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Author: Massimo Reboa

· Dicembre 2012 – “InGiustizia di Gola” evento enogastronomico organizzato della rivista InGiustizia la PAROLA al POPOLO, diretta dall’avv. Romolo Reboa.

 

L'avv. Romolo Reboa con la chef Stefania Di Clemente

L'avv. Romolo Reboa con alcuni illustri ospiti della serata

Alcune pietanze scelte dall'avv. Romolo Reboa

L'avv. Romolo Reboa con un ospite della serata

L'avv. Romolo Reboa con la giornalista Rai

L'avv. Romolo Reboa con Francesco Storace

 

InGiustizia di Gola” evento enogastronomico organizzato dalla rivista InGiustizia la PAROLA al POPOLO diretta dall’avvocato Romolo Reboa presso la sede del proprio studio legale.  Nel corso dell’evento, cui hanno partecipato avvocati, magistrati, esponenti di volontariato e personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo,  la chef Stefania Di Clemente ha deliziato i palati degli illustri ospiti con un menù ispirato al diritto, il tutto accompagnato dalla degustazione di ottimi vini offerti dall’Azienda vinicola Casale del Giglio.

Il DL sviluppo è legge: al via la giustizia digitale

alt Il Dl Sviluppo bis è legge, il voto arriva dopo la fiducia di ieri. Il testo era stato licenziato dal Senato il 6 dicembre scorso con un maxi-emendamento sul quale il governo aveva posto, anche in quel caso, la questione di fiducia. Per ciò che concerne il capitolo “Giustizia digitale” sono state votate misure volte a snellire modi e tempi in materia di comunicazioni e notifiche. Nei procedimenti civili le comunicazioni delle cancellerie dovranno essere effettuate solamente per via telematica. Nei procedimenti penali è prevista comunicazione online per tutte le notifiche alle persone diverse dall’imputato. Semplificazione anche per le notifiche regolate dalla legge fallimentare introducendo le comunicazioni online nei momenti essenziali della procedura.

GOL – GIUSTIZIA ON LINE: al via alla digitalizzazione delle notifiche in 80 Tribunali e Corti di appello

alt Al via  il processo civile telematico nel Mezzogiorno, destinato a ridurre i tempi della giustizia. L’iniziativa riguarda le otto Regioni del Sud ed è stata presentata oggi dal ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, dal ministro della Giustizia, Paola Severino, e dal ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. Il progetto ha un costo di 7,2 milioni che derivano dalla seconda fase di riprogrammazione dei fondi strutturali operata nell’ambito del piano di azione per la coesione; 4,4 milioni provengono dal programma operativo nazionale ‘Energia’ e 2,8 milioni sono a carico di risorse nazionali rese disponibili con una delibera del Cipe. Grazie al processo telematico le informazioni e gli atti degli uffici giudiziari saranno prodotti digitalmente e veicolati in automatico ai destinatari, alimentando le banche dati, aggiornando lo stato di avanzamento dei procedimenti di contenzioso civile e supportando i processi decisionali e la produzione di altre informazioni e atti. Per le notifiche telematiche in particolare si punta a una riduzione dei costi di gestione amministrativa, sia per l’ufficio interessato sia per i legali difensori delle parti, stimata in oltre 35 milioni di euro all’anno per le sole spese di spedizione. In più si risparmiano 12mila ore di lavoro a carico dell’ufficio giudiziario. Per i decreti ingiuntivi telematici, invece, l’obiettivo è di ridurre del 50-60% i tempi di emissione del decreto e i costi di gestione e produzione del provvedimento, sia per l’ufficio giudiziario sia per gli studi legali.

Le notifiche degli atti giudiziari tra avvocati a mezzo PEC

alt InGIUSTIZIA ritiene utile trascrivere il testo dell’art. 18 del D.M. 21 febbraio 2011 n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24).

Infatti la norma risulta allo stato scarsamente utilizzata, malgrado risulti di grande utilità pratica (si pensi alla possibilità di notifica di un appello allorché siano di fatto scaduti i termini, perché i cliente si è rivolto all’avvocato non solo l’ultimo giorno utile per la redazione dell’atto, ma anche dopo la chiusura sia dell’ufficio notifiche che degli uffici postali.

Ciò è probabilmente dovuto alla scarsa conoscenza del fatto che l’iter normativo e regolamentare previsto dal complesso legiferare sul processo telematico si è concluso.

Per quanto riguarda la legislazione in materia, essa è stata la seguente:

Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e modificato dal decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24.

Questo il testo dell’art. 18 del D.M. 21 Febbraio 2011 n° 44:

Notificazioni per via telematica tra avvocati

1. Nel caso previsto dall’articolo 4, legge 21 gennaio 1994, n. 53, il difensore può eseguire la notificazione ai soggetti abilitati esterni con mezzi telematici, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo. A tale scopo trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, nella forma di allegato al messaggio di posta elettronica certificata inviato al destinatario. Nel corpo del messaggio è inserita la relazione di notificazione che contiene le informazioni di cui all’articolo 3, comma 2, della legge 21 gennaio 1994, n. 53, dell’indirizzo di posta elettronica certificata presso il quale l’atto è stato inviato, nonché del numero di registro cronologico di cui all’articolo 8 della suddetta legge. La notificazione si intende perfezionata nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna breve da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario.

2. Quando il difensore procede ai sensi dell’articolo 170, comma 4, del codice di procedura civile, la comunicazione delle memorie è effettuata mediante invio di copia della memoria alle parti costituite a mente del comma 1.

3. La parte rimasta contumace ha diritto a prendere visione degli atti del procedimento tramite accesso al portale dei servizi telematici e, nei casi previsti, anche tramite il punto di accesso.

InGIUSTIZIA ricorda anche che il testo dell’articolo 4, legge 21 gennaio 1994, n. 53, così come modificato dalla L. 12 novembre 2011, n. 183 è il seguente:

1. L’avvocato o il procuratore legale, munito della procura e dell’autorizzazione di cui all’articolo 1, può eseguire notificazioni in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, direttamente, a mezzo posta elettronica certificata, ovvero mediante consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario, nel caso in cui il destinatario sia altro avvocato o procuratore legale, che abbia la qualità di domiciliatario di una parte

2. La notifica può essere eseguita mediante consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario se questi ed il notificante sono iscritti nello stesso albo. In tal caso l’originale e la copia dell’atto devono essere previamente vidimati e datati dal consiglio dell’ordine nel cui albo entrambi sono iscritti.

InGIUSTIZIA ricorda infine che il testo dell’art. 170, quarto comma, cpc vigente al momento della redazione del presente articolo è il seguente:

Le comparse e le memorie consentite dal giudice si comunicano mediante deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante scambio documentato conl’apposizione sull’originale, in calce o in margine, del visto della parte o del procuratore. Il giudice può prescrivere per singoli atti che si segua una o altra di queste forme

Viceversa il testo dell’art. 87 disp. Att. Cpc è il seguente:

I documenti offerti in comunicazione delle parti dopo la costituzione sono prodotti mediante deposito in cancelleria, ed il relativoelenco deve essere comunicato alle altre parti nelle forme stabilite dall’articolo 170 ultimo comma del codice. Possono anche essere prodotti all’udienza; in questo caso dei documenti prodotti si fa menzione nel verbale.

Nuovi importi di indennità di trasferta per gli ufficiali giudiziari

alt Sulla “Gazzetta Ufficiale” del 20 novembre 2012 n. 271 è stato pubblicato il decreto 9 novembre 2012 del ministero della Giustizia inerente la “Variazione della misura dell’indennità di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari”. L’indennità dovuta all’ufficiale giudiziario le trasferte è stabilita nella seguente misura: fino a 6 chilometri € 1,93; fino a 12 chilometri € 3,52; fino a 18 chilometri € 4,86; oltre i 18 chilometri, per ogni percorso di 6 chilometri o frazione superiore a 3 chilometri di percorso successivo, nella misura di cui alla lett. c), aumentata di € 1,03. Mentre l’indennità di trasferta dovuta all’ufficiale giudiziario,  per ogni atto in materia penale, compresa la maggiorazione per l’urgenza è così corrisposta: fino a 10 chilometri € 0,51; oltre i 10 chilometri fino a 20 chilometri € 1,30; oltre i 20 chilometri € 1,93.

Giustizia e nanismo

altNon è mio stile utilizzare le pagine di questo giornale per parlare di vicende che mi coinvolgono personalmente. E’ una scelta di etica giornalistica, ritengo che non sia corretto utilizzare le pagine di una testata che si dirige per indirizzare l’opinione pubblica in una questione giudiziaria in cui si è obtorto collo protagonisti.

Altri la vedono diversamente, in questi giorni si parla del caso Sallusti ed egli utilizza le pagine de Il Giornale per far conoscere la propria opinione su quella che è palesemente un’ingiustizia che rischia di mettere in pericolo il principio di libertà di espressione solennemente sancito dall’art. 21 della Costituzione: è legittimo, quel caso giudiziario attiene alla professione di giornalista e il diffamato era un Magistrato, mentre nel mio caso è stata la libertà della professione forense ad essere l’oggetto indiretto dell’azione giudiziaria e, quindi, spettava ad altri e non all’imputato assumere il ruolo di difensore.

Ora che la vicenda si è conclusa e la Magistratura ha affermato definitivamente che un avvocato era stato indagato e condannato in primo grado per un “fatto che non sussiste”, è però doveroso chiedersi come tutto ciò sia potuto accadere.

Il caso è stato trattato per sette anni dalla stampa ed è presente su internet, quindi dedicherò cercherò di riepilogarlo in poche righe.

Marzo 2005: ricevo da un cliente l’incarico di assisterlo perché vuole denunciare alla Magistratura una grave violazione delle regole democratiche, la partecipazione alle elezioni regionali del Lazio della lista Azione Sociale, messa su dall’on. Alessandra Mussolini in competizione e disturbo del presidente uscente, Francesco Storace.

Si deduce che la violazione consisterebbe nell’aver presentato la lista, utilizzando migliaia di firme false. Mi vengono consegnate le prove della falsità, costituite dalle copie delle certificazioni anagrafiche ove è annotato il rilascio di una carta d’identità diversa da quella che si afferma sarebbe stata utilizzata per la identificazione dei firmatari.

Deposito denuncia e documenti consegnatimi (dei quali rilascio per trasparenza regolare ricevuta) alla Procura della Repubblica e, poi, copia del tutto alla Commissione elettorale presso la Corte di Appello di Roma che, in adesione all’istanza ritualmente presentata, in autotutela revoca l’ammissione della lista alla competizione elettorale.

Tutte le pronunce successive della Magistratura confermeranno che quella esclusione era legittima e doverosa, ma l’allora Sindaco di Roma, Walter Veltroni, si butta a capofitto della vicenda, denunciando che l’acquisizione dei certificati elettorali via internet era una incursione informatica dell’avversario politico Francesco Storace.

La strana alleanza Veltroni / Mussolini si rivela vincente sia per quest’ultima, dato che il Consiglio di Stato la fa partecipare provvisoriamente alle elezioni regionali, sia per la Sinistra tutta, la cui stampa trasforma una richiesta di tutela giudiziaria nel Laziogate, con una campagna scandalistica che farà perdere le elezioni a Storace e, poi, lo indurrà a dimettersi da Ministro della Salute, non perché qualcuno glielo abbia imposto, ma perché la sua etica da combattente vigoroso, ma intimamente gentiluomo gli impone di farlo.

Nel frattempo la Magistratura indaga e non risparmia nessuno: così la richiesta di documenti necessari per provare il reato fatta dall’avvocato si trasforma in un’ipotesi di “istigazione” al reato di “accesso abusivo ad un sistema informatico” di cui il pentito di turno si confessa autore, patteggiando una pena illusoria per trasformarsi nell’accusatore principale (e, invero, unico) dell’uomo politico vittima del reato elettorale, Francesco Storace, facendolo diventare il colpevole per l’opinione pubblica.

Fermo restando che ora si può affermare pubblicamente l’ “accesso abusivo ad un sistema informatico” non è mai esistito, è indubbio che tale reato sia da classificarsi giuridicamente tra le ipotesi criminose di minore entità: tuttavia un Giudice monocratico trasforma il relativo procedimento in una sorta di maxiprocesso, imponendo ritmi tanto serrati da smentire i dati sulla lentezza dei processi.

La percezione psicologica di tutti gli imputati in quei giorni è che il processo fosse lo strumento per arrivare alla condanna piuttosto che per ricercare la verità, ma nessuno perde fiducia nella Magistratura, anche quando si arrivò ad una condanna clamorosa: il nostro sistema giudiziario prevede tre gradi di giudizio.

Certo è duro, per un giurista, leggere che la prospettazione al cliente di un possibile accoglimento dell’azione giudiziaria può trasformarsi, per l’avvocato, in un’ipotesi di concorso morale nell’altrui reato, ma, si sa, una delle caratteristiche del diritto è quella di evolversi e, quindi, l’unico rimedio tecnico è il gravame.

La Corte di Appello di Roma, il 29 Ottobre 2012, ha dichiarato su conforme richiesta del P.G. che “il fatto non sussiste”.

Qualche fatto però rimane e non solo per il danno provocato ai protagonisti dal processo e dal suo clamore mediatico: affrontando e parlando con altri avvocati della mia vicenda, si scopre che il mio caso di coinvolgimento in fatti che riguardano il cliente in dipendenza dell’attività forense non è isolato.

E’ possibile che un avvocato sia coinvolto in illeciti del cliente, ma se si identifica tale coinvolgimento nell’attività di consulenza che viene identificata come concorso morale, significa che la Magistratura ha dichiarato che la professione forense è una professione ad alto rischio, come quella della Croce Rossa in una zona di guerra.

Di fronte a tutto ciò, cosa ha fatto l’Avvocatura nel mio caso, così come in quelli dei tanti onesti colleghi coinvolti in vicende similari? E’ rimasta silente, limitandosi a consentire al collega di continuare a lavorare, in una sorta di nanismo castrante che contribuisce al degrado della giustizia.

Io non intendo unirmi al coro del silenzio e, uscito dal vincolo che mi ero imposto quale imputato, denuncio pubblicamente che il coinvolgere gli avvocati come concorrenti di altrui reati costituisce un grave attentato al diritto di difesa, contro cui le associazioni forensi, se vogliono avere una ragione di esistere, debbono battersi.

Il diritto di difesa è la differenza tra una dittatura e uno stato democratico, anche la Magistratura dovrebbe ricordarlo allorché formula simili affrettate accuse.

Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

 

Il golpe democratico

alt E’ arduo tentare di dimostrare a qualcuno che lo stanno prendendo in giro, specie quando intorno a lui vi sono tante persone che creano confusione, dando le informazioni più disparate e contraddittorie. Ciò che rende ancor più difficile tale ingrato compito è che, in un simile contesto, per illustrare la realtà è necessario essere più noiosi di quello che lo era il Grillo Parlante con Pinocchio. E’ quindi con scarsa gioia che scrivo queste righe, pensando che è altissimo il rischio che qualche lettore, tediato da un incrocio assurdo di norme, potrebbe non riuscire ad arrivare sino alla fine della dissertazione. Tuttavia, dato che, per dimostrare una realtà scomoda, occorrono fatti e non proclami, non mi esimerò dall’ingrato compito. Si afferma che l’economia italiana rischia di andare in crisi perché si avvicina un momento di altissima instabilità a causa della contemporanea scadenza delle Camere (il 30 Aprile 2013) e della fine del mandato del Presidente, Giorgio Napolitano (il 15 Maggio 2013). Alla fine del suo mandato Giorgio Napolitano avrà 88 anni e, quindi, non appare anagraficamente nemmeno ipotizzabile una sua nuova candidatura per un altro settennato. Si sostiene anche che l’unica garanzia per l’Italia in Europa sarebbe Mario Monti. Nel frattempo i partiti politici disquisiscono di come cambiare la legge elettorale, cioè le regole del gioco democratico, malgrado la competizione sia legalmente quasi già aperta, come vedremo nelle righe che seguono. Sulla base di questi elementi si vorrebbe che gli Italiani accettassero qualsiasi scelta e in silenzio. E ciò che si profila è un nuovo golpe democratico, ove una abile regia di poteri forti porterà il Paese ad illudersi di aver scelto ciò che, viceversa, è stato deciso a tavolino. Il piatto che verrà servito sarà che, per la salvezza dell’Italia, è necessario votare Mario Monti, il quale solo all’ultimo minuto accetterà l’ingrato compito…Stimo molto l’attuale Presidente del Consiglio, pur non condividendo le sue scelte di attuare il risanamento economico attraverso la macelleria sociale, anche perché ho sempre apprezzato le persone dotate di cultura, educazione e preparazione, ritenendo tali qualità il presupposto per assumere cariche pubbliche di rilievo. Purtroppo la scelta dei politici di privilegiare nelle loro liste comici, ballerine, portaborse e gli altri simili personaggi che infestano il Parlamento illumina di una luce eccessiva chi sia da essi diverso. La prova del fatto che vi è un’intesa tra i partiti che rappresentano l’attuale maggioranza ed il Governo per arrivare ad una “soluzione elettorale guidata” che escluda dal Parlamento le voci del dissenso si rinviene utilizzando la logica ed analizzando la normativa elettorale. Iniziamo dalla logica: Mario Monti è persona di prestigio, gradito rappresentante dell’Italia sia da parte dell’Europa che dei poteri bancari dai quali proviene. Egli è sicuramente persona degna di rappresentare l’Italia al più alto livello. In questo momento ha una maggioranza parlamentare che nessuno potrebbe ipotizzare dopo le elezioni 2013 ed è stimato dal Presidente Napolitano, che lo ha fortemente voluto alla guida del Paese. Per evitare l’instabilità del doppio vuoto istituzionale della Primavera 2013 sarebbe sufficiente che, dopo aver ricevuto dai partiti una formale dichiarazione di convergenza sul nominativo di Mario Monti a Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano si dimettesse, rinunciando a sei mesi di presidenza. Una simile scelta da parte di un uomo di 87 anni del suo prestigio non dovrebbe essere particolarmente pesante, anche perché ne consacrerebbe l’operato nei libri di storia e consentirebbe al Paese di scegliere il nuovo Parlamento con serenità e senza coercizioni morali. Sulla grande stampa non si legge di alcuna proposta in tal senso: poiché la logica è la regina delle prove, si ritiene dimostrato che la partita che si gioca è un’altra, ove la libertà di scelta dell’elettore non è certamente privilegiata. Passiamo dalla logica all’analisi della normativa elettorale: il Parlamento dovrebbe essere rinnovato a fine Aprile 2013 e, comunque, non oltre l’8 Luglio 2013, atteso che l’art. 61 stabilisce che “le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti” e che i poteri delle Camere sono prorogati sino alla prima riunione delle nuove (avvenute il 30 Aprile 2008). Il che, incidentalmente, significa che l’attuale Parlamento potrebbe anche rimanere in carica il tempo necessario per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, senza necessità di dimissioni anticipate di Napolitano, ove il Consiglio dei Ministri ciò stabilisse ai sensi dell’art. 11 L. 361/1957 che recita che i “comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri”. Il problema è che, ai sensi dell’art. 57 Cost., e che l’art. 14, 3° co., della L. 53/1990 stabilisce che le firme per le liste elettorali possono e devono essere raccolte nei sei mesi precedenti “il termine finale fissato per la presentazione delle candidature”. L’obbligo della raccolta delle firme vale solo per i partiti che non siano già rappresentati in Parlamento. Ne deriva che i nuovi partiti devono formare le liste ed iniziare a raccogliere le firme dal 30 Ottobre 2012, ma non possono farlo perché non si è provveduto a ripartire i seggi tra le circoscrizioni in seguito al censimento ISTAT 2011 e, se cambierà la legge elettorale mentre la raccolta delle firme è già iniziata, gli stessi dovranno ricominciare da capo e con meno tempo a disposizione. La maggioranza, cioè il consorzio di tutti i maggiori partiti, vivrà di rendita, alla faccia della democrazia auspicata dai Padri costituenti e il golpe democratico si potrà realizzare senza tanti clamori.

 

di Romolo Reboa*

Avvocato del Foro di Roma

Fondo 6_2012

 

 

 

Il golpe dell’appello

alt Vi sono tanti modi per affrontare un problema: alcuni scelgono di confrontarsi con le altre parti interessate, altri preferiscono percorrere altre strade. C’è a chi la concertazione non piace, come all’attuale Presidente del Consiglio, che lo considera un male italiano: onore a questa dichiarazione, che consente di avere ben chiara quale sia la concezione della democrazia del sen. Monti e di chi lo sostiene, sicché ognuno potrà decidere in piena consapevolezza se condividerla o meno allorché, nel 2013, sarà finalmente possibile esprimersi con il voto. Sicuramente la giustizia italiana ha un problema: troppe cause anche in conseguenza di un numero eccessivo di avvocati provocato dallo sciagurato Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 215 del 7 settembre 1944, che, all’art. 1, sospese “temporaneamente … l’applicazione delle norme concernenti la limitazione del numero dei posti da conferire annualmente per l’iscrizione o per trasferimento negli albi degli avvocati”, cioè il numero chiuso degli esercenti la professione forense, che, sino alla caduta del Fascismo, funzionava come quella dei notai. Il sistema giudiziario italiano era concepito sulla base dei principi derivati dal diritto romano, con i Tribunali che decidevano sempre in composizione collegiale e con le Preture che si occupavano delle questioni di minor rilevanza economica, ancorché a volte socialmente deflagranti, e delle questioni d’urgenza. I Pretori erano magistrati togati di grande valore, capaci di dare veramente giustizia, per lo più giovani, che trasferivano nei collegi le esperienze accumulate nel territorio. I Tribunali erano viceversa concepiti per controllare l’operato dei Pretori e per occuparsi delle questioni di maggior rilievo. Poi le riforme, assolutamente inorganiche, che hanno abolito le Preture, istituito i Giudici monocratici di Tribunale e le sezioni staccate degli stessi, nei locali delle ex Preture, sicché si è passati da un sistema centrale che esercita la giurisdizione in sede locale ad una giustizia localizzata nella quale i politici di turno sperano di cimentarsi nel business della edilizia giudiziaria. Il Governo Monti, in contrasto formale con il CNF, ma sostanzialmente in linea con il pensiero ed i modi di operare dei suoi vertici, ha deciso di attuare una controriforma il cui effetto sarà che la libera professione non costituirà più quell’ammortizzatore sociale che è stato negli ultimi cinquanta anni. Infatti i piccoli studi saranno costretti a chiudere per effetto della perdita delle tutele residue, dei costi del contenzioso e della necessità di organizzarsi in strutture ben organizzate per far fronte alle miriadi di incombenti imposte dalle varie normative (fiscali, sulla privacy, sulla salute dei lavoratori, sulla privacy, sul riciclaggio, ecc.). Per farlo Monti ha scelto non già la strada diretta di una riforma organica, ma quella di tagliare con norme sparse qua e la i tanti vasi capillari che davano linfa ad un sistema di libero individualismo sicuramente malato, ma che, morendo, trascinerà con sé non solo le proprie scorie, ma anche quel bene prezioso che esso aveva incarnato, la libertà di difesa che avrebbe dovuto essere esaltata. Perché se è teoricamente accettabile (o, comunque, discutibile costruttivamente) un drastico sistema di riduzione del numero degli esercenti una professione ed una rivisitazione della geografia giudiziaria, è sicuramente inaccettabile il taglio delle motivazioni dei provvedimenti giurisdizionali e delle possibilità di impugnarli. Significa trasformare i giudici monocratici, in quanto tali più facilmente esposti ad errori e condizionamenti, da esponenti di grande rilievo di un sistema comunque improntato alle garanzie dei tre gradi di giudizio a “quasi dittattori” di un sistema che si manifesta in partenza refrattario alla critica intellettuale costituita dall’appello. Non sfuggirà ai lettori conoscitori delle elementari cognizioni del diritto pubblico come l’ultimo decreto legge emanato dal Governo per la “crescita dell’Italia“, cioè il D.L. 83/2012, contenga agli artt. 54, 55 e 56 una profonda aberrazione giuridica, una sorta di golpe in danno della giustizia civile, che non si riesce a comprendere come possa essere stato avallato dal Presidente della Repubblica con la propria firma. Infatti, probabilmente per la prima volta nella storia della Repubblica, si legge su un decreto legge: “Le disposizioni di cui al comma 1, lettere a), c), d) ed e) si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (art. 54, 2° co.). Una disposizione analoga è prevista per il successivo art. 55 di riduzione delle possibilità di trovare tutela nella cosiddetta legge Pinto. L’art. 77 della Costituzione, norma fondamentale della democrazia parlamentare repubblicana, in assenza della quale si sarebbe affermato che alla dittatura fascista è succeduta una dittatura democratica di staliniana memoria, afferma che il Governo può emanare “decreti che abbiano valore di legge ordinari” solo “in casi straordinari di necessità ed urgenza”. La Corte Costituzionale, con la sentenza n 360/1996, aveva imposto severe restrizioni alla prassi dei governi sino ad allora succedutisi di servirsi dello strumento del decreto-legge per assumere di fatto il ruolo del Parlamento. Non è necessario essere dei giuristi per capire che una norma che entra in vigore trenta giorni dopo la legge di sua conversione non ha il requisito dell’urgenza e, quindi, non poteva essere utilizzata dal Governo quale strumento normativo e non doveva portare l’avallo del capo dello Stato, in altre occasioni attento difensore della legalità costituzionale. Il gioco è chiaro: il Governo porrà la fiducia sul decreto e una norma non urgente diventerà legge, perché non si potrà immolare il “salvataggio” dell’Italia sull’altare delle garanzie del cittadino ad avere un appello equo di fronte ad una possibile sentenza civile ingiusta. Ci si potrà appellare al golpe e sollevare l’eccezione di incostituzionalità, ma probabilmente si rimarrà senza appello in una Italia salva, con Tribunali funzionanti, ma priva di giustizia.

Romolo Reboa

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 5_2012

 

Tutela della salute

alt

Una clamorosa sentenza, che ha condannato i Monopoli di Sato a risarcire con un milione di euro, la famiglia, rappresentata e difesa dall’avv. Romolo Reboa, a titolo di danno biologico subito dalla vittima a causa delle proprie mansioni lavorative.