Author: Massimo Reboa
Protocollo per la liquidazione degli onorari patrocinio a spese dello Stato
·Dicembre 2015 – Cena di Natale dello studio legale Reboa con amici e colleghi
Il giorno 22 dicembre u.s. presso il Ristorante Dai Balestrari si è tenuta la cena di Natale dello studio legale Reboa. Consuetudine dell’avv. Romolo Reboa per augurare buone feste ai propri collaboratori e partners professionali. Hanno partecipato all’evento: gli avv.ti Simone Trivelli, Francesco Lodise, Giovanna Ranieri, Roberta Verginelli, Silvia Rodaro, Valerio Spinaci, Angelo Masetti, Roberto De Blasiis, l’on.le Francesco Orsi, i dott.ri comm. Mauro Maritati, Alessandro Passigli, Dario Carapacchio, la rag. Daniela Marini, il dott. Massimo Reboa, il dott. Raffaele Ciaburri, la dr.ssa Shaira Missori, la dr.ssa Carmen Langellotto, la sig.ra Maria Grazia Bordone, il sig. Fabio Lattanzi, la sig.ra Tamiris Valentin, l’imprenditore Pino Petrollo ed il maestro grafico Claudio Gloria in arte Gorial.
Ricorsi in Cassazione: protocollo tra Cnf e Suprema Corte
Saggio di interesse legale per l’anno 2016
Avvocati Cassazionisti: le nuove regole per l’iscrizione all’Albo
Il 14 dicembre 2015, il Consiglio Nazionale Forense ha pubblicato il nuovo testo del regolamento concernente i corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 247/2012. Il nuovo regolamento entrerà in vigore dal 29 dicembre p.v. Di seguito il testo 10106REGOLAMENTO20-11.pdf.
·Dicembre 2015 – L’ avv. Romolo Reboa ed il dott. Massimo Reboa con i colleghi statunitensi a Fort Lauderdale
L’avv. Romolo Reboa nel corso del ciclo di incontri per la promozione dello studio Legale in Florida, ha incontrato per motivi professionali, diversi illustri colleghi tra i quali gli avv.ti Paul Finizio, titolare dello studio Finizio&Finizio (law practice a Fort Lauderdale), Christopher Salamone (Boca Raton, Florida) dello studio Salamone Associates, Frank Terzo e Glenn Cooper dello studio Gray and Robinson, Howard Perl dello studio Becker & Poliakoff P.A., nonchè Nuccia McCormick, presidente del Consiglio di amministrazione della Thomas W. Mccormick Scholarship Fund.
L’illegalità diffusa
Vaprio D’Adda: un pensionato si sveglia, trova i ladri in casa, prende la pistola sul comodino e spara, uccidendo il malvivente. Indagato per omicidio volontario.
Catania: la Corte d’Assise condanna un pensionato di 71 anni a 17 anni di carcere ed al risarcimento del danno. Motivo: ha ucciso con quattro colpi di pistola un uomo che si era introdotto di notte nel podere della sua casa di campagna.
Milano: Tabaccaio uccide rapinatore: condannato a un anno e otto mesi per omicidio colposo.
Arzago d’Adda: imprenditore spara e uccide con un fucile da caccia regolarmente detenuto un albanese che con altri complici stava cercando di rubargli la Mercedes. La Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte di Appello di Brescia di condanna a due anni ed otto mesi per eccesso colposo di legittima difesa. Dovrà andare in carcere e risarcire la famiglia del ladro.
Ponte di Nano: benzinaio spara per salvare la commessa di una gioielleria che sta subendo una rapina. Indagato per eccesso colposo.
Basta scorrere le pagine dei giornali o internet per trovare centinaia di casi similari, che giudizialmente andranno valutati caso per caso e nei quali sicuramente vi saranno (o vi saranno state) condanne nei confronti di vittime di furti o rapine che sono persone violente, cui l’evento ha stimolato tale istinto.
Il problema non è giudiziario, in quanto i magistrati applicano la legge, anche se non può essere sottaciuto che, in simili vicende, è fondamentale l’interpretazione della legge e della ricostruzione del fatto che viene data dall’uomo / giudice, intellettualmente condizionata dalla sua opinione su come ci si debba comportare in situazioni analoghe.
L’esperienza giudiziaria insegna che il garantismo riferito ai diritti del bandito ucciso è molte volte superiore a quella che socialmente è la vera vittima della vicenda, chi si è trovato involontariamente di fronte ad un evento che lo ha indotto a sparare.
Allora parlare di politica giudiziaria da rivedere non significa voler far superare alla magistratura il muro divisorio della separazione dei poteri, ma chiederle di prendere atto che il suo ruolo di supplenza all’inefficienza del Parlamento non può essere limitato alle grandi inchieste quali Mafia Capitale, atteso che la vita delle persone per bene è condizionata irrimediabilmente da simili episodi.
La massa di coloro che sono chiamati a giudicare, nella camera di consiglio di un tribunale, quale dovrebbe essere il comportamento di un essere umano di fronte ad un tentativo di rapina, ha una fortuna personale: non essere stato vittima di eventi similari. La massa dei giudici, quindi, può solo teorizzare, sulla base della propria sensibilità umana e dei propri studi anche in materia psicologica, quello che dovrebbe essere il comportamento della vittima che reagisce. E lo fa non nell’immediatezza dell’evento, ma molto tempo dopo.
E’ facile giudicare se un fallo è avvenuto fuori dell’area o sulla linea riguardando l’azione alla moviola che propone le immagini riprese da diverse angolazioni. Sfido chiunque a non sbagliare se si trovasse sul campo al posto dell’arbitro. Gli arbitri, anche di serie A, sbagliano, malgrado si allenino tutti i giorni, perché sono persone umane che devono assumere decisioni in velocità.
Orbene, se sbagliano dei professionisti in situazioni alle quali sono abituate, come deve essere valutato il comportamento di un essere umano il quale, improvvisamente, magari in piena notte mentre si trova a letto nella propria casa, si trova aggredito?
Lo Stato, attraverso la legge penale, esercita la propria pretesa punitiva con riferimento a comportamenti dei singoli ritenuti disdicevoli perché rendono difficile la convivenza tra i singoli cittadini e, quale corrispettivo di tale pretesa, ha l’onere di assicurare alcuni servizi essenziali, ivi inclusa la sicurezza ed il rispetto della legge.
Se si escludono pochi violenti, può dirsi che la maggioranza degli Italiani non ha alcuna voglia di sparare ai ladri in casa propria, o nel giardino del proprio villino, o di inseguire armato chi lo sta derubando.
Ove ciò avvenga è perché lo stato non è riuscito a garantirgli quel minimo di sicurezza che ogni soggetto ha la pretesa di attendersi da uno stato, democratico o dittatoriale, cioè la sicurezza della propria abitazione, del proprio negozio o ufficio e delle strade.
E’ palese che il difendersi da chi entra abusivamente nella propria abitazione non è un comportamento percepito dalla massa dei cittadini come lesivo della convivenza civile e tale percezione che sia giusto reagire, anche con le armi, aumenta allorché lo stato si mostra, all’esterno, incapace di svolgere il suo ruolo.
Orbene, un uomo che si trova costretto a sparare o che, a causa di un’aggressione ingiusta, non ha la freddezza di fermare il dito sul grilletto allorché impugna un’arma che ha comprato solo per paura e che non in realtà ben usare, subirà dall’evento <
Una cosa è certa, egli sommerà allo shock dell’aggressione domestica anche quello dello stato che lo processa.
Il tutto in un clima d’illegalità diffusa che induce il cittadino a pensare che l’unica scelta che ha per sopravvivere è l’autodifesa.
L’illegalità diffusa si respira non solo pensando alla sicurezza nelle abitazioni o nelle strade o a macro fenomeni, quali <
Automobili parcheggiate sistematicamente in divieto di parcheggio, su strisce pedonali o davanti ai cassonetti, con i VV.UU. che intervengono solo se specificamente chiamati, fanno comprendere al cittadino che in città la legge non c’è, tutto è possibile, è la prepotenza a governare.
Allora, la domanda politica è: può lo stato inerme essere duro solo con le persone oneste che, forse, sbagliano quando reagiscono ad un’aggressione criminale?
Romolo Reboa
* Avvocato del Foro di Roma
Istruzioni operative iscrizione a ruolo telematica delle procedure esecutive mobiliari
Di seguito pubblichiamo le istruzioni operative iscrizione a ruolo telematica delle procedure esecutive mobiliari messe a disposizione dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma 2015_12_15_Istruzioni_esecuzioni-3.pdf
Art. 18: per la Cassazione licenziamento anche nel pubblico impiego
Con sentenza n. 24157/2015 la Corte di Cassazione ha chiarito l’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge Fornero e di recente dal Jobs Act, anche nel pubblico impiego. Di seguito il testo integrale della sentenza: cassazione-sentenza-24157-2015.pdf