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Fondi ministeriali presso Banca d’Italia sono pignorabili

La Corte di Cassazione con sentenza n. 6078 del 26 marzo 2015 è intervenuta sulla pignorabilità dei fondi appartenenti al Ministero della Giustizia. Nel caso di specie il creditore dell’equa riparazione aveva tentato un pignoramento contro fondi depositati presso la Banca d’Italia appartenenti al Ministero della Giustizia. Accogliendo gli indirizzi della Corte Europea la Corte di Cassazione conferma che i fondi del Ministero della Giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1, sono da considerarsi liberamente pignorabili.
 
 Di seguito il testo della Sentenza della Corte di Cassazione n. 6078 del 26 marzo 2015:
 
Svolgimento del processo
 
B.G. convenne in giudizio il Ministero della Giustizia esponendo di avere promosso atto di pignoramento presso terzi sottoponendo ad esecuzione forzata somme detenute dalla Banca d’Italia, quale Tesoriere Provinciale dello Stato di Reggio Calabria, per conto del Ministero della Giustizia.
 
Precisò che il titolo esecutivo nasceva dal provvedimento di condanna giudiziale del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 10.000,00 per equa riparazione da irragionevole durata del processo.
 
Instaurata la fase esecutiva, la Banca d’Italia rendeva dichiarazione positiva.
 
Il Ministero propose opposizione agli atti esecutivi sostenendo che la forma del pignoramento presso terzi non poteva essere utilizzata.
 
Il giudice dell’esecuzione si riservava sulla richiesta di sospensione rigettandola. Il Ministero propose reclamo ex artt. 624 e 669 terdecies c.p.c., che fu accolto con provvedimento del 16.11.2009.
La B. introdusse il giudizio di merito ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
 
Resistette il Ministero.
Il tribunale, con sentenza del 23.2.2011, accolse l’opposizione proposta dal Ministero e dichiarò la nullità del pignoramento presso terzi.
 
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria B.G.. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
 
Motivi della decisione
 
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 12 disp. gen., in relazione al D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181.
 
 Con il secondo motivo si denuncia falsa applicazione della D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181.
 
 Con il terzo motivo si propone questione di legittimità costituzionale del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, in relazione agli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 80 e 111 Cost..
 
 I primi due motivi, esaminati congiuntamente, sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono.
 
 La L. n. 89 del 2001, ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di ricorrere alle Corti territoriali per ottenere la c.d. “equa riparazione” per l’irragionevole durata del processo. La finalità della c.d. legge “Pinto” era quella di evitare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fosse adita direttamente. Lo Stato Italiano, però, condannato ripetutamente, oltre che dalle Corti di merito, anche dalla Corte di Giustizia Europea, continua a frapporre ostacoli di ogni tipo alla reale riparazione del danno causato alla vittima della violazione del par. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2, (queste le norme che sanciscono il diritto di ogni individuo ad un processo sollecito).
 
In sostanza, attraverso la cd. dichiarazione di impignorabilità dei beni appartenenti al Ministero della Giustizia, l’esecuzione dei decreti di condanna è praticamente impossibile.
 
 La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348, ha dichiarato impignorabili alcuni fondi di proprietà del Ministero della Giustizia.
 
Sono stati, pertanto, pignorati nelle forme dell’espropriazione forzata presso terzi, fondi diversi da questi, non ricompresi nella previsione normativa.
 
Successivamente, interviene il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181 – che ha esteso la disciplina sui pignoramenti da eseguirsi nelle forme di cui al D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, anche ai fondi del Ministero della Giustizia precedentemente dichiarati impignorabili.
 
Il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Reggio Calabria ha preso atto della diversità delle somme pignorate rispetto a quelle previste dalla legge come impignorabili ed anche rispetto a quelle per le quali è stata sottratta la possibilità di procedere presso terzi.
 
Ma il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione e poi reclamo al Collegio sostenendo la tesi secondo cui, tale ultima normativa si applicherebbe anche a quei fondi del Ministero della Giustizia diversi da quelli dichiarati impignorabili e non contenuti nella tassativa previsione di legge.
 
Il Collegio ha riscontrato il fumus boni juris per sospendere la procedura esecutiva presso terzi in attesa della decisione nel merito.
 
E’ necessario ripercorrere la normativa succedutasi negli anni in materia di pignoramenti su somme di pertinenza del Ministero della Giustizia.
 
La L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 294 bis, inserito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348, rende impignorabili i “fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale Amministrato dal Ministero della Giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della Giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
 
Con tale norma, quindi, il legislatore ha inteso rendere impignorabili i fondi del Ministero della Giustizia destinati agli scopi ivi tassativamente indicati.
 
Tutte le altre somme diverse da quelle contenute nella norma indicata sono liberamente pignorabili nelle forme della esecuzione forzata presso terzi.
 
Ciò è tanto vero che la dichiarazione del terzo (Banca d’Italia) solo nel primo caso è negativa, mentre nel secondo caso (fondi diversi, quali Irpef, Fua, Irap e simili) è positiva, con conseguente accantonamento delle somme e senza riserve.
 
Successivamente, è intervenuto il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, il cui tenore testuale è il seguente: “1. Il D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, e successive modificazioni, si applica anche ai fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia”.
 
 Tale D.L. n. 313 del 1994, art. 1, prevedeva delle procedure speciali per i fondi appartenenti alle Prefetture.
 
 Il senso del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181, è chiaro: il D.L. n. 313 del 1994, art. 1, è applicabile alle sole somme destinate “al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della Giustizia”.
 
 Il Ministero della Giustizia sostiene, invece, l’estensione di tale norma anche ai fondi non previsti nella stessa e diversi da quelli ivi tassativamente indicati.
 
Ma un tale interpretazione non trova alcun addentellato normativo.
 
Tutte le altre somme diverse da quelle destinate “al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della Giustizia” esulano dalla recente disposizione e rimangano, pertanto, pignorabili nelle forme della procedura esecutiva presso terzi, in assenza di una chiara ed espressa disposizione di senso contrario”.
 
 Diversamente, si verrebbe a creare una norma che in realtà non esiste, con palese violazione dell’art. 12 preleggi.
 
L’interpretazione propugnata oltrepassa i limiti imposti dal citato art. 12 preleggi, con un’inammissibile sostituzione al legislatore.
 
 La nuova norma che ne deriverebbe consentirebbe la pignorabilità nelle forme previste dal libro III, Titolo II, Capo II c.p.c., secondo la speciale procedura ivi prevista anche dei fondi diversi da quelli indicati, peraltro tassativamente, nel D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter.
 
 Ma una tale interpretazione si pone in irrimediabile conflitto con il dato letterale del D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter.
 
 Anche la Corte di cassazione ha spesso affermato che, per quanto si possa interpretare estensivamente una norma, non si può andare oltre il suo dato testuale, costituendo questo un limite invalicabile ex art. 12 preleggi (fra le varie Cass. 16.10.1975 n. 3359; Cass. 13.11.1979 n. 5901; Cass. 23.9.1985 n. 4711; Cass. 18.8.2003 n. 12081).
 
 La chiarezza ed univocità del testo normativo non consentono la lettura propugnata.
 
 Del resto, la nuova norma indica gli stessi fondi contenuti nel precedente L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1348, che li dichiarava allora impignorabili.
 
 Dal 27 dicembre 2006 in poi, il Giudice dell’Esecuzione ha dichiarato improcedibili per impignorabilità le procedure che riguardavano detti fondi, mentre, se il pignoramento ricadeva su fondi diversi (quali, Irap, Fua, Irpef e simili), il Giudice procedeva all’assegnazione delle somme accantonate, ritenendole ovviamente pignorabili.
 
 La difesa dell’Amministrazione, presentandosi alle varie udienze, controllava le dichiarazioni di Terzo e se il pignoramento ricadeva sui fondi pignorabili (Irap, Fua, Irpef e simili) dichiarava di non aver nulla in contrario all’assegnazione e non presentava alcuna opposizione.
 
 Oggi, dopo l’entrata in vigore del citato D.L. n. 143 del 2008, sotto il profilo dell’individuazione dei fondi liberamente pignorabili non è cambiato nulla.
 
 La nuova norma, infatti, impone la procedura di cui al D.L. n. 313 del 1994, ai pignoramenti riguardanti esattamente i medesimi fondi che la L. n. 296 del 2006, aveva dichiarato impignorabili.
 
 Le due norme (D.L. n. 143 del 2008, art. 1, e L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348) – nel testo sono usate le medesime parole – sono identiche nell’indicazione dei fondi soggetti alle rispettive normative. Pertanto, gli altri fondi (Irap, Fua, Irpef e simili), liberamente pignorabili anche presso terzi e sempre assegnati dal Giudice dell’Esecuzione, senza alcuna opposizione, sono rimasti esattamente tali.
 
 D’altra parte, se la norma fosse interpretata nel senso inteso dal Ministero della Giustizia, la stessa, secondo recenti pronunce della Consulta, sarebbe incostituzionale per quanto attiene i crediti nascenti dalla condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per violazione della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
 
 La Corte di Strasburgo ha, infatti, sancito il principio di civiltà secondo cui lo stato membro è obbligato a stanziare le somme destinate alla soddisfazione del creditore senza frapporre ostacoli, pena l’ulteriore violazione dell’art. 6 della Convenzione per mancata esecuzione della sentenza interna che accerta il diritto di credito dell’individuo nei confronti dello Stato (Sezione IV, 19 giugno 2007, ricorso n. 19981/02). La Corte Costituzionale, poi, con le due pronunce n. 348/2007 e 349/2007 ha definitivamente affermato che le leggi interne contrarie alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sono incostituzionali e rispetto ad esse va sollevata questione di legittimità.
 
 Peraltro, la Costituzione Italiana ha pienamente recepito i trattati internazionali e, pertanto, ove la legge italiana vi si ponga in insanabile contrasto, essa deve essere disapplicata, ovvero dichiarata incostituzionale.
 
 La violazione del diritto alla ragionevole durata del processo è particolarmente grave e odiosa, come il mancato rispetto della Carta dei diritti dell’Uomo, ed è di pari rango alla tortura, alla negazione della libertà di stampa e di espressione, all’impedimento dell’esercizio dei diritti civili etc..
 
 La Corte Europea (sentenza del 31 marzo 2009) ha espressamente sottolineato, respingendo la tesi del Governo, che non si può chiedere ad un individuo, che ha già fatto ricorso alla c.d. legge Pinto per ottenere un indennizzo per la durata eccessiva del processo, di presentare un nuovo ricorso se la sentenza di condanna non viene eseguita in tempi rapidi.
 
 Con detta pronuncia, la Corte Europea ha ulteriormente condannato lo Stato Italiano perchè le sentenze emesse in forza della legge “Pinto”, non solo non vengono eseguite, ma vengono ostacolate con mezzi francamente inaccettabili.
 
Non è consentito al Giudice emettere nuove norme, pena il superamento della divisione dei poteri che vede nel Parlamento l’unico organo legislativo dello Stato.
 
Pertanto, i fondi del Ministero della Giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1, sono liberamente pignorabili.
 
 In questo stesso senso si è già espressa anche la Corte di cassazione con l’ordinanza del 28.10.2014 n. 22854.
 
Nè è applicabile, nella specie, l’attuale disposizione della L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies, – che prevede la modalità di pignoramento cd. diretto, vale dire nella forma dell’espropriazione diretta presso il debitore, attraverso atto notificato al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione (inserito dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, conv., con modificazioni, dalla L. 6 giugno 2013, n. 64).
 
Questa norma è entrata in vigore in data 9 aprile 2013, ai sensi del D.L. n. 35 del 2013, art. 13, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 82 dell’8 aprile 2013. Essa regola le modalità dell’azione esecutiva; ragion per cui, in mancanza di apposita disciplina transitoria, la nuova normativa non può che regolare le azioni esecutive intraprese con atti di pignoramento eseguiti successivamente alla data della sua entrata in vigore.
 
Ciò che non è nel caso in esame, in cui il pignoramento presso terzi è stato introdotto con atto notificato il 6.12.2008. Da ultimo, le conclusioni raggiunte rendono irrilevante la prospettata questione di costituzionalità sollecitata con il terzo motivo.
 
Conclusivamente, il ricorso è accolto e la sentenza è cassata.
 
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte decide nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia.
 
 L’oggettiva complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di merito e di quello di cassazione.
 
P.Q.M.
 
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione del Ministero della Giustizia. Compensa le spese del giudizio di merito e di quello di cassazione.
 
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2015