorso alla mediazione, per le precipue finalità già sopra descritte:
 
– all’art. 3, precisato il concetto di mediazione, chiarisce che tale procedimento, oltre che essere avviato dalle parti, può essere anche “suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale”;
 
– all’art. 5, stabilisce che “L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia…”.
 
Quindi, per la citata direttiva, che non precisa in quale segmento della causa già pendente l’organo giurisdizionale può suggerire o ordinare il ricorso alla mediazione, la eventuale ricorrenza di un siffatto provvedimento in fase di appello non contrasta ex se con gli scopi principali assunti dalla direttiva, ravvisabili nella garanzia di un miglior accesso alla giustizia (quinto considerando), sulla base di una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida (sesto considerando).
 
Inoltre, l’eccezione oblitera che la diposizione prevede che la remissione giudiziale delle parti al procedimento di mediazione, anche in appello, è subordinata alla valutazione della “natura della causa”, dello “stato dell’istruzione” e del “comportamento delle parti”, apprezzamenti tutti da effettuarsi da parte del giudice, proprio nell’ambito di un procedimento giudiziale rispondente ai requisiti del giusto processo di cui all’invocato art. 11 Cost..
 
Anche tale questione va quindi respinta.
 
13. Parte ricorrente denunzia ancora l’incostituzionalità dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010, che prevede che “ Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”.
 
La disposizione viene qualificata come una costrizione finalizzata a imporre il ricorso alla mediazione e un indebito ostacolo all’accesso alla giustizia, in violazione dell’art. 24 Cost., nonché incompatibile con un sistema che non garantisce l’adeguata configurazione della professionalità del mediatore.
 
La tesi non ha pregio.
 
Si rammenta che la Corte Costituzionale, nella ridetta sentenza 272/2002, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010, per contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost., ha assorbito ogni questione, pure sollevata, relativa alla eventuale incostituzionalità della mediazione obbligatoria per violazione dell’art. 24 Cost..
 
La questione, quindi, è aperta, e non può ora che essere affrontata alla luce delle novelle apportate in materia dal “decreto del fare”.
 
La nuova mediazione obbligatoria introdotta dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, per effetto delle complessive modifiche apportate alla disposizione e al decreto legislativo nel suo complesso, è profondamente difforme dalla precedente.
 
E’ peraltro anche vero che la stessa si caratterizza per la presenza di numerose discrepanze.
 
Ne costituiscono esempio le contraddizioni ravvisabili nel testo di legge in punto di assistenza dell’avvocato nella procedura di mediazione.
 
Essa va ritenuta senz’altro obbligatoria ai sensi del comma 1 dell’art. 8, stante l’inequivocabile formulazione letterale della norma e la circostanza che l’art. 8 è precipuamente dedicato al procedimento di mediazione, con la conseguente centralità sul punto della disposizione, che, però, non coincide perfettamente né con l’art. 5, comma 1-bis, che riferisce l’assistenza dell’avvocato al mero atto di impulso della conciliazione obbligatoria, né con l’art. 12, comma 1, che prevede che solo ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
 
Tali contraddizioni, peraltro, potranno essere risolte in sede di rivisitazione del testo del decreto delegato 28/2010, già programmato. L’art. 5, comma 1-bis, chiarisce, infatti, che “La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione”.
 
Ma, anche tenuto conto di quanto appena sopra, è certo che non sono riproducibili nei confronti della “nuova” conciliazione obbligatoria quei rilievi critici cui aveva dato luogo il previgente sistema, poggianti sul combinato disposto di alcune previsioni, poi modificate, che hanno fatto fondatamente dubitare della suscettibilità della “vecchia” mediazione obbligatoria di consentire l’esercizio effettivo del diritto di difesa in giudizio e la possibilità di condurre a una composizione delle controversie in conformità all’alto rango dei principi che caratterizzano la materia nell’ordinamento nazionale vigente.
 
Basti, infatti, osservare che:
 
– le materie per cui la mediazione è obbligatoria e costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale sono state rivisitate in senso diminutivo, non essendovi più tra le stesse il risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (art. 5, comma 1-bis);
 
– la condizione di procedibilità è ora assolta senza che sia necessario esperire un vero e proprio tentativo di conciliazione, ovvero con la mera partecipazione a un primo incontro (art. 5, comma 2-bis);
 
– nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, da svolgersi non oltre trenta giorni dalla domanda di mediazione (art. 8, comma 1), nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione (art. 17, comma 5-ter);
 
– si prevede l’assistenza dell’avvocato per promuovere la conciliazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis);
 
– si prevede l’assistenza dell’avvocato fino al termine della procedura (art. 8, comma 1);
 
– la proposta del mediatore interviene soltanto all’avverarsi delle relative condizioni, dopo il primo incontro, nell’ambito del quale il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione e invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, procedendo nel caso positivo (art. 8, comma 1);
 
– solo ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, comma 1);
 
– al fine di sottrarsi alle conseguenze pregiudizievoli, in tema di argomenti di prova e di sanzioni, derivanti nel successivo giudizio dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione laddove obbligatorio, possono essere addotti giustificati motivi (art. 8, comma 4-bis);
 
– gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori (art. 16, comma 4-bis).
 
A ciò si aggiunga che le modifiche medio tempore apportate al d.m. 180/2010 hanno rafforzato la qualità del servizio di mediazione.
 
Basti richiamare, al riguardo, le nuove disposizioni ora vigenti in tema di formazione, aggiornamento e tirocinio dei mediatori (art. 4), nonché la prescrizione che il regolamento dell’organismo di mediazione contenga criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta [art. 7, comma 5, lett. e)].
 
Considerazioni tutte, queste appena elencate, che fanno escludere che il sistema in esame, allo stato vigente, possa sostanziare il pericolo di una indebita restrizione dell’accesso alla giustizia, ravvisabile (e ravvisato dalla Sezione con l’ordinanza 3202/11) in occasione dell’esame delle originarie formulazioni del d.lgs. 28/2010 e del d.m. 180/2010.
 
Ne consegue che, nell’ambito della rimodulazione incisiva dell’istituto – anche mediante la previsione dell’assistenza tecnica del difensore, la più ragionevole regolazione del primo incontro della mediazione, finalizzata all’illustrazione alle parti degli scopi che le sono propri e alla verifica della disponibilità di entrambe le parti a pervenire in via generale a un accordo conciliativo, la rimessione della proposta conciliativa a una fase eventuale e successiva, condizionata al previo accertamento della volontà espressa in tal senso dalle parti – le norme di cui si discute, incentrate sulla già venuta a esistenza di una “proposta”, si qualificano come strumenti volti indirettamente a favorire, più che il ricorso alla conciliazione, la partecipazione diligente e in buona fede al relativo procedimento, come conseguenza dell’atto di assenso inizialmente prestato.
 
E’ evidente, infatti, che l’inveramento della fattispecie di cui si discute e le relative conseguenze pregiudizievoli previste dalla disposizione richiedono la presenza di una proposta conciliativa, e, quindi, ora, presuppongono che vi sia stata l’adesione delle parti alla possibilità della risoluzione conciliativa.
 
La norma in parola, pertanto, ha più che altro la finalità di sanzionare il mancato assolvimento dell’onere di ponderare il contenuto della proposta, onere che trova esclusiva fonte nell’assenso alla conciliazione prestato dall’onerato.
 
Si versa, pertanto, in una ipotesi che, rimarcando il carattere negoziale del procedimento di conciliazione, risulta del tutto estranea all’art. 24 Cost..
 
14. Le questioni di legittimità costituzionale spiegate dai ricorrenti avverso il d. lgs. n. 28 del 2010, come modificato nelle more del giudizio dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 79, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost. risultano, per quanto sopra, infondate.
 
15. Restano da esaminare i nuovi profili di illegittimità dedotti con i mezzi aggiunti a carico del d.m. 180/2010.
 
15.1. Parte ricorrente sottolinea il sopravvenuto contrasto tra il novellato art. 17, comma 5-ter, del d.lgs. 28/2010 e la disposizione di cui all’art. 16, commi 2 e 9, del d.m. 180/2010.
 
L’art. 5-ter in parola prescrive che “Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
 
Il comma 2 dell’art. 16 del d.m. 180/2010 prevede che “Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”.
 
A sua volta, il comma 9 dello stesso art. 16 prevede che “Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà”.
 
E’ evidente che entrambe le disposizioni regolamentari si pongono in contrasto con la gratuità del primo incontro del procedimento di conciliazione, previsto dalla legge laddove le parti non dichiarino la loro disponibilità ad aderire al tentativo.
 
La censura è pertanto fondata e va accolta.
 
15.2. Parte ricorrente sottolinea ancora il sopravvenuto contrasto tra il novellato art. 16, comma 4-bis del d.lgs. 28/2010 e la disposizione di cui all’art. 4, comma 3, lett. b), del decreto n. 180/2010.
 
L’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. 28/2010 prevede che “Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense”.
 
L’art. 4, comma 3, lett. b) del d.m. 180/2010 prevede il “il possesso, da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all’articolo 18, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti”.
 
Anche tale norma si profila palesemente in contrasto con le nuove disposizioni, nella misura in cui è suscettibile di essere applicata in via generale, ovvero anche nei confronti degli avvocati iscritti all’albo, che la legge dichiara mediatori di diritto, e la cui formazione in materia di mediazione viene regolata con precipue disposizioni.
 
16. In definitiva, le doglianze di cui al ricorso e ai motivi aggiunti in esame vanno dichiarate in parte improcedibili, e in parte accolte, nei sensi e nei limiti di cui sopra.
 
L’andamento della controversia, la complessità e la novità delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese di lite
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo dichiara in parte improcedibile e in parte lo accoglie, nei sensi e nei limiti di cui al punto 15 della motivazione, disponendo, per l’effetto, l’annullamento degli artt.16, commi 2 e 9, e 4, comma 3, lett. b), del decreto n. 180 del 18 ottobre 2010 e s.m.i., adottato dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.
 
Spese compensate.
 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 

Il furbetto in Panda

Leggendo le squallide vicende della Fiat Panda del Sindaco di Roma, Ignazio Marino, ho sentito il dovere di riaprire le pagine della Costituzione della Repubblica Romana approvata il 9 Febbraio 1949.
Pensavo all’esilio subito dal mio bisnonno, Alfonso Reboa, ad opera del restaurato Papa Re per aver creduto in quegli ideali, immaginando come egli, i suoi genitori ed i suoi figli e nipoti si stiano rivoltando nella tomba al solo pensiero che tanti sacrifici sono serviti solo per permettere all’auto del Sindaco di Roma di parcheggiare al sicuro presso il Senato della Repubblica e per entrare gratis al centro storico.
Art. 2 dei principi fondamentali della Repubblica Romana: <>.
Ho appreso dai giornali che Ignazio Marino ha ricordato ai giornalisti che il Sindaco di Roma ha diritto all’accesso gratuito in zona ZTL per tre auto private, gridando al complotto perché la stampa ha scoperto che si è fatto togliere delle contravvenzioni, così come tentano tutti i <> che incappano in una multa e che sono giustamente additati, anche dai politici, come una delle cause del terzomondismo in cui è caduta la capitale d’Italia.
Certamente il Sindaco è più raffinato: non si fa togliere le contravvenzioni, attraverso il sistema un po’ casereccio della sparizione del documento cartaceo in seguito all’intervento <> di un impiegato disonesto. Egli è un’autorità, così si rivolge agli uffici di cui è il capo politico, chiedendo l’annullamento in autotutela del relativo verbale…
E poi, per cercare di mettere giornalisticamente a tacere l’accusa di illegalità, si comporta come fece il Sindaco Veltroni nella vicenda della scoperta delle firme false in danno dell’allora Presidente della Regione Lazio, Francesco Storace: parla di una incursione informatica al sistema elettronico del Comune di Roma.
Strano modo di fare, quello dei sindaci del Comune di Roma, ribattezzato pomposamente Roma Capitale, auspice un Alemanno che avrebbe fatto meglio ad occuparsi dei problemi seri della città, piuttosto che a dedicarsi anch’egli a specchietti mediatici per le allodole.
Ogni volta che dai terminali cittadini escono le prove di abusi o reati non graditi ai sindaci, essi parlano di pirateria informatica, come fanno i bambini quando vengono rimproverati per una loro manchevolezza che pensavano non venisse scoperta, che, per prima cosa, invece di giustificarsi chiedono: <>.
Poveri sindaci di Roma, nella loro foga di difendersi si dimenticano persino che un sistema informatico come quello di Roma Capitale deve essere gestito in maniera da prevenire ogni accesso abusivo ed il primo responsabile politico dell’eventuale successo dei pirati informatici sono proprio loro, i primi cittadini, per aver omesso di vigilare sull’adeguatezza dei sistemi e procedure di difesa elettronica.
Probabilmente non tutti sanno che, nel caso della presunta intrusione giornalisticamente chiamato Laziogate, in cui purtroppo mi sono trovato coinvolto per aver fatto il mio dovere di avvocato, depositando alla Procura della Repubblica di Roma le prove di un grave reato contro le istituzioni, non vi è stata solo l’assoluzione di Francesco Storace e di tutti i coimputati per <>, ma vi era stata prima la condanna del Comune di Roma da parte dell’Autorità Garante della Privacy perché le difese informatiche del sistema anagrafico capitolino erano un colabrodo.
In sintesi, un’indagine giudiziaria, sgradita al Sindaco e poi dichiarata legittima con sentenza definitiva, ha fatto scoprire che chiunque, con facilità, avrebbe potuto alterare dati anagrafici: purtroppo i fumogeni mediatici impedirono che Veltroni pagasse il dazio di tale grave omissione, di cui era l’unico responsabile politico.
Il sindaco, per difendersi dalle accuse di abuso, rivendica quei privilegi di casta che i costituenti della gloriosa Repubblica Romana abolirono: e non importa se di quei privilegio godeva anche Alemanno, egli è già stato sconfitto e con lui la speranza dei suoi elettori, che credevano che i valori di ordine e legalità che erano stati i cardini della sua campagna elettorale, oltre che della sua giovinezza, avrebbero prevalso nella città.
Un sindaco gode dell’auto di servizio per fare il proprio mestiere di sindaco: che bisogno ha il dr. Marino di parcheggiare l’auto in spazi riservati ai senatori (ai quali il sindaco dovrebbe invece chiedere di pagare l’occupazione del suolo pubblico che sottraggono ai Romani) o di avere un accesso gratuito alla ZTL?
O vogliamo parlare della pessima figura fatta con l’apertura del Metro C e la sceneggiata dell’irruzione ad Ottobre al Ministero dei Trasporti perché non era stato concesso il permesso di operare ad una linea che qualche problema di funzionalità lo doveva pur avere, se il primo treno partito un mese dopo si è subito fermato? 
E, poi, per tornare alla Panda Rossa parcheggiata al Senato, quello che è agghiacciante è pensare che la stessa è stata evidentemente portata a sostare lì per far arrivare il sindaco in bicicletta al Campidoglio, cioè per fargli fare ogni giorno qualche centinaio di metri di sgambatura propagandistica in bicicletta in una città che dopo oltre un anno che è stato eletto sindaco ha visto moltiplicarsi le buche nelle strade e non le piste ciclabili o i bike sharing municipali.
A proposito di bike sharing, basta andare sul relativo sito municipale (www.bikesharing.roma.it) per scoprire che non vi sono aggiornamenti dal 2010 e che, nelle 24 stazioni, si registra la presenza di solo 9 biciclette sulle 293 che, secondo il sito dovrebbero essere a disposizione dei cittadini, con tre stazioni (Arenula, Flaminio 21 e Roma III Torlonia) nelle quali si dichiara misteriosamente che dovrebbe esserci il posto per zero biciclette. Ma anche che vi sarebbe un numero (06 57003) che sarebbe attivo per <>.
Provato a chiamare in piena notte: ha risposto un operatore, che non ha informazioni sul bike sharing a dimostrazione che, su due ruote, dal Campidoglio, arriva solo la presa in giro dei Romani.
 
 
Romolo Reboa*
Avvocato del Foro di Roma 
 
 

Servizio PEC: notificazioni a persona diversa dall’imputato

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOCon provvedimento n.2931/14 del 22 dicembre 2014 del Procuratore della Repubblica, Dott. Pignatone è stato disposto che le notifiche e le comunicazioni ai difensori, all’indagato nei soli casi in cui la notificazione o comunicazione possa o debba essere effettuata mediante consegna al difensore e le notificazioni e comunicazioni alle altre parti private che abbiano comunicato un indirizzo P.E.C., vengano eseguite dal personale in servizio mediante l’utilizzo del servizio di Posta Elettronica Certificata (P.E.C.). Per l’esecuzione delle notifiche sarà utilizzato l’applicativo T.I.A.P. -all’interno del quale è stato disposto il collegamento con i pubblici registri contenenti gli indirizzi di posta elettronica certificata dei destinatari— che è stato associato al servizio di Posta Elettronica Certificata sollevando così il personale delle formalità di conservazione della relativa ricevuta attestante la trasmissione dei documenti inseriti nel fascicolo digitale creato all’interno dell’applicativo TIAP. Solo nei casi in cui non sarà possibile effetuare l’esecuzione della notifica attraverso la PEC per motivi tecnico-funzionali si potrà procedere alla notifica secondo le modalità previste dagli artt. 148 e s.c.p.p..Si precisa che il servizio però non utilizzabile per le comunicazioni e le notifiche di atti alla Polizia giudiziaria. il servizio Il provvedimento adottato è già esecutivo. 

Nuovo tasso di interesse legale

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Con decreto ministeriale pubblicato nella G.U. n. 290 del 15/12/2014 il tasso di interesse legale è stato fissato nella misura dello 0,50%. Non si registrava un volora così basso  dal 1942. ll nuovo tasso entra in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2015. Di seguito il testo del decreto: 

Decreto 11 dicembre 2014
 
Modifica del saggio di interesse legale. 
 
(GU Serie Generale n.290 del 15-12-2014)
 
 
IL MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 
 
Visto l’articolo 2, comma 185, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica» che, nel fissare al 5 per cento il saggio degli interessi legali di cui all’articolo 1284, primo comma, del codice civile, prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze puo’ modificare detta misura sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell’anno; 
 Visto il proprio decreto 12 dicembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 2013, n. 292, con il quale la misura del saggio degli interessi legali e’ stata fissata all’1 per cento in ragione d’anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2014; 
 Visto il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, concernente il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia;
 Tenuto conto del rendimento medio annuo lordo dei predetti titoli di Stato e del tasso d’inflazione annuo registrato; 
 Ravvisata l’esigenza, sussistendone i presupposti, di modificare l’attuale saggio degli interessi;
 
Decreta: 
 
 Art. 1
 La misura del saggio degli interessi legali di cui all’articolo 1284 del codice civile e’ fissata allo 0,5 per cento in ragione d’anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2015. Il presente decreto sara’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
 
 
Roma, 11 dicembre 2014 
 
 Il Ministro: Padoan
 

Deposito e pubblicazione delle sentenze del Giudice di Pace di Roma

altCome è noto la situazione degli Uffici dei giudici di pace sono in grave difficoltà per quanto riguarda la pubblicazione delle sentenze arretrate. Per questo motivo il COA di Roma il Presidente Vaglio, il segretario Di Tosto e il Tesoriere Galletti Il Presidente Vaglio, il Consigliere Segretario Di Tosto ed il Consigliere Tesoriere Galletti hanno incontrato il presidente del Tribunale Dott. Bresciano, il Presidente della XII Sezione del Tribunale Dott.ssa Mangano e il Dirigente amministrativo dell’Ufficio del Giudice di Pace Dott.ssa Laguardia, per trovare congiuntamente una soluzione delle gravi problematiche relative alla pubblicazione delle sentenze arretrate del Giudice di Pace. A seguito dell’incontro avvenuto il 4 dicembre u.s., la Dirigente dell’Ufficio del Giudice di Pace ha predisposto una circolare che stabilisce quanto segue:
a) per le sentenze emesse a decorrere dal 10 dicembre 2014 varrà come data di pubblicazione quella di inserimento nel sistema SIGP;
b) per le sentenze emesse a decorrere dal 10 dicembre 2014 ai sensi  dell’art. 281 sexies c.p.c. o in materia di O.S.A., il cui dispositivo e motivazione siano lette in udienza, le stesse dovranno intendersi immediatamente pubblicate, con l’obbligo però per il cancelliere di inserirle nel sistema SIGP entro la mattinata successiva;
c) per le sentenze in arretrato ancora in fase di pubblicazione la effettiva data di pubblicazione sarà da considerarsi quella di inserimento nel sistema SIGP, anche a seguito dell’apposizione di un ulteriore timbro di depositato da parte del Cancelliere.
Restano escluse da tale provvedimento le sentenze ancora non inserite nel sistema SIGP ma pronunciate in udienza in materia di O.S.A. o ai sensi dell’art. 281 sexies per le quali la data di pubblicazione continuerà a coincidere con quella dell’udienza benché l’inserimento nel sistema SIGP sia avvenuto con due anni di ritardo. In tale ipotesi l’unica possibilità per la rimessione in termini per l’appello sarà quella di proporre querela di falso laddove si possa provare la mancata effettiva lettura della sentenza durante l’udienza.