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Beppe, il cassamortaro

altTra le definizioni che hanno caratterizzato la polemica elettorale alla vigilia delle recenti elezioni politiche, sicuramente passerà alla storia quella di “rottamatore” attribuita al sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
Usando una metafora automobilistica, il sindaco toscano aveva chiuso il proprio appello alla convention delle primarie del PD per la scelta del candidato premier, affermando che la sfida era tra “usato sicuro e futuro dell'Italia” e chiedendo così ai simpatizzanti del proprio partito di dargli “una mano a cambiare il paese”.
Si sa come è andata a finire: le primarie del PD le ha vinte Bersani, che è riuscito anche a conquistare la Camera dei Deputati grazie a quel sistema elettorale definito porcellum, imputato a Berlusconi, ma conservato dai governi Prodi e Monti, a riprova che la scelta del Cavaliere aveva una condivisione all’interno dell’intero sistema politico.
Del resto a quale segretario di partito non farebbe comodo poterlo gestire con il potere di scegliere i propri parlamentari, decidendo in libertà chi inserire tra i probabili eletti e chi tra i trombati?
Anche a Beppe Grillo il porcellum non dovrebbe dispiacere troppo, visto che egli ha potuto raggiungere il risultato attuale solo grazie all’affossamento della personalità dei singoli candidati proprio del porcellum, che gli ha consentito di nascondere i loro volti dietro la propria dialettica polemica di comico di professione: e, infatti, nelle elezioni amministrative, dove la gente è stata libera di esprimere la preferenza sul singolo candidato, il risultato è stato di gran lunga inferiore.
Del resto, se veramente il Movimento 5 Stelle avesse avuto in odio il porcellum, il suo primo atto all’ingresso del Parlamento sarebbe stata la presentazione di un progetto di legge per la sua modifica o per il ritorno al sistema precedente che appariva estremamente equilibrato (definito con un altro latinismo elettorale come mattarellum).
Renzi, pur provenendo dall’establishment del PD, ha compreso prima degli altri che la voglia di cambiare rotta investe gli elettori di tutti gli schieramenti e che il porcellum avrebbe amplificato la possibilità che un volto nuovo ottenesse la vittoria.
Così, con la freschezza dei suoi 38 anni e con la garanzia di avere capacità di governare derivante dal suo incarico di sindaco, ha cercato di battere gli uomini del suo partito con oltre sessanta anni, conscio che il suo volto nuovo sarebbe stato un’autostrada per entrare anche nel cuore dell’elettorato del PDL che spera ancora che il nuovo sia rappresentato da Berlusconi e dalle sue giovani fans, ma che sa che, in vent’anni di politica, l’imprenditore non è riuscito nel suo proposito di dare un volto al Paese.
La residua, ma ancora forte, organizzazione del vecchio PCI ha impedito l’operazione renziana, con sommo gaudio del non più giovane Beppe Grillo che poco avrebbe potuto opporre ad un “vaffa tu, vecchio guitto, prima di parlare, impara a governare” da parte del giovane Renzi.
Nessuno può sapere se sia vera la voce che, alle primarie del PD, gli attivisti più fidati del M5S abbiano partecipato, sostenendo Bersani, ma è certo che la vittoria di quest’ultimo e il conseguente impegno in prima persona di Berlusconi convenivano a Beppe Grillo…
Il comico genovese, per la sopravvivenza del suo movimento di protesta, ha necessità che la politica appaia ancorata ai vecchi schemi e si dilani in dispute incomprensibili agli occhi di chi ogni giorno è costretto a fare i classici salti mortali per pagare il mutuo della casa o la rata scolastica dei figli, con debiti assunti in presenza di stipendi o redditi professionali improvvisamente spariti a causa di giochi internazionali occultati da termini di difficile percezione, quali lo spread.
La doppia “B”, Bersani / Berlusconi, è linfa vitale per la terza “B”, quella di Beppe, che avendo un partito costruito dal nulla sul web, è oggi privo di una classe dirigente che abbia quel minimo di preparazione necessario per assumere decisioni che abbiano un qualche senso sotto il profilo tecnico.
Perché una cosa è dire in un comizio che si vuole uscire dall’€uro ed un’altra è sapere come farlo alla luce dei trattati internazionali, evitando conseguenze disastrose.
Il M5S si vanta di avere quali attivisti di punta disoccupati, studenti fuori corso, operai, mentre la sua massima espressione culturale attuale sembra siano degli avvocati che hanno tempo di dedicarsi alla protesta in quanto privi di clienti. Precisato che il termine “sembra” è d’obbligo, visto che i volti dei Grillini non sono di fatto ancora noti, è comunque palese che una comunità così vasta di persone impreparate ha necessità di tempo per studiare (e dei soldi delle cariche pubbliche per avere il tempo di farlo, mettendo da parte il proprio lavoro…).
Il successo elettorale di dimensioni superiori alle previsioni (che parlavano di un 14/15%) costituisce un reale problema per Grillo, che si trova alle prese con un movimento di difficile governabilità interna, che può esplodere in breve tempo in seguito al contatto delle persone miracolosamente elette con le sirene del potere e che pone alla vecchia politica l’obbligo di rinnovarsi immediatamente o morire.
La Rivoluzione Francese insegna che, se i rivoluzionari hanno il merito di buttare giù il vecchio sistema, poi utilizzano la ghigliottina per uccidersi tra di loro sin tanto che un uomo nuovo ripristina l’ordine e sostituisce il Re con l’Imperatore.
Tomasi di Lampedusa, con il suo Gattopardo, scritto quasi due secoli dopo, di fatto evidenza anche che tra la Sicilia e la restaurazione francese la distanza non è poi tanta.
Beppe Grillo, da bravo comico, ama affibbiare dei nomignoli: il Capo dello Stato è diventato Morfeo, a dimostrazione che il leader 5 Stelle ha conoscenze culturali classiche. Peccato che non ricordi gli insegnamenti dei Padri latini: maxima debetur reverentia senibus.
Così un nomignolo è dovuto anche a lui: se la politica non fa l’errore di ignorare le cause del fenomeno, la storia lo ricorderà solo come chi ha seppellito la seconda repubblica, cioè, usando il romanesco come un “cassamortaro”…

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma